Teatro, Teatrorecensione — 06/10/2012 at 11:46

La vita e il romanzo si fondono in un Teatro Naturale vissuto e raccontato dal Teatro delle Ariette

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Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so, inizia così Lo Straniero di Albert Camus. Bastano queste parole per provare un senso di sconcerto presente in tutto il romanzo. Il protagonista è Meursault, un impiegato di origine francese vive ad Algeri dove si vive in un caldo soffocante che toglie il respiro. La morte della madre è vissuta con uno stato d’animo indifferente mentre l’uomo prova più sofferenza per il caldo, senso di fame e sonno. Conosce una donna che chiede di sposarla e lui risponde e la risposta è che per lui è lo stesso, e che se proprio lei ci tiene possono farlo. La sua indifferenza nei confronti della vita lo porterà a sparare contro un arabo. Non sa nemmeno spiegare il motivo del suo folle gesto e accetta passivamente la condanna a morte. Silenzioso e apatico avrà un sussulto alla fine sfogandosi contro il sacerdote confessore.

La storia finirà con Meursault che realizza quanto l’universo stesso sembri indifferente rispetto all’umanità. E tu lettore ti ritrovi dentro questa storia rivivendola da spettatore accolto dal Teatro delle Ariette dove Paola Berselli, Maurizio Ferraresi e Stefano Pasquini danno vita a “Teatro Naturale?”, nuova produzione che ha aperto la rassegna A Teatro nelle Case,  a Castello di Serravalle tra profumi di cibo che cuoce, il calore dell’ambiente, l’ospitalità che è cura e amore per una professione che va oltre al semplice recitare. Vita e Teatro si mescolano e si confondono e da semplice spettatore diventi ospite e amico accolto in una dimensione domestica. Le luci disposte su fili come ad una festa di paese di altri tempi, le tavole apparecchiate con tovaglie a quadretti bianchi e rossi suscitano ricordi dell’infanzia. Al centro della stanza una mastella di zinco. Pentole fumanti e odorose di profumi. Un vino schietto come benvenuto riscalda gli animi del piccolo pubblico seduto su due file una di fronte all’altra. In mezzo appaiono loro, a torso nudo, indossano pantaloni neri e poi si rivestono con camice bianche.

I gesti misurati sono espressione di un pensiero drammaturgico profondo. Non è rappresentazione teatrale artificiosa ma uno scorrere naturale di azioni quotidiane miscelate al racconto narrativo. Lo Straniero di Camus non è altro che l’espediente per Stefano di raccontare un periodo di vita coincidente, autobiografico, adolescenziale, vissuto quando aveva soli 17 – 18 anni. Anni dove vive esperienze di vita come l’incontro con una ragazza francese che lo porta in Normandia per conoscere la sua famiglia e il padre di lei, uno spagnolo costretto a fuggire dalla dittatura di Franco. Anarchico dove la sua vita è una continua fuga da regimi autoritari come accadrà anche in Algeria ribelle contro la Francia. Era il lontano 1978. Letteratura e vita vissuta sono gli ingredienti della “cucina teatrale”delle Ariette indimenticabili protagonisti di Teatro da mangiare? e Matrimonio d’inverno.

«Faccio teatro perché mi piace stare con la gente, perché racconto storie, perché mi piace giocare ma un attimo prima che inizi lo spettacolo vorrei essere da un’altra parte . Mi piace fare teatro ma non lo vorrei fare». Stefano Pasquini è sincero nel giustificare l’urgenza di fare teatro che accomuna questa coppia nella vita e sulla scena. Lo è per dare senso ad un progetto esistenziale dove ci sia ancora spazio perché – lo dicono loro stessi-   “vogliamo parlare di oggi, di quello che pensiamo di questa situazione confusa. Perché vogliamo cambiare, perché dobbiamo immaginare tutto da capo. Hanno cercato di convincerci, in questi anni, che non c’era altro modo, nessuna alternativa a questa economia, a questa agricoltura, a questa società”.

Paola indossa un vestito rosso fiammante e una vistosa parrucca bionda., scarpe verdi. La sua risata sguaiata fa provare una strana sensazione di disagio che ti arriva addosso e ti entra dentro. Ammicca e si immerge nella vasca di metallo ricolma d’acqua per simbolizzare i bagni di mare algerino,  mentre Stefano prepara il pranzo che verrà offerto (un cus cus dal sapore delicato in omaggio alla cucina maghrebina consumata da Camus) e intanto racconta passi del romanzo stampati su gigantografie portate sulle spalle da Maurizio Ferrari, la cui presenza è complementare a quella dei due protagonisti. Diventa esso stesso portavoce di un dramma narrato per immagini e parole da Stefano e Paola.

Non facciamo teatro, non siamo una compagnia teatrale. Contadini -attori che raccontano le solite storie, la cucina, il teatro dei sensi. Il dio del teatro è anche il dio del vino”. E allora capisci che il loro è vero Teatro Naturale come è naturale stare ad ascoltarli mentre sorseggi il vino e attendi che il cibo ti venga servito. Non c’è liturgia in quello che fanno tanto meno retorica nelle parole ascoltate. Narrano una storia del passato con azioni simboliche. Paola e Maurizio lottano alla box, Stefano gioca a calcio sulla terra seminata sul pavimento. Sullo sfondo uno strano seggio simile ad un trono composto da una rete di un letto dove Paola si siede e viene spinta al centro per trasformarsi in prigione, da dove urlare tutta la disperazione di un essere umano, deciso fino alla morte nel rifiutare una vita inutile e una società che detesta. Una società rievocata anche con i fatti tragici accaduti in Italia, dal 1978 alla morte di Aldo Moro e le Brigate Rosse. La data di morte di Camus avvenuta nel 1960 a soli nove mesi prima della nascita di Stefano.

È un continuo intrecciarsi di rievocazioni fino alla struggente conclusione quando Paola reciterà con intensità drammatica i discorsi di Camus tenuti all’atto della consegna del Premio Nobel: “Per definizione, lo scrittore non può mettersi oggi al servizio di quelli che fanno la storia: egli è al servizio di quelli che la subiscono”, sono alcuni dei suo pensieri rivolti all’Accademia Svedese. Uno scrittore dedito allo studio dei turbamenti dell’animo umano di fronte all’esistenza, a cui premeva vivere e agire, nel dare vita ad un continuo ed incessante appello contro le ingiustizie sociali e la pena di morte: “Se la Natura condanna a morte l’uomo, che almeno l’uomo non lo faccia”. Ci si china alla fine sul piatto fumante per consumare il pasto offerto e il silenzio cala su tutti. E il Teatro Naturale si congeda per darci appuntamento fuori da quel luogo dove è stata raccontata una storia che ci appartiene e che ci accompagna nel mondo.

 

Teatro Naturale?

di Paola Berselli e Stefano Pasquini

Con Paola Berselli, Maurizio Ferraresi, Stefano Pasquini

Teatro delle Ariette

visto a Castello di Serravalle il 29 settembre 2012

 

 

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