Cinema — 06/06/2021 at 19:23

Riflessioni intorno a “Le Chant Du Loup” (2019)

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RUMOR(S)CENA – Il 3 giugno 2021 si è tenuta su Zoom una conferenza su “Le chant du loup” (noto in Italia come “The Wolf Call – Minaccia in alto mare”), curata dall’Ammiraglio Roberto Camerini e da Giordano Giannini. Commentando la suddetta pellicola, che porta la firma del versatile Antonin Baudry, i relatori hanno accompagnato i presenti nello straordinario mondo dei sottomarini dove si ha percezione di ciò che accade all’esterno unicamente da sofisticati apparecchi e soprattutto dall’analisi delle onde sonore. A bordo de “Le Titane”, principale sfondo della vicenda, ogni decisione critica mette al centro l’idrofonista Chantereine, soprannominato “L’oreille d’or”, il quale possiede, infatti, il raro dono di riconoscere i suoni più labili e sfuggenti. A nome dell’Alliance Française della Spezia, buona lettura…

G.G.: Accolto due anni fa in patria con successo ma passato, ahinoi, in sordina nelle semideserte sale italiane estive, Le chant du loup non solo dimostra che l’odierno cinema francese può benissimo battere il rivale americano sul terreno che gli è congeniale dalla fine del decennio Settanta (azione concitata, stupefacenti trucchi visivi, duelli fragorosi e solidi personaggi con cui identificarsi subito) ma, una volta di più, riesce a far convivere armonicamente – come, del resto, già avvenne nella breve, creativa stagione 2000/2004 – ben radicati generi nazionali e nuove soluzioni tecnico-espressive, riflessione e intrattenimento popolare.


Locandina – Conférence en ligne (Alliance Française della Spezia; 03-06-2021).

Nello specifico, il regista Antonin Baudry – alias Abel Lanzac, classe ’75, ex consigliere di Dominique de Villepin presso il Ministero degli Interni nonché addetto culturale all’ambasciata francese negli Stati Uniti tra il 2010 e il 2014 – si serve nella sua opera prima di una “classica” avventura navale, calata nella Marina e nei suoi severi rituali, come pretesto per meglio far conoscere allo spettatore le funzioni dell’idrofonista(“opérateur de sonar” o, più semplicemente, “hydrophoniste”) attraverso le quali, nel corso della narrazione, si viene ovviamente introdotti all’ineffabile mistero della dimensione uditiva e, in un secondo e più problematico livello di lettura, spinti verso una curiosa, ben mascherata riflessione sul pericolo (ancora eludibile, almeno fino ad ora, in ambito nautico) dell’egemonia dell’Artificiale (dell’Inorganico, altrimenti) sull’Umano; riflessione che pare seguire, nel suo piccolo, una ricca tradizione di studi d’Oltralpe (es. Marcel, Aron, Ellul, Meynaud) sui rapporti tra tecnica e società, tecnica e politica. Quest’affinità meriterebbe di essere sondata a parte, se il tempo non ce lo impedisse. Limitiamoci, dunque, ad un accenno di trama…


François Civil ne Le chant du loup. Crediti: Pathé (Paris), Adler (Milano).

Chantereine (l’espressivo François Civil), protagonista del film, è un giovane idrofonista dotato dalla Natura di un udito estremamente fine, pronto a segnalare i potenziali pericoli nelle profondità oceaniche: un talento che gli procura dai camerati de “Le Titane”, il mezzo subacqueo dove il nostro presta servizio, l’affettuoso nomignolo«Oreille d’or». A causa, però, di una diagnosi errata, formulata durante una missione in Siria, Chantereine mette a repentaglio le vite dell’equipaggio. Il pericolo viene, per fortuna, scongiurato nell’arco di poche mosse ma, a partire dal rientro al quartier generale, l’identificazione della fonte sonora che lo trasse in inganno diverrà per l’incauto, prodigioso idrofonista una nuova missione se non un incubo vero e proprio che lo assilla giorno e notte…



Dall’alto a sinistra: Omar Sy, François Civil, Pierre Cevaer ne Le chant du loup. Crediti: Pathé (Paris), Adler (Milano).

La sfida estetica dell’esordiente Baudry può considerarsi, nel complesso, vinta: in un mondo, come il nostro, che fa della vista (e quindi di immagini, di simulacri) il cuore della propria cultura e delle proprie attività, l’attenzione del pubblico viene stavolta dirottata sull’udito e su ogni singolo fenomeno – dal passaggio di un capodoglio sott’acqua al battito cardiaco dell’amata (nel caso in esame, la fidanzata di Chantereine, impersonata da una tenera Paula Beer) – restituito grazie alla regia (forte, a sua volta, di un reparto fonici di prim’ordine, coordinato da Nicolas Cantin, Thomas Desjonquères e Raphaël Mouterde) non come forma “corporea”, tattile, bensì come “sorgente sonora”, “complesso insieme di sequenze ritmiche”. Se, nel secondo tempo, Le chant du loup non avesse ceduto alla tentazione di imitare in modo sbrigativo e grossolano modelli d’oltreoceano quali il celebre À la poursuite d’Octobre Rouge (’90), USS Alabama (’95) e perfino Point limite (’64) di Sidney Lumet (da cui mutua la digressione «fantapolitica» e il pericolo di una guerra termonucleare), l’esito finale ne avrebbe certo giovato. Dove finisce, in ogni caso, il rigore nella descrizione del mestiere dell’idrofonista e inizia, invece, la spettacolarità pura e semplice? Ce lo spiegherà l’Amm. Camerini, a cui cedo volentieri la parola…


Paula Beer ne Le chant du loup. Crediti: Pathé (Paris), Adler (Milano).

AMM. R. C.: Ho visto il film più volte e l’ho trovato molto coinvolgente, spettacolare, capace di mantenere alta l’attenzione del pubblico dal primo all’ultimo fotogramma. Lo spettatore viene trascinato sotto la superficie del mare, a bordo dei sottomarini, in un ambiente affascinante ove tutto diventa “suono” ed amplifica quella sensazione di mistero e di ignoto che proviene da ciò che è poco conosciuto. Ma i suoni che si propagano nel mare, e vengono percepiti dagli strumenti dei sottomarini, non sono tutti uguali… occorre “un orecchio” in grado di definirli: mercantili, pescherecci, delfini, balene, lavori costieri, smottamenti sismici, sommergibili… tutti lasciano una traccia. E quanto più l’orecchio è raffinato, maggiore sarà l’accuratezza con cui sarà possibile identificare la sorgente del suono. E qui Antonin Baudry, ritengo in modo molto originale, introduce la figura dell’idrofonista che diventa l’attore principale della pellicola. Non ho memoria, infatti, di altri titoli in cui questa specializzazione venga messa così in risalto se non, in parte, in À la poursuite d’Octobre Rouge ove però l’idrofonista viene chiamato in causa solo occasionalmente per dare spiegazioni tecniche. In Le chant du loup, al contrario, Chantereine, portentoso idrofonista del sottomarino “Le Titane”, diventa il protagonista assoluto. E le immagini che scorrono ricalcano quelle della vita reale di bordo; le informazioni che fornisce l’idrofonista sono realmente fondamentali per il processo decisionale di cui, però, è bene ricordare, l’unico responsabile è il Comandante. Il film, tutto preso ad esaltare la figura del nostro «Oreille d’or», questo aspetto non lo evidenzia chiaramente, al punto che sarà l’idrofonista, e non il Comandante, ad essere messo sotto accusa al rientro dalla missione nelle acque territoriali siriane, nonché sottoposto a nuovi esami professionali da superare per assicurarsi il ritorno a bordo.

Viceversa, se analizziamo il film da un punto di vista prettamente tecnico, lo stesso presenta non poche lacune e segna un passo indietro rispetto ad un’opera quale, appunto, À la poursuite d’Octobre Rouge dove non è facile cogliere in fallo il cineasta Mc Tiernan e Tom Clancy, sua fonte originaria.

Le chant du loup, tra l’altro, inizia bene, con un’interessante operazione di esfiltrazione di incursori da un territorio ostile; un’operazione in cui, effettivamente, i sottomarini vengono impiegati per la loro peculiarità di essere mezzi occulti. Sono operazioni assai delicate, anche per il natante stesso che, nell’ultima fase, frequentemente, deve orbitare in acque poco profonde. Ad essere proprio pignoli, simili operazioni vengono generalmente condotte in ore notturne, al fine di evitare possibili, occasionali scoperte in “trasparenza”, tenendo conto delle condizioni suindicate. In questo caso sono, però, evidenti le esigenze cinematografiche che, in presenza della luce, forniscono immagini di notevole impatto. La prima parte del film è indovinata e Baudry (anche sceneggiatore; N.d.R.) si dimostra abile a porre in risalto l’orecchio dell’idrofonista, a far accelerare il battito cardiaco dello spettatore che improvvisamente passa, in sintonia con l’equipaggio de “Le Titane”, da una fase di estrema calma ad una situazione concitata, creata ad hoc attraverso l’introduzione di varianti assolutamente credibili (presenza di una nave siriana con elicottero e di un sommergibile sconosciuto). E, sempre dal regista, viene ben sottolineato come la mancata identificazione del sottomarino da parte di Chantereine porti quest’ultimo ad una forma pesante di ossessione, benissimo resa dall’attore Civil.

Nondimeno, da questo passaggio in avanti la pellicola, che Baudry riesce comunque a mantenere avvincente, diviene eccessiva e, complici diversi “voli”, la credibilità scema a poco a poco. L’impossibilità di interrompere la sequenza di lancio del missile balistico dopo il primo ordine, la piena efficienza che manifestano gli impianti/apparati del sottomarino dopo essere stato colpito dal primo siluro, la navigazione solitaria del Comandante de “Le Titane” alla ricerca dell’altro sommergibile propriamente alla cieca, non disponendo di alcun dato di posizione e navigando ad una profondità in cui il mare è quasi completamente buio (a cento metri di profondità non si vede quasi più niente), il comprendere (da che cosa?) la mancanza di testata nucleare sul missile balistico in arrivo sul territorio francese… sono solo alcuni degli episodi al limite del fantastico di cui l’autore, purtroppo, ci rende partecipi. Invece è molto interessante, e concludo, il tema che vien toccato relativo alla “raison d’État” per la quale, in nome dell’interesse superiore della Nazione, si può arrivare perfino a sopprimere dei propri compatrioti. Non pensiate che sia una cosa lontana dalla realtà: molto probabilmente l’ultima applicazione della “ragion di stato” in campo subacqueo fu il voluto mancato salvataggio dei diciannove uomini, ancora vivi, dopo l’affondamento del sottomarino sovietico Kursk (‘K-141 Kursk’, 12 agosto 2000; N.d.R.).

Al seguente indirizzo la conferenza:

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