Spettacoli — 30/01/2023 at 14:33

Il venditore di sigari. In occasione del Giorno della memoria 2023

di
Share

RUMOR(S)CENA – MILANO – Oltre vent’anni fa, nel  luglio del 2000, il nostro Parlamento con una votazione sostanzialmente unanime ha istituito il Giorno della Memoria, il 27 gennaio di ogni anno, “al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Dopo due anni di coma profondo, che ha condizionato l’espletamento delle manifestazioni culturali pubbliche, i teatri hanno potuto dare nuovamente il loro contributo a quella prescrizione di legge, e lo hanno fatto con notevole varietà di proposte. Di recente è sorto un dibattito a più voci sull’opportunità di continuare a parlare di Auschwitz e degli orrori della Shoah, per non creare una noiosa assuefazione. La stessa senatrice Liliana Segre si è espressa in proposito. Chi scrive, che già negli anni Novanta, prima dell’istituzione del Giorno della Memoria ha curato due pubblicazioni (Voci dalla Shoah e Un ragazzo ebreo nelle retrovie, oggi nuovamente disponibili per i tipi di Gaspari editore), ha maturato la sensazione della inesprimibilità della Shoah, in una singolare simmetria che collega il sommo male al sommo bene, con la impronunciabilità, per gli ebrei, del nome di Dio, indicato semplicemente col termine Hashem: “il Nome”. Si è quindi convinto che la Shoah possa essere evocata solo in modo obliquo, indiretto. “Di Auschwitz posso parlare, e farmi capire solo da chi ci è stato”, mi confidò un giorno Goti Bauer, sopravvissuta a Birkenau e, per non meno di trent’anni, intrepida testimone della sua indicibile esperienza.

Non tutte le direzioni artistiche dei teatri milanesi sembrano aver condiviso questa convinzione, e alcuni hanno scelto di raccontare gli esperimenti del dottor Mengele, della sua criminale ossessione per gli occhi azzurri, che lo induceva a colorarli con l’anilina. Di segno diverso la scelta del teatro Litta di Milano che, in prossimità del Giorno della Memoria, ha ritenuto di mettere nuovamente in scena, dopo tredici anni, Il venditore di sigari (in inglese, il polisemico, simbolicamente suggestivo titolo The Flame Keeper) del drammaturgo israeliano Amos Kamil.

Nessuna evocazione diretta, quindi, degli orrori di Auschwitz. Siamo nella Germania nei primi anni del secondo dopoguerra; la Shoah appartiene ormai al passato, anche se il suo ricordo non è ancora stato elaborato, specie da parte di chi, anche indirettamente e con ruoli diversi, vi è stato coinvolto. Tutta la prima parte dello spettacolo è una reiterata provocazione beffarda e dispettosa di un accademico ebreo e il titolare di una tabaccheria, che si suppone avere acquisito quell’elegante negozio nel centro di Berlino, confiscato a un ebreo. Ma, dopo una rivelazione e un colpo di scena – che non è il caso di anticipare – lo spettacolo ha uno scarto: il ruolo dei personaggi sembra ribaltarsi; il dialogo cambia registro; assistiamo a un confronto serrato sul piano sociologico, filosofico, storico, persino teologico, che sembra rifarsi ai temi che Primo Levi tratta nella sua ultima opera, I sommersi e i salvati (da cui l’autore, Amos Kamil, dichiara di essere stato influenzato), e addirittura sull’utopia e il significato della nascita dello Stato di Israele. Nessuna captatio emotiva, ma al pubblico restano, uscendo, una serie di domande, di per sé salutari ancorché senza risposte possibili, sul significato di una delle più incredibili voragini nelle quali l’umanità è precipitata, anche grazie a una diffusa, colpevole complicità. Interrogativi che lasciano segni, che non si esauriscono con l’inevitabile scolorire delle emozioni, anche violente.

Doveroso citare, nella positiva valutazione dello spettacolo, oltre alla sobria ma attenta regia di Alberto Oliva, responsabile anche della traduzione, a quattro mani con Flavia Tolnay, i due efficacissimi interpreti: Gaetano Callegaro (l’accademico Doktor Reiter) e Francesco Paolo Cosenza (il sigaraio Herr Grub). E fa tenerezza ritrovarli, ambedue, coi capelli di diverso colore rispetto all’edizione di tredici anni prima, maturati anche nell’introiezione dei loro non facili personaggi.

                 

Visto al teatro Litta di Milano il 26 gennaio 2023

Share

Comments are closed.