Recensioni — 29/09/2023 at 09:44

La forza dirompente dei versi greci de I sette a Tebe al Teatro Olimpico di Vicenza

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RUMOR(S)CENA – VICENZA – C’è la guerra e il penetrante dolore che sempre l’accompagna, ma anche l’amore che nonostante tutto vive nel cuore degli esseri umani, nei due spettacoli con cui si è aperto il 76° ciclo di spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza: I sette a Tebe con la regia di Gabriele Vacis e il reading Al di là dal fiume tra gli alberi con la regia di Giancarlo Marinelli, che del Ciclo è direttore artistico.

Un inno alla pace, cantato attraverso una tragedia di guerra, I sette a Tebe di Eschilo, come li ha pensati e diretti Vacis con il gruppo PEM-Potenziali Evocati Multimediali, toccano nel profondo e in maniera non stereotipata la coscienza di ognuno, disegnando un quadro lucido, non assolutorio rispetto alle responsabilità collettive, delle tragedie belliche che travagliano il nostro presente. Lo spettacolo – ma il termine lo avverto come riduttivo, direi piuttosto ‘oratorio civile’ – è affidato all’interpretazione di 12 valenti giovani attori (età media, 24 anni) diplomati alla Scuola del Teatro Stabile di Torino, Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Lucia Corna, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Eva Meskhi, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Letizia Russo, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera.

 La forza dirompente e autentica dei versi greci – Eschilo era un combattente e conosceva, per averli vissuti, i tumulti di guerra – si riversa sulla scena del Teatro Olimpico di Vicenza illuminata a giorno, trasformandosi in pressante emozione. Canti a cappella, movimenti vorticosi di quei 12 giovani corpi che esprimono passione e popolano lo spazio riempiendolo di sentimenti e sensazioni, accompagnano la poesia eschilea e ne penetrano l’essenza. Sono canti dall’Ucraina, dall’Islanda, da Israele, dalla Bulgaria, e la sconvolgente Sidun di Fabrizio De André, nella quale si condensa tutto l’orrore dei massacri di guerra che annichiliscono persone, civiltà, culture.

Sette a Tebe-foto di Eduardo De Matteis

Il tappeto sonoro che attraversa la performance è fatto di percussioni, ora lente ora incalzanti, di mani e piedi, di musiche e di rumori di fondo creati dalla scenofonia di Roberto Tarasco, curatore anche dell’allestimento spartano nella sua pregnante essenzialità. Vacis lavora sul testo greco, tradotto da Monica Centanni, percorrendolo parola per parola, talora intervenendo con tagli chirurgici che nulla tolgono alla forza dell’originale, e apre varchi sui quali innesta narrazioni e considerazioni sul presente, senza retorica o piglio predicatorio. C’è spazio per un inquietante e lungo elenco delle armi, dal kalashnikov (AK47) alle mitragliatrici (M60, Stoner 63, RPK), alla mitraglietta UZI, e altre armi d’assalto dalle sigle asettiche e apparentemente innocue, ma concepite per uccidere con rapida facilità, come se la dimensione esistenziale coincidesse con quella virtuale dei videogiochi.

Sette a Tebe-foto di Eduardo De Matteis

 Si evoca una violenza apparentemente lontana, ma è sufficiente un “combattimento”, su musica dei Led Zeppelin, fatto con lunghi elastici tesi tra tre coppie di corpi maschili e poi lasciati andare di colpo, per rendere un’immagine di aggressività e creare un forte senso di disagio negli spettatori. Alle parole di Eschilo si intrecciano quelle degli attori che da interpreti diventano protagonisti con le loro storie personali, dove sofferenza, solidarietà e amore si fondono, specchio di una generazione a disagio in una società incapace di comprendere le istanze dei giovani e di offrire loro una prospettiva di vita sostenibile. Odio, razzismo, guerra, devastazione dell’ambiente travagliano il mondo, in balia di tiranni padroni e artefici del futuro di intere popolazioni con la loro sete di potere e ricchezza, colpevoli di quella tracotanza, la hybris di eschilea memoria, che attraverso i secoli incarna l’empia presunzione degli uomini.

Lella Costa

L’acuta malinconia e il senso di perdita della vita e dell’amore incastonati nelle pagine del romanzo di Ernest Hemingway Al di là dal fiume tra gli alberi emergono in tutta la loro struggente bellezza nel reading itinerante, così come lo ha concepito Giancarlo Marinelli, a partire dalla Basilica Palladiana, per approdare al Teatro Olimpico e infine al suo Giardino, dove le proiezioni del disegno multivisivo di Francesco Lopergolo illuminano l’antica loggia e le mura accrescendone la fascinazione. Il reading che fa parte di un progetto pensato per i luoghi storici e monumentali dei paesaggi e delle Città, inaugurato con i versi di Milk Wood di Dylan Thomas lo scorso anno a Vicenza, nasce da un’idea di Marinelli e Pierluca Donin, direttore di Arteven, Circuito Teatrale Regionale del Veneto, recentemente scomparso.

Giorgio Lupano

Tre gli interpreti, Giorgio Lupano, Lella Costa, Sebastiano Somma, che hanno dato vita con sensibilità alla staffetta poetica su cui è costruita la performance, ripercorrendo attraverso brani del romanzo la relazione tra il colonnello Richard Cantwell e la giovanissima nobildonna Renata: un amore vissuto tra le calli e i canali di una Venezia intrisa di passione e tormento, tra i palazzi dell’aristocrazia e la laguna dove si pratica la caccia, con sullo sfondo le macerie ideologiche delle due grandi guerre del Novecento. Potenza dell’amore, ineluttabilità della perdita, caducità della vita nell’appassionata regia di Marinelli si spogliano di enfasi per farsi pura empatia, libera da ogni retorica.

“I sette a Tebe” visto giovedì 21 settembre in prima nazionale al Teatro Olimpico di Vicenza

“Al di là del fiume tra gli alberi” visto domenica 24 settembre in Basilica Palladiana, Teatro Olimpico e Giardino

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