RUMOR(S)CENA – Nel 2008 in occasione della personale “Piergiorgio Branzi. Fotografie 1952- 2007, allestita dall’assessorato alla Cultura del Comune di Bolzano nella Sala Civica, il celebre fotografo e giornalista concesse questa intervista (pubblicata sul quotidiano Alto Adige e sul blog Rosso Venexiano) e realizzata a Roma. In occasione della sua scomparsa viene riproposta.
Piergiorgio Branzi, nato a Signa in provincia di Firenze nel 1928 è scomparso a 93 anni il 28 agosto 2022 a Campagnano di Roma. È stato il primo corrispondente televisivo occidentale inviato a Mosca, autore d’inchieste e documentari in Asia ed Africa, corrispondente da Parigi durante il Maggio del ’68, città a lui cara anche per avere conosciuto di persona Henri Cartier – Bresson. Il principio fu la fotografia del bianco e nero denso, materico, sensuale. L’ispirazione del 1953 dopo “l’illuminazione” per aver visto una mostra di Henri Cartier Bresson a Firenze, ha fatto di Piergiorgio Branzi uno dei testimoni più autorevoli dei nostri tempi, considerato ”il più europeo tra i fotografi italiani del dopoguerra”. L’incontro con Cartier svela che con la fotografia si poteva anche raccontare. Protagonista della vita artistica e culturale della sua epoca, Branzi ha saputo coniugare sapientemente il talento con la dedizione ai temi sociali, ponendo sempre al centro della sua ricerca visiva, l’uomo e la sua dimensione esistenziale ma si definisce “scarsamente interessato a fotografare il cielo e mai le nuvole”.
Ogni sua immagine ha il dono di suscitare emozioni ancestrali.Capostipite del realismo formale tra i fotografi italiani. L’assessorato alla Cultura del Comune di Bolzano ha ospitato alla Galleria Civica di Piazza Domenicani, la mostra: “Piergiorgio Branzi. Fotografie 1952- 2007, a cura di Paolo Morello direttore dell’Istituto Superiore per la Storia della Fotografia di Palermo e docente allo Iuav di Venezia. Una rassegna di “ritratti ambientati” tra cui il “Ritratto della Signora Ada T.”, “Ritratto di Giovanni S.”, “Venezia. Campo San Polo” del 1954, pubblicati nel catalogo dell’I.S.F: “Maestri della fotografia italiana del Novecento”. Per Bolzano si aggiungono scatti del 2007: “Occhio per Occhio”, dove Branzi ritrae teste e occhi di pesce che definisce “la forma perfetta più rappresentativa del Mediterraneo”. La Galleria Civica di Bolzano cento opere di uno dei più grandi fotografi del nostro tempo
Si tratta della prima mostra antologica dedicata al grande fotografo: circa cento opere, dagli inizi della carriera sino ai giorni nostri. Stamane alla presenza dello stesso Branzi, l’assessore comunale alla cultura Sandro Repetto ha presentato l’evento che caratterizzerà la prima parte della stagione estiva alla Galleria Civica di piazza Domenicani. La mostra, organizzata dal Comune capoluogo è curata da Paolo Morello dell’ Istituto Superiore per la Storia della Fotografia e rimarrà aperta sino a fine giugno.
La mostra
Delle molte, possibili anime della fotografia italiana, Piergiorgio Branzi incarna quella più colta, più aristocratica. Formatosi nella tradizione figurativa rinascimentale toscana, dotato di una naturale eleganza, presto abbandona la ricerca formale per diventare un maestro del “ritratto ambientato”: monsignori, bambini, borghesi, paesani, colti di sorpresa, con sottile sarcasmo, restano in equilibrio tra un lirismo sommesso e una vivida caratterizzazione psicologica.
La ricercatezza di Branzi si coglie, e dev’esser questo uno dei punti di maggior rilievo della mostra, nell’inedito tentativo di fondere in una originale cifra stilistica, due modelli affatto diversi tra loro: lo spontaneismo reportagistico di Henri Cartier-Bresson, da una parte, e dall’altra parte, le rigorose costruzioni formali e tonali di Giuseppe Cavalli.
Questi antitetici modelli si risolvono in Branzi senza tensioni: anzi, in memorabili ‘trasgressioni’, ossia nell’invenzione di formule compositive totalmente nuove in quegli anni. Ne siano prova i suoi diari di viaggio: dalle prime escursioni a Napoli e ad Ischia nel 1953, ai viaggi in Puglia e Lucania nel 1955, in Spagna nel 1956, in Grecia nel 1957, in India nel 1960.
Tra i primi a cogliere la modernità dei grandi modelli stranieri e a sperimentare l’uso del nero profondo, a quel tempo sconosciuto in Italia, con Paolo Monti e Mario Giacomelli, Branzi fu l’artefice di una rivoluzione, nella fotografia italiana del secondo Novecento.
Il nome di Piergiorgio Branzi rimanda anche al giornalismo televisivo di cui è stato uno dei protagonisti assoluti negli anni ’60, allorché fu inviato a Mosca dal direttore del Telegiornale della Rai, Enzo Biagi. La fotografia cede il posto al giornalismo, ma in Branzi entrambe le esperienze sono speculari per la straordinaria capacità d’osservatore sensibile alle trasformazioni sociali. Collaboratore della rivista Il Mondo di Mario Pannunzio e Le Ore di Pasquale Prunai, in Rai è stato anche direttore delle attività cultuali e segretario generale del Prix Italia. Lo abbiamo incontrato a Roma dove ci colpisce la sua cordialità e disponibilità nel raccontare la sua straordinaria carriera.
C’è una ricerca sociologica e antropologica nella sua fotografia che emerge con una prepotenza espressiva. Come si è originata? |
“E’ stato spiegato che l’ambiente crea l’impronta antropologica. Usciti dalla guerra c’era la necessità di conoscere e io provenivo da un ambiente cattolico toscano politicizzato, quello di Giorgio La Pira sindaco di Firenze. L’attenzione si è indirizzata verso il sociale, matrice culturale iniziale. A quei tempi non c’era l’omologazione del consumismo, ma il bisogno di capire”. |
La fotografia come necessità di avere delle risposte. Lei ha realizzato memorabili viaggi al sud dell’Italia e all’estero. Dal viaggio in Spagna cosa l’ha colpita? |
“In Spagna volevo conoscere un mondo cattolico inquieto, reduce da una dittatura fascista e capire com’era riuscita a non essere coinvolta nella guerra. Quale era l’ambiente sociale, economico, culturale che lo aveva determinato”. |
Ogni suo scatto porta con sé una storia da raccontare. Un aneddoto curioso? |
“La fotografia del Ragazzo dell’orologio del 1955 scattata a Comacchio. Ero rimasto affascinato dal film Paesaggi di Rossellini ambientato sul delta del Po. La cultura dell’immagine rappresentava all’epoca solo l’ambiente della casa e del cortile. Il ragazzo che io ho ritratto oggi ha 61 anni ed è stato riconosciuto dalle scarpe e ha un nome. Partecipai anche alla campagna fotografica Itinerari Pasoliniani a Casarsa, paese della sua giovinezza, con Gianni Berengo Gardin e altri importanti fotografi. La foto più bella l’ho scattata io nella casa di Pasolini. Ho trovato un suo ritratto vestito da avanguardista”. |
Come inviato in Russia lei divulgò immagini inedite per la televisione. |
“Fino al 1962 si conoscevano solo due immagini da Mosca, le sfilate sulla Piazza Rossa del 2 maggio e 7 novembre. Realizzai un documentario sui giovani russi per il programma TV 7. Non era facile fare delle riprese in Russia, ma riuscii a restarci per quattro anni. Ho scattato migliaia di foto che solo dopo 25 anni ho accettato di sviluppare. Volevo evitare speculazioni politiche. Un impianto immaginifico. Ho una memoria visiva molto forte e ricordo tutte le immagini, anche se conservate come negativi. Erano come degli appunti personali”. |
Dalla macchina fotografica Leica alla Reflex. Utilizza anche il digitale? |
“Mi trovo bene con questa tecnica, anche se non abbandonerò l’analogico. Faccio un paragone con la pittura: la possibilità di dipingere con i colori a tubetto permise di far nascere gli impressionisti. Senza quell’invenzione non sarebbe stato possibile. Lo strumento è un messaggio. Si apre un alfabeto diverso. Il problema è che oggi siamo affogati d’immagini” |
Quelle scattate in Unione Sovietica sono un patrimonio di oltre tremila foto da cui Piergiorgio Branzi ha poi scelto quelle per il “Diario Moscovita. 1962-1966” ritenuto un “importante documento storico – sociologico” vincitore nel 2001 del Premio FotoPadova “Ramo d’Oro Editore” per il miglior libro fotografico dell’anno. Dice il maestro: “Dal 1966 al 1995 smisi di scattare. Non avevo niente da dire con la fotografia”. Nel 1997 la F.I.A.F lo nomina “autore dell’anno”. Branzi crea “Muro nero” nel 1954, “il primo nero della storia della fotografia italiana”. Le sue foto sono state esposte nel 1995 al Guggenheim Museum di New York, anno in cui ha anche partecipato alla Biennale di Venezia. Nel 1998 espone al Carrousel du Louvre di Parigi.
Piergiorgio Branzi rievoca l’incontro a Parigi con il “mito”, della fotografia: Henri Cartier – Bresson. L’emozione è forte anche nel ripensarlo dopo tanti anni.
“Con il cuore in tumulto salgo le rampe di un palazzo parigino dalla facciata grigia e scortecciata. Al lato della porta che vado cercando una targa di metallo con una lapidaria indicazione: Magnum. Sono introdotto in una stanza, alle pareti, senza soluzione di continuità, una scaffalatura carica di scatole di carta da stampa. Una scenografia che sembra predisposta per un set cinematografico sul mondo dei reporters, che avevo fantasticato e sperato di trovare. Non poteva essere altrimenti. Ma cosa cerco? Non so proprio, e ancora oggi ancora non lo so. Fulminea illuminazione avvenuta due anni prima sulla strada che invece che a Damasco conduce a Palazzo Strozzi di Firenze (era il 1953 ndr) dove era stata allestita una mostra del nostro vate. La prima esposizione fotografica che visito! La prima che approda a Firenze! Le ricordo tutte, quelle immagini, sono quelle del nucleo innovativo, rivoluzionario della sua opera. Tutte scattate entro il 1933! Ma non mi scoraggio. Come tanti altri, cerco di afferrarne il messaggio: sguardo di benevole critica sui comportamenti della società, temperata da un retrogusto di sottile humour, equilibrata struttura compositiva, rigorosa architettura delle linee portanti e delle masse. Henri mi si rivolge cortese e disponibile, inaspettatamente devo dire, nei confronti di uno sprovveduto giovane dilettante giunto da Firenze. Tremebondo cavo da una busta alcune mie stampe, che osserva con attenzione e le commenta. Su di una in particolare indugia a lungo chiedendo spiegazioni. Quella di un muro nero con al centro una cappa vuota di camino, con sul fondo, raggomitolato mio fratello. Immagine surreale ben lontana dagli intendimenti della sua opera. Mi riserva una cortesia che molto più tardi vengo a sapere essere rara: da una scatola prende un paio di provini a contatto, tutti sullo stesso soggetto, segnati con una matita grossa rossa. Mi spiega con pazienza il perchè delle scelte. Ed io che ero rimasto allo scatto unico!”
– Fotografie: Fonte web
– Testi ed intervista: Roberto Rinaldi
– Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano – Rosso Foto
– Direttore di Rosso Foto: Paolo Rafficoni
– Supervisione: Manuela Verbasi
– Editing: Paolo Rafficoni, Anna De Vivo
www.raiplay.it/video/2017/01/Sottovoce-piergiorgio branzi