Recensioni — 29/03/2023 at 09:50

Coefore/Eumenidi – L’approdo

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RUMOR(S)CENA – GENOVA – Il campo è tolto ed il tragitto tragico fino in fondo percorso, dagli oscuri recessi oltre l’Acheronte alle assolate pianure dell’Attica, dal primordiale brodo di cultura in cui si generano i sentimenti umani nella loro dionisiaca immediatezza alla cultura del logos, da Dioniso appunto, che sembra riassorbito e con-fuso nelle fiamme del passato dell’umanità, ad Apollo creatore e confidente testimone della norma che regola presente e futuro, ma anche, infine, dal femminile principio della creativa fecondità del sangue al freddo patriarcato della Legge, che quella creatività così spaventosa per il maschio regola e controlla.

Coefore e Eumenidi, seconda e terza parte dell’Orestea di Eschilo messa in scena da Davide Livermore, sonoun fiume che tutto questo trascina e accompagna dall’Arcaico regale e in fondo religioso dominio di Argo, Tebe e Delfi alla democratica Atene destinata al futuro, ed è dunque un inevitabile tributo dell’antico tragediografo al nuovo che lo accoglie e che vuole essere legittimato proprio nel e attraverso il passato che supera e allontana.

Ma è un tributo, quello di Eschilo, pieno dei dubbi che travagliano l’umanità e che tornano, consueti accompagnatori di un Dioniso, maschio e femmina, morte e resurrezione, vita che si rinnova in un eterno suo ritorno, che si vuole ma non si può dimenticare. Tutto ciò transita inevitabilmente per l’ineluttabile compimento della vendetta di Oreste sulla madre Clitennestra e sul suo amante e co-assassino Egisto, e poi nella sua fuga da quel mondo che si perde man mano nell’oscurità di una notte attraversata dai lampi di una creazione sempre attiva come un vulcano che non si addormenta, verso la luce di Apollo e della Legge di Atena/Atene che lo riscattano.

Coefore Eumenidi foto di Tommaso Le Pera

Una assoluzione comunque incerta (i cittadini dell’Areopago si divideranno equamente tra colpevolisti e innocentisti) che solo il peso prevalente del voto della dea infine attesterà, salvaguardando il dubbio, che attraversa l’intera tragedia, su chi tra sangue e funzione (sociale e politica) debba avere maggiori diritti. Una incredula incertezza in un certo senso rivelata anche dalla improvvisa trasformazione delle antiche Erinni nemiche nelle alleate e appunto benevole Eumenidi.

La Tragedia in fondo, e questa tragedia in particolare, è dunque un rito di passaggio dell’Umanità, dalla sua infanzia alla sua controversa adultità, un rito che drammaturgicamente e metaforicamente si rappresenta in Oreste (bambino alla morte del padre e adulto suo vendicatore) che il peso del suo mondo quasi si carica materialmente sulle spalle, mentre fugge inseguito da quelle stesse Erinni simbolo e custodi dell’universo che lui ha violato.

Orestea Coefore Eumenidi foto Tommaso Le Pera

Ma ogni rito di passaggio lascia ferite evidenti che ancora ci affliggono, metafisicamente, socialmente, politicamente e storicamente, ferite che affondano nella più profonda intimità dell’anima, tra sensi di colpa e rimossi dolorosi, che hanno alimentato anche la conoscenza nuova di noi che la psicoanalisi ha organizzato.

Tutto si tiene, dunque, in questo passaggio che Davide Livermore ha evidentemente colto, facendo però forse inevitabili scelte in direzione di una dimensione più storica che psicologica della rappresentazione, enfatizzando in essa i riflessi fiammeggianti su e di un presente che ne ripropone i dubbi e i fallimenti evidenti, appena sotto la superficie di una inevitabile ma forse non del tutto convinta celebrazione.

Orestea Coefore Eumenidi Tommaso Le Pera

Come in Agamennone, prima parte della trilogia, la messa in scena è una rutilante proiezione nel cielo della Storia (nonché della Società e della politica) che si nutre di corrispondenze culturali e anche di suggestioni molto spettacolari, fin cinematografiche, che trasformano la scena in una sorta di fucina di Vulcano in cui vengono fusi gli emblemi e i simulacri della Umanità nel suo tragico cammino di consapevolezza.

È talora un mondo quasi di eccessi e sovrabbondanze, visive/figurative e sonore/musicali, che un po’ distrae dal loro senso profondo, un barocco che circonda e addolcisce la sofferenza del vivere e del crescere, ma un po’ la copre e la nasconde.

Rischia così di risultare attenuato quello che Sanguineti chiamava “effetto intimidatorio” della traslazione scenica della parola tragica, che non ha bisogno di essere ingentilita ma solo liberata nella sua immediatezza (scrisse in proposito che “Mastòs threptèrios” sono mammelle nutritive e non altro). La recitazione di un cast impeccabile è coerente, e porta su di sé per così dire l’onere del presente a partire da una Marinoni Clitennestra sul “Viale del tramonto” e di una Olivia Manescalchi che è Atena in militaresca, totalitaria e un po’ androgina divisa. Musica, ancora una volta dal vivo con ottimi e coinvolti interpreti, e voci modulano i ritmi e le melodie di un narrare tragico che, al di là della sua stessa genesi, appare qui ancora una volta più vicino all’opera lirica che al tradizionale teatro di prosa, un teatro in musica che è nelle corde di Livermore.

foto di Tommaso Le Pera

Uno spettacolo comunque di effetto, questa seconda doppia parte della trilogia di Eschilo, e una produzione impegnativa del Teatro Nazionale di Genova, all’Ivo Chiesa dal 21 al 25 marzo (in quest’ultima data in maratona Orestea insieme all’Agamennone). Notevole presenza di pubblico e di autorità.

Orestea: Coefore / Eumenidi di Eschilo, regia Davide Livermore, traduzione Walter Lapini, costumi Gianluca Falaschi, scene Davide Livermore e Lorenzo Russo Rainaldi, disegno luci Marco De Nardi, video design D-Wok, interpreti Laura Marinoni, Giuseppe Sartori, Gabriele Crisafulli, Anna Della Rosa, Gaia Aprea, Stefano Santospago, Giancarlo Judica Cordiglia, Olivia Manescalchi, Maria Grazia Solano, Maria Laila Fernandez, Alice Giroldini, Marcello Gravina, Turi Moricca, Valentina Virando, Sax Nicosia (in voce e video) e con Nicoletta Cifariello, Lorenzo Crovo, Bianca Mei, Davide Niccolini, Lorenzo Scarpino, cantanti Cecilia Bernini, Graziana Palazzo, Silvia Piccollo, musicisti Diego Mingolla, Stefania Visalli, musiche originali Andrea Chenna, produzione Teatro Nazionale di Genova INDA – Istituto Nazionale Dramma Antico.

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