Spettacoli — 27/11/2021 at 10:42

La ristrutturazione della realtà di Alessandro Bergonzoni

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RUMOR(S)CENA – ROMA – Il quindicesimo testo scritto e allestito da Alessandro Bergonzoni, insieme a Riccardo Rodolfi, è già andato in scena nel 2018 e ritorna nel 2021 sotto una nuova luce, a un mese dalla riapertura totale dei teatri e alle contestuali vicende socio-politico-culturali impregnate nella poetica dell’autore. Sebbene non possa esistere un genere entro cui collocare gli spettacoli di Bergonzoni, “Trascendi e Sali”– da una sua intervista rilasciata al Corriere della Sera – “significa entrare in un’altra dimensione, alzarsi, andare oltre, non essere soggiogato da giornalisti, virologi e politici, (…) noi siamo abituati a trasecolare e a trasalire ma non si va mai a vedere il cambiamento, occorrono una revisione e una nuova visione, a partire dalle questioni più banali o quotidiane”.

Le sue parole, andate in scena al Teatro Vittoria di Roma, risuonano come in un gospel. Dentro quello che per molti può apparire come ragionamento illogico, tra le virgole e gli spazi dei testi di Alessandro Bergonzoni è celato un mondo di profondità e pensiero critico della realtà. Quella prospettiva che interseca il suo punto di fuga nelle ingiustizie sociali che egli stesso ha assorbito, a contatto con le realtà delle carceri e degli ospedali, o semplicemente della sua mente acuminata e attenta ai particolari come in una pittura fiamminga di Jan van Eyck. Le luci di ribalta illuminano una scenografia simbolica suddivisa in due luoghi unitari. A destra un’architettura simile ad un ponteggio in alluminio che crea un immediato legame simbolico di Bergonzoni all’operaio non solo come attore ma anche come uomo sociale.

Alessandro Bergonzoni

Il suo non è un teatro politico brechettiano poiché le sue parole non mostrano la realtà sociale ma la decostruiscono per allestire una migliore. A questo evento linguistico il pubblico in platea non è il solo a partecipare. Bergonzoni invita anche gli “spettatori invisibili” da dietro le quinte come fossero delle anime dantesche o dei fantasmi del passato e del presente che rafforzano la scena come ne Il quarto stato di Pellizza da Volpedo ma con gli operai sbiaditi a cui Bergonzoni cerca di dar voce. E lo fa elencando un’interminabile lista di persone, eventi storici e letterari, a partire dal giardino proibito delle sacre scritture, mescolando opere di Pirandello e Verne e Cechov. È la confessione di tutte le colpe umane, quelle note e meno note. Attraverso il paradosso delle parole che sociologicamente sono un “fare”, Bergonzoni aggroviglia modi di dire e modi di agire con una logica profonda e umana che solo una mente acuminata può elaborare e cogliere.

Alessandro Bergonzoni

L’azione scenica si sposta, infine, dietro il fondale che è un drappo rosso di circa un metro di altezza che percorre tutta la scena, dietro il quale Bergonzoni conclude lo spettacolo. Anche lui è invisibile ora mentre rivolge al pubblico una serie di comandamenti e rievoca i fatti di cronaca di Reggeni, Cucchi, Zaki. Il pubblico ha già smesso di ridere fino a quando la quarta parete cade e uno scroscio di applausi risuona nella sala del Teatro Vittoria di Roma fino al terzo bis.

“Quale senso lega il sensato all’insensato? Perché sapere cosa ci aspetta è più importante che scoprire cosa non ci ha aspettato e abbiamo perso? Un muto saprebbe spiegare, con parole mie, ciò che ha intuito un cieco?”

Alessandro Bergonzoni, Numero di furie in Aprimi cielo, 2020

Visto al Teatro Vittoria di Roma il 23 novembre 2021.

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