Contributi critici, Costume e Società — 26/02/2018 at 21:28

La censura preventiva e la libertà dell’arte (nel terzo millennio)

di
Share

CAGLIARI – Se un’immagine fa (ancora) scandalo:  censurati a Cagliari i manifesti di “Io sono bestemmia” di Ferai Teatro. Fin dal titolo – “Io sono bestemmia” – il nuovo spettacolo di Ferai Teatro, scritto, diretto e interpretato da Andrea Ibba Monni – in scena il 3 e 4 marzo, poi il 10 e l’11 e il 17 e 18 marzo – per tre weekend consecutivi alla Ferai Arts Factory in via Dolcetta a Cagliari tocca corde sensibili in una civiltà di matrice cattolica e evidentemente allude alla sfera del sacro da cui deriva il concetto di blasfemia. Una provocazione? Forse. Il nome di un’opera non è mai casuale ma spesso scaturisce da una necessità meramente artistica di sintetizzare il senso senza troppo svelare: «“Io sono bestemmia” fa parte della trilogia che nasce da “Cuore di tenebra”» racconta Andrea Ibba Monni «iniziata con “My BFF Annie” scritto, diretto e interpretato da Federica Musio, e che si concluderà ad aprile con “Eros Nero” scritto, diretto e interpretato da Ga’ . Non riuscivo a trovare un titolo – che andasse oltre “Ibba Monni deve morire” – finché è venuto fuori “Io sono bestemmia”, quasi un grido di dolore in cui è racchiusa l’idea della negazione di sé, l’idea centrale da cui scaturisce lo spettacolo, più che una catarsi un atto d’amore, un donarsi al pubblico». Dopo “Cuore di tenebra” – opera manifesto della compagnia Ferai Teatro, struggente e folgorante rivelazione, con tre monologhi in cui gli attori si mettono metaforicamente oltre che letteralmente a nudo sulla scena mostrando le proprie ferite, le umiliazioni e le mortificazioni del corpo e dello spirito in una crudele guerra per sopravvivere all’infanzia e all’adolescenza, la trilogia ne è la naturale continuazione, uno sviluppo e completamento, un “approfondimento” in cui le tre storie si evolvono, prendono forma autonoma.

 

Se l’amarezza della solitudine e il trauma dell’abbandono – quell’essere e sentirsi rifiutati, lo scherno e la violenza dei coetanei, la scoperta della solitudine e l’iniziazione alla sensualità costituivano in un certo senso il nucleo centrale del monologo in “Cuore di tenebra”, quel grido “Ibba Monni deve morire” si trasforma nell’affermazione “Io sono bestemmia” come espressione massima dell’abiura e del desiderio di rinnegare se stessi, come estremo insulto. «Io nella vita non bestemmio mai, e chi lo fa mi sorprende e in un certo senso offende la mia sensibilità: da agnostico non praticante, cresciuto con una nonna profondamente religiosa, non capisco chi insulta deliberatamente il nome di Dio o la fede altrui» sottolinea l’attore e regista cagliaritano. Quel titolo semplicemente riflette lo spettacolo, una volontà di autoflagellazione, l’interiorizzazione di un rifiuto. E l’immagine – una foto a colori che ritrae un giovane uomo a torso nudo, con una sorta di corona in capo, le braccia spalancate, sulle spalle un drappo purpureo, un’espressione di corruccio e forse di sfida sul volto – sembra altrettanto innocua, non certo capace di offendere il misterioso comune senso del pudore né, a meno di non vedervi (o volevi vedere) allusioni e intenti blasfemi, la religione.

 

Ibba Monni deve morire

Eppure – due giorni dopo la data per l’affissione, i manifesti non sono apparsi in città e alla richiesta di spiegazioni, dall’Ufficio Affissioni del comune è giunta una sibillina risposta: «non mi hanno avvisato, non mi hanno detto nulla e quando ho cercato di capire che cosa fosse successo mi hanno fatto capire che era una locandina “sconveniente” – c’è da dire che avevano una bozza della locandina da una settimana» racconta Andrea Ibba Monni. «Ho chiesto che mettessero nero su bianco le motivazioni ma son riusciti a rimanere nel vago, poi mi hanno richiamato per dirmi che forse stavano rivalutando la mia richiesta e alla fine è risultato che le avrebbero affisse solo in via Cadello, in via Is Guadazzonis e in viale Diaz – ma non di fronte al Mercato (la posizione che avevo scelto, e non a caso) perché – mi hanno spiegato – “lì vicino c’è il Conservatorio”. Una decisione che mi rifiuto di accettare – in assenza di motivazioni precise e argomentate – un’imposizione cui mi rifiuto di sottostare perché mi appare come dettata dall’ignoranza – che è la cosa più pericolosa che esista, proprio ciò contro cui lottano e che cercano di arginare l’arte e la cultura».

 

La questione non è ancora chiusa – né risolta – e i manifesti non sono stati affissi – in attesa di ulteriori spiegazioni: «Quindi al momento io ho solo una pec – in cui mi scrivevano che la locandina violerebbe gli articoli 9 e 10 del contratto perché offenderebbe la morale, la religiosità e il credo e il mio avvocato ha inviato una lettera di richiesta di rimborso della semplice tassa di affissione, che è stata accolta dall’Ufficio Tributi – ma intendo chiedere il risarcimento per i danni materiali e d’immagine».

L’immagine della locandina – realizzata dalla fotografa Sabina Murru – è davvero così… “offensiva” o pericolosa per – si ipotizza – le giovani menti degli studenti del Conservatorio? «Ma allora – si chiede Andrea Ibba Monni – perché non è stata censurata la locandina di “My BFF Annie”, su cui in realtà abbiamo riflettuto a lungo, che mostrava il corpo magrissimo di una ragazza colpita da anoressia

Misteri della burocrazia – o forse della censura. Intanto il caso – dopo quello di qualche anno fa di “Holy Peep Show” di LucidoSottile – di segno diverso ma con conseguenze analoghe e non meno paradossali, fa discutere: tra tutte le testimonianze di solidarietà da parte della società civile e degli artisti, val la pena ricordare quella del regista Enrico Pau, che ricorda i pericoli insiti in una censura del pensiero – e in un neo moralismo – proponendo a contrasto un’immagine dell’efficace slogan”Il est interdit d’interdire” – quando la libertà sta(va) scritta perfino sui muri.

Tra gli spettatori alla prima dello spettacolo ci sarà anche l’assessore alla cultura Paolo Frau che ha annunciato la sua partecipazione sul suo profilo pubblico su Facebook e che interpellato sulla questione ha preferito «lasciar parlare i fatti» – a volte un post vale più di un comunicato ufficiale – specialmente in termini di visibilità nell’era dei social network.                            La notizia e’ stata pubblicata sul giornale L’Unione Sarda di Cagliari del 21 Febbraio 2018          

Share

Comments are closed.