Spettacoli — 24/01/2020 at 08:23

Mare morto : Mirko D’Urso racconta la tragedia dei migranti nel Mediterraneo al Teatro Portland di Trento

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RUMOR(S)CENA – MARE MORTO – TEATRO PORTLAND – TRENTO – Va in scena venerdì 24 gennaio alle 21.00 nell’ambito della rassegna “La Bella Stagione” del Teatro Portland la compagnia ticinese Officina Teatro che presenta “Mare morto” lo spettacolo scritto e diretto da Simone Gandolfo. Protagonista  è ideatore del progetto scenico, l’attore Mirko D’Urso che racconta la tragedia dei migranti nell’ affrontare il mar Mediterraneo con la speranza di un futuro migliore o, se non altro, meno devastante. Negli ultimi quattro anni, più di quattromila persone, hanno perso la vita in mare e se un tempo era sinonimo di bellezza e di vita, oggi per molti rappresenta solo un mare di morte. In un indefinito punto del Mediterraneo Centrale un uomo alla deriva su un piccolo gommone osserva immobile il sole al tramonto tuffarsi nel mare. Accanto a lui, in mezzo ai resti di un naufragio, c’è un piccolo fagotto di stracci. L’uomo si chiama Malik e nel fagotto c’è sua figlia neonata: Anele.
La madre, Sheba, è morta su una spiaggia qualsiasi del Golfo della Sirte, circa settantadue ore prima falciata da una raffica di AK- 47 sparata ad altezza uomo per persuadere la marea umana a salire sui gommoni.
Malik si guarda intorno, intona una dolce ninna nanna mentre rovista fra le molte bottiglie di plastica alla ricerca di acqua dolce. Sembrano tutte vuote. La ricerca si fa sempre più frenetica e la ninna nanna si trasforma in un lamento straziante a cui si mischia il pianto di Anele, in un crescendo di rabbia impotente Malik si rivolge direttamente a Dio: preghiere, domande, minacce e avvertimenti eruttano in morsi di parole ringhiate.

foto di Giorgio Panzera

 

Improvvisamente Malik si ferma, il suo sguardo come schiaffeggiato, si volta verso la prua del gommone, un riflesso attira la sua attenzione ed istintivamente si lancia in quella direzione con la furia cieca della disperazione. Le sue mani ghermiscono una bottiglia di plastica mezza piena: 75 cl di acqua da bere, significa altre dodici ore di vita per lui e per sua figlia; sempre che riescano a combattere l’ipotermia. Malik si schiarisce la voce e rivolgendosi a volte alla figlia, a volte perdendosi nei ricordi che, evocati, prendono vita davanti ai suoi occhi; comincia a raccontare la storia di Sheba e del loro amore. Il flusso dei pensieri di Malik scorre libero, sono tracce di memoria fresca. Il racconto di Malik è costellato di fatti orribili: abusi, privazioni, violenze, torture.
Il racconto procede alternando una narrazione dettagliata e cruda dei fatti, a momenti in cui Malik si rivolge direttamente alla figlia perdendosi in una saggezza che solo chi è così vicino alla morte può sperimentare.
L’acqua è finita, l’alba non è ancora arrivata ed il sonno, che annuncia l’ipotermia, sta avendo la meglio. Malik ormai straparla, i momenti di lucidità sono isole in un flusso di coscienza vomitato a singhiozzi soffocati… Improvvisamente, quando proprio tutto sembra perduto, un faro in lontananza squarcia il cupo grembo della notte; Malik ci mette un attimo ad accorgersi che non è un’allucinazione, poi inizia a sbracciarsi, si fruga rapidamente addosso e trova una torcia di segnalazione. La voce distorta da un megafono gli arriva lontano: “we are Italian Cost Guard, we are here to rescue…”
Malik abbassa lo sguardo sul fagotto che ha poggiato in grembo:
– Anele, svegliati amore mio, siamo salvi!!! – ……. – Anele! Anele svegliati!!!!! –
Mentre la luce della motovedetta della Guardia Costiera italiana si avvicina sempre di più diventando accecante, la consapevolezza dell’inevitabile morde la carne di Malik e il nome di sua figlia diventa un urlo di dolore primordiale che si perde in un mare di luce…

 

foto di Giorgio Panzera 
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