Teatro, Teatrorecensione — 23/05/2023 at 10:29

Motus, “Tutto brucia” sul palco del Teatro Nazionale di Genova

di
Share

RUMOR(S)CENA – GENOVA – La compagnia romagnola Motus, fondata da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò durante i primi anno ‘90,  e già direttori artistici di Sant’Arcangelo Festival, si può a tutti gli effetti definire come tra i maggiori protagonisti della scena contemporanea di ricerca, con respiro internazionale. Il loro stile è il teatro fisico che si interseca con soluzioni scenografiche e attrezzature sofisticate, e le loro produzioni sono cariche di riferimenti simbolici nella rappresentazione di temi di grande attualità, pur partendo da spunti molto lontani, come per esempio il teatro classico.

In Tutto brucia, presentato al Teatro Nazionale di Genova, sala Ivo Chiesa, Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, con il supporto della drammaturga Ilenia Caleo e della cantante e musicista RYF (Francesca Morello),  i Motus hanno saputo creare un audace mix di parola, danza, musica e canto. Il titolo dell’opera è suggestivo, all’alba del terzo millennio pare di trovarsi alla fine di un’era in cui appunto la fine è l’inizio. Ispirandosi alla riscrittura che  Jean-Paul Sartre fece de Le Troiane di Euripide, vengono esplorati i temi del lutto, della disperazione e della morte a seguito di una guerra, quella di Troia, che lasciò le donne sopravvissute schiave in balìa dei vincitori. Una veglia funebre tutta al femminile. Troviamo anche le parole  di studiosi come Judith Butler, NoViolet Bulawayo, Donna Haraway, Ernesto de Martino e Edoardo Viveiros de Castro, intrecciate nella riscrittura di ricerca di Ilenia Caleo, e che conferiscono all’opera un tocco contemporaneo.

Tutto brucia ©Claudia Borgia

L’azione si apre su di un palcoscenico oscuro, con fondale in pvc che è poi uno schermo  di proiezione nero fumo molto grande, che si ripiega su stesso e dal quale escono le protagoniste di questa tragedia di morte. Urla e gemiti provengono dalle due creature che si materializzano, creando così un paesaggio sonoro che trasmette sofferenza, disperazione e lutto. La guerra tra Greci e Troiani è finita, Troia è stata distrutta e brucia ancora. Le donne troiane sono state trasformate in pedine di guerra, i loro mariti e figli uccisi, e presto saranno spedite  in terre sconosciute, attraverso il Mediterraneo. La parola parlata furiosa, da lupa agonizzante di Silvia Calderoli,  è contrapposta  a musica e canzoni eseguite in inglese da RYF (Francesca Morello), una nota cantante, cantautrice e chitarrista italiana, a lato del palco come a rappresentare un Corifeo in veste punk. Mentre da lontano giunge la danza di Stefania Tansini, sublime, perfetta, di una bellezza unica; il proprio sangue che emerge dalle sue vesti all’altezza del pube. ll viso, rivolto verso il cielo, coperto da  un fazzoletto fa trasparire le sue urla silenziose, evocando a i nostri occhi un’opera di Magritte. E poi, imbracciando falcetto e coltello si muove in trance, vorticosa e visionaria.

Motus ©Luigi_Angelucci_Sperimentale_Amati

Tutto avviene in una notte fatta di buio senza stelle, sopra ad un palco cosparso di cenere e materiale fangoso, mentre rari lapilli di luce si intravedono qua e là. Il buio, in certi tratti davvero soffocante, è squarciato dalle protagoniste nel fendere  luci al neon a forma di  spade, nel tentativo di scacciare il vincitore ormai padrone delle loro povere vite, vestite di povere vesti.

‘Regina della notte infiamma le stelle.
Quante torce: tutto brucia.
Sono abbagliata, tanto meglio.’

La percezione è di estremo dolore, disperazione, distruzione, catastrofe. Ma anche di compassione. Le danz-attrici danno voce ad  Ecuba, Cassandra, Elena, Polissema, Andromaca.

‘Chi è intelligente non fa la guerra’ urla Ecuba.

Nello svolgersi dell’opera – che ha avuto un lungo travaglio durante il periodo di ‘chiusura della cultura’ – dove nulla accade perchè tutto è già avvenuto, gli spettatori sono testimoni delle atrocità delle guerre e dei conseguenti inesorabili esodi migratori. Le guerre non sono mai comprensibili, sia per coloro che le vivono da dentro, sia per coloro che assistono da fuori e possono soltanto esserne partecipi, emotivi spettatori. Come incomprensibile è la certezza che a farne le spese sono sempre coloro che nulla hanno operato affinché il conflitto si consumasse. È il caso di Astianatte, giovane figlio di Andromaca e di Ettore. Il bambino, ucciso da i greci che temevano il proseguimento della stirpe romana, avvolto in un bianco, candido sudario, tra le braccia di Ecuba che disperata urla il suo pianto: con il suo sorriso di sangue è l’innocenza, simbolo dei morti di tutte le guerre. Se le parole rimandano ad un passato antico, la rappresentazione è atrocemente attuale, così come asserito nelle note di regia che vogliamo riportare.

“Gli archetipi di Ecuba, Cassandra, Polissena e Andromaca, le violenze subite da Elena e infine il corpo più fragile e inerme, quello del bambino Astianatte, danno voce ai soggetti più esposti e vulnerabili” affermano Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande. “Mai come adesso il lutto ci appare come una questione politica. Quali vite contano? Quali sono i corpi da piangere e quali no?” Partendo da queste domande i Motus ci consegnano una performance di abbacinante furore, dolore, disperazione miseramente attuali. La tragedia è ancora tra noi. Aggiungeremmo anche faticosa per lo svolgimento dell’azione quasi tutta agita al suolo, strisciante e per il buio che regna e l’oscurità che emana dalla scenografia; solo la musica eseguita dal vivo conferisce un’energia che pare offrire un velo di speranza. Per un pubblico di nicchia, non di immediata comprensione, ma pur sempre affascinante.

Visto il 3 maggio al Teatro Nazionale di Genova, Sala Ivo Chiesa

Share

Comments are closed.