Teatro, Teatrorecensione — 21/02/2020 at 07:12

La follia di Don Chisciotte “sognatore errante”

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RUMOR(S)CENA – DON CHISCIOTTE – TEATRO VERDI – PISA – Qualcuno sta morendo, bisogna fare presto per salvarlo. Un battito di cuore si sovrappone alle voci di medici e di infermieri, che tentano inevitabilmente una lotta contro il tempo. Si alza il sipario: in un letto a baldacchino nero giace morente un giovane, su cui incombe la Morte con la falce, mentre intorno altri personaggi in costume recitano preghiere in latino.
Dunque dove siamo? In quale epoca dovrà morire il moribondo? Ad interrompere una morte poco gloriosa è Don Chisciotte della Mancia, che attraversa la platea – e forse anche il tempo dal presente al passato – per chiedere una dilazione del termine alla Morte ed andare incontro ad una fine degna di un cavaliere. Nell’adattamento di Francesco Niccolini e diretto a sei mani da Alessio Boni, Roberto Aldorasi e Marcello Prayer, l’allestimento è una versione moderna ed ispirata al capolavoro letterario di Miguel de Cervantes, composto di due libri scritti tra il 1605 ed il 1615 e ripropone, in forma talvolta fedele e talaltra inventata, le avventure fantasiose dell’hidalgo spagnolo, Alonso Quijano, e del suo fido scudiero Sancho Panza. La drammaturgia evidenzia, rispetto al romanzo cavalleresco, l’aspetto psicologico della follia del protagonista, intesa come forma visionaria di libertà da un sistema di regole imposte da uno status quo e come desiderio di vivere grazie ai propri sogni.

 

 

Don Chisciotte © Gianmarco Chieregato

Don Chisciotte è infatti un “sognatore errante” che, dopo avere letto numerosi poemi e romanzi cavallereschi, tra cui l’Orlando furioso di Ariosto e la Chanson de Roland, decide di consacrare la sua vita alla missione del cavaliere, difendendo gli umili, liberando le donne dai malefici e combattendo per un ideale di giustizia universale. Per fare questo non occorre un tempo inenarrabile ma solo due ore, che il cavaliere possa usare per vivere e forse rivivere – nell’arco dello spettacolo che metterà in scena in una forma di teatro nel teatro – le sue avventure gloriose tra incantesimi e malefici del suo nemico, il mago Sacripante.
Nella messa in scena del primo atto il personaggio di Don Chisciotte è rappresentato in maniera appassionata da Alessio Boni come un guerriero visionario libero, capace di trasfigurare la realtà in sogno – come fanno i bambini – e di inseguire i propri ideali, tanto da trasformare una processione di penitenti in un gruppo di rapinatori, i mulini a vento in mostri giganti e un gregge di pecore in un esercito di saraceni. Perfino il rogo dei libri che hanno ispirato le sue avventure non basta a spegnere le sue convinzioni: l’hidalgo spagnolo ha dentro quel caos – parafrasando Friedrich Nietzsche – capace di dare vita ad una stella danzante. A fargli da contraltare comico Serra Yilmaz nei panni di Sancho Panza, il contadino analfabeta elevato al rango di fido scudiero dal dialetto incerto e dalla battuta sempre pronta, che talvolta smonta la follia bizzarra del suo padrone e talvolta la asseconda con sincero accoramento. Alla guida del suo ciuco, con cui forma un tutt’uno, Sancho Panza decide di diventare compagno di ventura, un po’ per l’interesse materiale del cibo e del denaro ed un po’ per scappare dalla realtà, rappresentata dalla moglie siciliana Teresa nei siparietti comici, e tuffarsi nel sogno.

 

Don Chisciotte © Gianmarco Chieregato

Nel secondo atto la riflessione prevale sull’azione: Don Chisciotte inizia ad essere più stanco, nelle intenzioni e nel fisico, forse perché avverte di avvicinarsi alla sua ultima ora. Tuttavia, le sue ultime forze sono dedicate a raggiungere l’oggetto del suo amor cortese, ovvero Dulcinea del Toboso, che lo porta al duello con il Cavaliere degli specchi, in un’atmosfera lunare e spettrale, e ad avventurarsi come un moderno Orfeo nella grotta di Montesinos, in cui si realizza l’amore platonico nella contemplazione mistica della donna, rappresentata per immagini come una sirena ammaliatrice dai grandi occhi chiari.
A rafforzare l’atmosfera di sogno e di favola che permea tutto lo spettacolo contribuisce la scenografia curata da Massimo Troncanetti in grado di introdurre numerosi elementi meccanici ed artigianali -la bambola gigante del re Filippo, la pala del mulino, gli alberi fantastici -. Tra i vari elementi scenici predomina il cavallo Ronzinante, animato nei movimenti e nei nitriti da Nicolò Diana, che diventa personaggio a tutti gli effetti, fedele compagno di avventure e capace di restituire emozioni forti soprattutto nella scena della struggente separazione dal suo padrone.
Fondamentali alla dimensione onirica sono anche le musiche, chitarra e percussioni oppure canti soavi, curate da Francesco Forni mentre le luci di Davide Scognamiglio prediligono effetti e colori irrealistici spettrali. A creare una cornice rispetto ai due protagonisti sono gli altri attori, ben diretti nella loro doppia o triplice parte o nelle scene di coro.

 

Don Chisciotte @Lucia De Luise

Nella parte finale diventa cruciale l’incontro con i Duchi, due nobili annoiati dalla vita ed incorniciati in abbondanti parrucche, che coinvolgono Don Chisciotte e Sancho Panza in una burla, ulteriore teatro nel teatro, da cui Don Chisciotte esce sconfitto. Ormai il suo spettacolo della vita è giunto al termine: non gli resta altro che tornare al punto in cui tutto ha avuto inizio e ritrovarsi dunque dal passato nuovamente nel presente, consapevole e anche felice di essere un folle nel suo letto di ospedale. Uno che ha vissuto in nome dei suoi sogni. Un fanciullino – per parafrasare Giovanni Pascoli – che ha saputo cogliere il sorriso nella lacrima.

Visto alla Fondazione Teatro Verdi di Pisa il 16 febbraio.

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