Teatro, Teatrorecensione — 20/12/2012 at 10:28

Il Muro di Turi Zinna oratorio sulla storia di una tortura per sbaglio

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Turi Zinna ha coltivato la voce rendendo vivido e presente un grottesco risultato dalla verve accattivante e fortemente ironica, mediante un gioco di voci e suoni e musiche. Un incipit, cadenzato e musicato dalla voce e dall’ondeggiare di mani che accompagnano l’aria e il suono, descrive il corteo che accoglie Benito Mussolini lungo la via Etnea a Catania nel 1937. La modalità drammaturgica sulla quale è impiantato l’intero testo coinvolge l’ambito della parola nel suo significato più sacrale, diviene evocativo il rituale del performer che esibisce con enfatica energia sonora il calvario di un barbiere, vittima casuale di carnefici militari. Accanto all’attore e autore, il musicista Giancarlo Trimarchi crea giostre di suoni inquietanti e devianti. L’atmosfera generata attraverso le varie modulazioni espressive sembra echeggiare lontane movenze di prefiche o di cori da tragedia che vaghino all’unisono tra gli astanti rapiti. Ed in effetti vengono presto evocati nella “Storia che disegna trame ineludibili” il fuso di Ananke e l’ordito di Cloto.

L’animato dialogo tra le parole e le note elettroniche fomenta il disagio del protagonista costretto a bere “un quarto di olio di ricino” dopo essere stato picchiato, dopo che gli hanno “spappolato il fegato, la milza, le reni”. L’epica  vicenda del barbiere Gioacchino si colloca in un contesto definito “oratorio techno”. Dell’antico formale componimento letterario e musicale omonimo sembra si possa riconoscere in esso il valore dato alla pura “parola” al “mot” francese, ovvero al “motto” allo spirito incarnato nel vocabolo che viene vivificato dallo scritto e dal suono del segno letto, interpretato e anche in questo caso musicato. La dimensione del narrante si avvicina a quella di chi intende recitare una filastrocca e narrare una vicenda che abbia una morale.

Questa pièce d’altro canto nasce da una scrittura fatta di storie e trame incastrate in una dimensione quale quella intitolata appunto “Ballata di San Berillo”, a cui viene conferita nel 2003 la “borsa di scrittura” nell’ambito del Premio Solinas e nel 2004 viene selezionata dal festival Tramedautore organizzato dall’OUTIS tra le cinque novità italiane dell’anno. Il quartiere di San Berillo è ancora una volta chiamato in causa per accogliere ed anche, con matrigna decisione, per trattenere in una prigionia popolare il barbiere protagonista. “Intrecciato” nel groviglio della sua storia sbagliata “per un abbaglio più fantasioso di Shakespeare”, mentre un pianista lascia cadere gocce di rosolio sulle corde di un pianoforte, sul volto gli si creano armoniche sembianze musicali unendosi alle sue lacrime di negata libertà.

                                                                                                                                  

Visto  nella rassegna “Chilometro Uno” per Querelle al Retronouveau di Messina il 5 dicembre 2012

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