Recensioni — 20/09/2021 at 13:30

“Dentro. Una storia vera, se volete”: la coinvolgente ricerca di una scomoda verità

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RUMOR(S)CENA – MILANO – “Il teatro civile non è più di moda, annoia, e quello politico non ricordiamo neppure più che sia esistito” dice con trasparente ironia Giuliana Musso in una delle prime battute di Dentro. Una storia vera, se volete. Eppure, fin dal suo splendido spettacolo d’esordio, Nati in casa, e via via con i successivi, quali La fabbrica dei preti, Sexmachine, Giuliana ha largamente praticato il teatro d’inchiesta e d’impegno civile. Poco oltre, lei stessa dichiara: “Solo la verità ci può salvare”, quasi una parafrasi del credo etico ed estetico di Dostoevskij, che lo scrittore, nell’Idiota, mette in bocca al principe Myškin: “La bellezza salverà il mondo”. Questa citazione, mi serve per cercare di connotare quest’ultimo suo lavoro, felicemente riproposto nell’ambito del Premio Hystrio 2021.

Si tratta, in effetti, di un testo politicamente e socialmente impegnato. E se non avessi pudore nel ricorrere a un’espressione abusata e stiracchiata, applicata di volta in volta alle più diverse forme drammaturgiche, ricorrerei al termine “teatro-verità”. Ma forse posso più correttamente parlare di uno spettacolo sulla verità, intesa nella sua accezione più ampia, la cui radice compare fin dal sottotitolo; e il concetto riemerge, come un mantra, nei tredici capitoli (così li chiama Giuliana) in cui il testo si articola.

La sua struttura è quella del teatro nel teatro che, quasi spudoratamente, si dichiara tale fin dall’incipit: “Buonasera. Io non sono un personaggio teatrale. Mi chiamo Giuliana, ho cinquant’anni, vivo a Udine. Io sono io. Un anno fa ho incontrato una donna. Si chiama Roberta, Ha la mia stessa età, vive a Milano, ha tre figli. Neanche lei è un personaggio teatrale. Lei è lei”.

@Federico Sigillo

E, capitolo dopo capitolo, si dipana una storia i cui contorni, ora ci cadono addosso con violenza, ora appaiono sfuggenti, ma che è anche la cronaca della complessa gestazione dello spettacolo. Di fatto, non c’è azione, e tutto è affidato alla suggestione e alla forza della parola. Giuliana racconta come, un anno fa, è stata avvicinata da Roberta, che le chiede di scrivere un testo che l’aiuti a liberarsi da un’ossessione, dalla convinzione, mai dimostrata, ma indotta da una quantità di indizi, che la figlia Chiara sia stata oggetto di abusi sessuali da parte del marito, da cui si è ormai separata da qualche anno. Chiara è ormai un’adolescente, ma fin da piccola ha con la madre un rapporto conflittuale, addirittura violento.

Giuliana all’inizio rifiuta, si schermisce. Ma poi si lascia coinvolgere nella ricerca di quella sfuggente, contraddittoria verità che fatica ad emergere, ostacolata da pareri di psicologi, assistenti sociali, avvocati, poliziotti. Giuliana vuole documentarsi sulle implicazioni sociali, giudiziarie antropologiche dell’incesto, e le capita anche di sorbirsi la compiaciuta dissertazione di un magistrato sulla differenza fra segreto, censura e tabù. Si imbatte in una dichiarazione di Freud che, in una memora del 1896, recepita gelidamente dalla comunità scientifica, sostiene che l’isteria, sia maschile, sia femminile, abbia sempre origine da traumi di natura sessuale patiti nell’infanzia.

@Federico Sigillo

Al progressivo coinvolgimento di Giuliana corrisponde un crescendo di partecipazione emotiva dello spettatore, via via catturato, indignato, e sgomento per quel fatto di cronaca e per le sue implicazioni: l’incredibile insipienza e superficialità delle istituzioni, l’impotenza della madre. Quanto a me, mi sorprendo a domandarmi se quella storia, così personale, resa con tale credibilità dalle due donne, sia autentica. Poi scelgo di non pormi il problema, e neppure di chiedermi quanto queste situazioni possano esser diffuse (“Ce n’è un puttanaio di questa gente”, sbotta a un certo momento Roberta”). Non solo perché capisco che quella storia è vera, per il fatto stesso che Giuliana e Maria Ariis ce la stanno facendo sentire tale; ma perché il mio interesse di recensore si sta spostando su un piano diverso.

Siamo indubbiamente dalle parti di Pirandello, fin dalle trasparenti assonanze del titolo: Sogno (ma forse no; o Così è (se vi pare). Ripenso alle ultime battute che concludono questa commedia, quando Lamberto Laudisi, il personaggio coro, alla dichiarazione della donna velata (“Io son colei, che mi si crede”), ribatte: “Ed ecco, o signori, come parla la verità!”. E mi rendo conto che anche nelle vicende che emergono con fatica dal racconto di Roberta “c’è una sventura, come vedono, che deve restar nascosta, perché solo così può valere il rimedio che la pietà le ha prestato”.

Vale la pena di ricordare che Massimo Castri, acuto interprete pirandelliano, dietro quel testo adombrava un incesto, il cui tabù l’autore non aveva voluto rendere esplicito. Personalmente nutro qualche perplessità su tale interpretazione, ma la concomitanza sorprende. Preferisco tuttavia riflettervi in termini epistemologici. Più o meno ai tempi di Pirandello, nei primi decenni del XX secolo, si sviluppa un dibattito sui limiti della conoscenza scientifica. Ne seguirà, fra l’altro, la doppia natura, a un tempo corpuscolare e ondulatoria della luce, e il principio di indeterminazione di Heisenberg (che, a un dipresso, dimostra l’influenza che l’osservatore esercita sull’osservato, modificandone le caratteristiche).

Senza entrare nel merito scientifico di queste questioni, non credo sia azzardato sostenere che Pirandello, come spesso succede agli artisti e ai poeti, con Così è (se vi pare), che è del 1917, esprime quasi profeticamente gli esiti di quel dibattito. Anche fuori dal contesto scientifico, da quel momento il concetto di verità sarà sottoposto a critica, e il suo approccio si farà più problematico e prudente. Nel testo di Giuliana, ciò che cattura il pubblico, per quasi due ore, e senza un istante di requie, più che l’indignazione per l’incesto, o la consapevolezza della diffusione del fenomeno, è la disturbante difficoltà di giungere a una verità certa, è per l’impotenza, l’impossibilità della ragione umana, non solo in ambito scientifico, ma anche in quello psicologico e comportamentale, a cogliere l’intima verità degli eventi. E questo è forse uno degli elementi più originali e stimolanti di questa straordinaria invenzione spettacolare di Giuliana Musso.

Il lavoro si articola in forma di dialogo, ma spesso Giuliana si rivolge direttamente al pubblico. Il linguaggio, pur modulato in diversi registri, ha in ogni momento lo stigma della verità (e qui mi scappa di nuovo quella ingombrante parola), l’immediatezza del parlato. A tratti si fa violento, sopra la righe, ma vi si trovano anche momenti che fanno sorridere, come nell’amara, compiaciuta prolusione del magistrato un po’ trombone.

Dopo il debutto a Venezia, alla Biennale Teatro 2020, Dentro, prodotto dalla Corte Ospitale di Rubiera, è stato trasmesso da Radio 3 Rai lo scorso 8 marzo, in occasione della giornata della donna. In tale circostanza avevo avuto un primo, coinvolgente approccio a quella stimolante edizione sonora, e già avevo apprezzato i sobri, penetranti interventi musicali di Giovanna Pezzetta, affidati ora al violoncello, ora al pianoforte. La visione dal vivo, al di là della presenza a tutto tondo delle due splendide interpreti, offre un’ulteriore dimensione alla messinscena, anche grazie alla severa, efficacissima scenografia di Francesco Fassone, che sottolinea con un intelligente contrappunto visivo lo sviluppo drammatico della vicenda. La scena consiste in un grande quadrato rosso, che ricopre quasi interamente il palcoscenico; lungo i due lati perpendicolari al proscenio sono allineate dodici sedie, anch’esse rosse:(un colore di per sé gravido di simbologie). Ma questa ordinata, eppur quasi inquietante simmetria, a poco a poco viene manomessa. Giuliana e Roberta spostano le sedie, ora in mezzo, ora verso i margini del quadrato; vi si siedono e, a mano a mano che il dialogo si anima, e si evidenziano le contraddizioni che punteggiano la vicenda, l’ordinata geometria iniziale si sconvolge finché, verso il finale, tutte le sedie giaceranno rovesciate, o adagiate su un fianco.

Nell’ultimo capitolo, il tredicesimo, Giuliana legge una lettera di Freud del settembre 1897, con la quale lo scienziato ritratta la posizione assunta un anno prima sull’origine dell’isteria: un’altra apparente certezza scientifica che va in fumo. Il problematico rapporto fra Chiara e la madre sembra mostrare qualche vago segnale di risoluzione, e Giuliana confida a Roberta che scriverà un testo sul racconto del loro incontro, sulla difficile ricerca di una verità complessa: l’intrigante spettacolo cui abbiamo assistito.

Visto a Milano al Teatro dell’Elfo, sala Shakespeare, il 9 settembre 2021

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