Cinema — 19/11/2017 at 22:22

L’uomo senza nome di The place

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RUMORSCENA – L’ultimo film di Paolo Genovese, “The place”, nelle sale cinematografiche dallo scorso giovedì 9 novembre e distribuito da Medusa, ha una sceneggiatura drammaturgica che si presta molto bene ad una messa in scena teatrale. La storia infatti si svolge all’interno di un unico spazio, il bar dal quale prende il titolo il film, di cui si vedono gli interni ed al massimo il marciapiede. I fatti vengono raccontati dai personaggi, che si affollano come una corte dei miracoli intorno all’uomo senza nome. Lo svolgimento scorre nelle loro parole, nei dettagli e nei loro gesti. La firma di Paolo Genovese è facilmente intuibile già dalle prime scene del film, che ha numerosi elementi in comune con il precedente “Perfetti sconosciuti“. L’ambientazione infatti è sempre statica, siamo soltanto passati da una casa ad un bar, con un effetto claustrofobico che ricorda sia l’atmosfera di “Carnage” sia quella di “Venere in pelliccia”, entrambi diretti da Roman Polanski. L’unità spaziale consente una descrizione psicologica dei personaggi che si concentra sul volto, sul corpo e sulle loro emozioni di stupore, rabbia e disperazione che scaturiscono dalle relazioni che loro stessi intrecciano con l’uomo senza nome. Anche il cast infine nasce da una costola di “Perfetti sconosciuti”, tra cui spiccano i nomi degli affezionati Valerio Mastandrea, Marco Giallini e Alba Rohrwacher.

Sabrina Ferilli

 

La storia è ispirata alla serie televisiva “The Booth at the end” di Christopher Kubasik e ruota intorno ad un coro di nove personaggi, tutti “perfetti sconosciuti“, che si presentano in un luogo altrettanto sconosciuto, “il posto” appunto – anche il nome del bar è volutamente vago – per incontrare un uomo, che siede lì a qualsiasi ora del giorno con un’agenda in mano. Nessuno sa il suo nome o da dove viene, ma ogni personaggio sa che lui è lì per esaudire i loro desideri. Tra di loro c’è una vera e propria commedia umana: c’è la suora che ha perso la fede, il cieco che vorrebbe tornare a vedere, il padre che vuole salvare il figlio malato, il meccanico che farebbe di tutto per una notte di sesso, il poliziotto che vorrebbe ricevere l’amore del figlio, il figlio ladro, la ragazza che vorrebbe essere più bella, la moglie delusa e la moglie che vorrebbe guarire il marito malato di Alzheimer. Per ogni desiderio c’è un accordo da portare a termine e per ogni accordo concluso c’è una pagina dell’agenda che viene bruciata.

Silvia D’Amico e Silvio Muccino

 

Per buona parte del film ci chiediamo chi possa essere l’uomo senza nome (Valerio Mastandrea). Potrebbe essere un diavolo oppure un angelo, per alcuni anche uno psicologo. A volte non sembra neppure umano per la facilità con cui dispensa accordi a volte impossibili ed eticamente inaccettabili. Sicuramente non è un mostro, anzi dà da mangiare ai mostri che gli siedono davanti a turno, alcuni di loro pronti a fare qualsiasi cosa pur di ottenere quel desiderio che inevitabilmente dimostra tutta la loro fragilità umana. La tensione per quello che potrebbe accadere è continua, smorzata qua e là nelle scene in cui compare Marco Giallini, che è l’unico del coro in grado di tirar fuori un sorriso dal gusto sempre molto amaro.

Vittoria Puccini

 

L’obiettivo della regia è quello di raccontare nove drammi umani e di scavare nella psiche di ogni personaggio, portandone a galla il bene o il male. Complici della buona riuscita sono la sceneggiatura accattivante, tagliente e caratterizzata da dialoghi serrati uscita dalla penna di Paolo Genovese ed Isabella Aguilar e le musiche che mantengono sempre alta la tensione. Nessuno degli accordi proposti dall’uomo senza nome rappresenta una costrizione, ogni personaggio è lasciato libero di scegliere cosa fare e cosa non fare e non tutti cederanno alla tentazione di fare del male.  Verso l’uomo senza nome proviamo una serie di sentimenti contrastanti, dalla rabbia all’orrore alla compassione. Tra tutti i personaggi del coro è l’uomo più solo, perché destinato ad ascoltare i mali del mondo. L’unica persona che si siede al suo tavolo per parlare e non per fare richieste è la cameriera Angela (Sabrina Ferilli), che potrebbe essere forse la prescelta e l’unica in grado di prendere il suo posto. Come fa intravedere il film con la scena finale e la pagina bruciata, che lascia con il fiato sospeso e la stessa sensazione di ambiguità di “Inception”. 

Valerio Mastandrea

 

 

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