Recensioni — 17/10/2021 at 12:01

La banca dei sogni: il mondo onirico di quattro stagioni della vita

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RUMOR(S)CENA – MILANO – La struttura, decisamente atipica dello spettacolo rende non facile ascriverlo a un genere definito. Qualificarlo come “esito visibile di un percorso laboratoriale” (come spesso si fa riferendosi al teatro nel sociale) sarebbe riduttivo, e fuorviante. La regista Francesca Merli, gli attori Laura Serena e Davide Pachera, la musicista Federica Furlani hanno accettato la sfida di affrontare un tema estremamente scivoloso: il sogno. Senza scomodare Freud o Shakespeare, si prova una certa commozione nella loro determinazione a investigare la realtà utilizzando la materia sfuggente, impalpabile, della quale sono fatti i sogni. E la cosa più incredibile è che, non solo ci riescono, ma ne ricavano anche un autentico, originale prodotto teatrale.

Il lavoro, che ha ricevuto riconoscimenti e premi, prima che a Milano è già stato proposto in diverse città (Firenze, Trieste, Treviso e Novara), e nasce ogni volta da un’inchiesta svolta sul territorio, in ambienti o presso istituzioni ove la compagnia, che si è data il nome di Domesticalchimia, raccoglie le testimonianze di persone cui si chiede di raccontare i loro sogni.

crediti foto Luca Meola

Per esempio, a Milano le indagini, o meglio gli incontri, come preferisce chiamarli Francesca, hanno avuto luogo in una molteplicità di sedi: dalle scuole alle società sportive; biblioteche, parchi, fino al reparto di Medicina del Sonno dell’Ospedale San Raffaele e la casa di riposo “Giuseppe Verdi”, e infine, nei bar e nelle strade della città; un lavoro di preparazione durato tre settimane, che ha coinvolto circa duecento sognatori. L’ispirazione nasce da un libro intitolato La Banca dei sogni, pubblicato nel 1970 degli antropologi Jean e Françoise Duvignaud e Jean-Pierre Corbeau, che raccolgono i sogni dei francesi e li catalogano secondo le attività lavorative e le classi sociali di appartenenza. In questo saggio si imbatte quasi casualmente Francesca, e ne assume, oltre al titolo, l’idea di base e la modalità di indagine. Ne modifica tuttavia la suddivisione in categorie: non per classi sociali, ma secondo le stagioni della vita, cioè l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta, la vecchiaia.

C’era il rischio di cadere in luoghi comuni di impronta psicologica, se non addirittura psicanalitica; ma l’intento, e di conseguenza la scelta drammaturgica, non sono affatto didascaliche. L’obiettivo dichiarato del lavoro era “scattare una fotografia, o meglio una radiografia del presente, attraverso uno strumento considerato intimo e individuale quale è il sogno” e, con questi materiali, costruire uno spettacolo. Altrettanto ardita è stata la decisione di mettere in scena dei non professionisti: una scelta non priva di pericoli, ma particolarmente vicina agli interessi culturali e artistici della compagnia.

crediti foto di Luca Meola

“Sento il bisogno di interpellare l’altro”, spiega Francesca. “Il teatro ha spesso intrapreso percorsi analoghi a quelli del giornalismo d’inchiesta, ma questa modalità, nel nostro caso, è solo un punto di partenza: la metodologia applicata per svolgere le interviste, per poi trovare un nostro modo per rappresentarle.” Dopo avere raccolto questa grande quantità di sogni (“la cosa più intima che quelle persone custodiscono”), Francesca si rende conto che loro stessi, i non professionisti “possono portare in scena una verità feroce, che si contamina con la finzione teatrale e vi si fonde. Come succede ai sogni che, appena si scontrano con la realtà, diventano altro. Portare in scena i ‘non attori’, specie quelli di fasce d’età rischiose e imprevedibili, è stata una grande sfida. Ed è stato importante, per il processo creativo che abbiamo cercato di mettere in atto, farli salire sopra il palco, che è il luogo precipuo della finzione, cercando in qualche modo di preservare la loro autenticità e le loro particolarità. Queste persone, tramite i loro sogni, parlano delle loro storie, ma portano anche dei simboli, le testimonianze delle loro età e della società in cui viviamo”.

Alla drammaturgia collettiva, cui ogni volta lavorano Francesca, Laura e Davide, Federica contribuisce declinando la sua originaria formazione di violista nella creazione di un delicato contrappunto sonoro, ora melodico, ora percussivo, che contribuisce in modo determinante a trasformare le testimonianze, le evocazioni, i ricordi, spesso vaghi, in un oggetto poetico e teatrale. Laura e Davide, mantenendo in scena i loro nomi, guidano maieuticamente gli altri attori, che recitano se stessi, valorizzando, esaltando, a volte ricreando teatralmente le fantasie evanescenti scaturite dei loro sogni. In tal modo la libera, anarchica logica onirica si sovrappone con naturalezza e si confonde con le regole, anch’esse vaghe e fluttuanti, che governano la creazione teatrale.

crediti foto di Luca Meola

Ognuna delle sezioni afferenti alle diverse fasce di età ha una sua efficacia (anche grazie a un raffinato disegno delle luci), ed è densa di suggestioni antropologiche e sociali: negli adolescenti riconosciamo la generazione che una felice invenzione letteraria ha definito “gli sdraiati”; gli adulti appaiono in tutta la loro frenetica, inconcludente impotenza. Particolarmente significativa la presenza di Artur, il ragazzino ucraino adottato, che ritrova in sogno le immagini di una camerata ove ha probabilmente trascorso un’infanzia non felice, legata ad altri incubi ricorrenti, indotti da uno scherzoso momento ludico vissuto sulla scena assieme a Davide. Riuscitissima la restituzione delle fantasie oniriche di Fiammetta, una donna anziana, nella cui camera da letto entra un ladro saltellante in calzamaglia nera (immagine cui dà corpo ancora Davide, con un’esilarante prestazione mimica). E infine c’è Claudio, un imponente baritono in pensione dai lunghi capelli bianchi, che si appropria della scena con autorevolezza da protagonista, raccontando i sogni che in gioventù gli avevano profetizzato una brillante carriera musicale.

A di là della qualità spettacolare, di notevole livello, ancora più intrigante e degna di attenzione è la modalità di lavoro: ogni sede in cui lo spettacolo è riproposto presuppone un’indagine sul territorio e una nuova elaborazione drammaturgica, che implica anche una continua verifica in itinere. Una scelta coraggiosa, un merito non secondario della compagnia.

Visto nella Sala Grande del teatro “Franco Parenti” di Milano il 2 ottobre 2021

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