Teatro, Teatrorecensione — 17/03/2014 at 23:22

Il fare teatro con onestà e maestria: “Sik Sik e l’artefice magico”, parla alla gente

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A teatro basta il mestiere. Saper fare quello che si deve fare. Per coinvolgere, smuovere, provocare il pubblico. Infondergli nello spirito letizia o disappunto, stuzzicarne il dissenso o raccogliere consensi, nutrire coscienze, suggerire. Emozionare. Basta il mestiere eseguito con lealtà. Che non è eseguire una partitura. Non è da interpreti. Non è sinonimo di faciloneria. E’ restituire, anzi, un lavoro ben fatto, pulito, onesto, semplice. D’accordo che non ci sia un metodo primeggiante in assoluto o un decalogo su cui standardizzare cosa funzioni o cosa no (per il pubblico), ma in barba a tanto cercare artificio per rendere esteticamente e eticamente qualcosa che si perde nella forma, lode alla purezza, alla semplicità, alla compiutezza agevole. Certo, a braccetto con talento e dote.

Sik Sik2 - Foto di Pietro Scarcello

Si deve essere altamente dotati tecnicamente per rendere – per esempio – una naturalezza assai credibile, in scena. Padroneggiare l’arte da farne e disfarne a piacimento. Di “Sik Sik e l’artefice magico” diretto da Pierpaolo Sepe, con Benedetto Casillo, Roberto del Gaudio, Marco Manchisi, Aida Talliente, si potrebbe essere ingolositi alla visione considerando questo assunto. Una riproposizione – da una rappresentazione inedita ‘ritrovata’ e rimessa insieme negli archivi Rai da frammenti – fedele all’originale, testimonianza del fare teatro intatto nel tempo a conservare smalto, approdo, universalità.

L’atto creativo confezionato ad arte, ma non impacchettare per servire un prodotto, centellinare minuziosamente invece, sottrarre, sintetizzare, costruire scene equilibrate in toni, colori, apparati, grammatiche e recitativi. Elementi riconoscibilissimi, codificati: calembour, topos dialettici e di struttura di commedia, comicità, sberleffo. Elementi da rintracciare nel sottotesto: l’atto politico del dire dell’arte della rappresentazione, indagine di contesto: marcare il labile il confine tra millantatori e artisti, dire di pubblico e attori caratterizzando i personaggi con sfumature lievi, tratteggio leggero, rappresentare per dire dell’uomo.

La parola, la mimica, la sapienza eduardiana restituita sì di maniera, ma con innesti audiovisivi di profondo spessore. Lo spessore del lavoro attoriale di qualità, del cenno poco plastico ma di efficacia cristallina, tecnica e autenticità, la focalizzazione della meccanica del corpo nella parte. E il meccanismo scenico si sbroglia compiuto, diretto, chiaro. Un atto unico in due movimenti a cui far seguire la riflessione silente amplificata in diverse direzioni. La dignità nel portare avanti il mestiere e il doppio dello sberleffo all’approssimazione, la denuncia, sottesa mai di petto o paternalistica, all’improvvisarsi teatranti, la straordinaria fotografia all’umanità in cui De Filippo fu e rimane maestro indiscusso: la scultura di fisionomia umana e morale da assumere come archetipo. E lo spettatore, pur prevedendo il resoconto narrativo è stupito, mosso a compassione per le sorti del bistrattato illusionista. Un antieroe di repertorio, maschera di collettività specchiate, soggetto popolare. Nei personaggi eduardiani l’identità umana intera mimetizzata in stereotipi o individualizzazioni. Nella caratterizzazione mostrata al pubblico, non descritta o delineata.

sik

L’azione ricorrente per realistico e talvolta casuale accadere, ritmata da un serraglio dialogico strutturato a tipicità commediografe e drammaturgiche, corpus drammaturgico snello anche se fosse epurato dal contesto. Ingredienti dosati da un lavoro di regia essenziale e personale, in cui si legge la firma poetica – in altre parole – senza tramutare originalità e creazione primordiale. La leggerezza di un trasposto senza troppo chiedere allo spettatore, chiamato in causa tuttavia nel porsi domande e trovare risposta, nell’intuire, nel guardare oltre, nel riconoscersi o tradirsi o confrontarsi con distacco. Metaforizzare l’esistenza, soffermandosi su figliocci, gente comune, miserabili anche. La misura anti-borghese al teatro di regia, alle costruzioni su protagonisti rampanti. Il teatro che parla alla gente. Da non perdere.

SIK SIK E L’ARTEFICE MAGICO

Di Eduardo De Filippo

Regia Pierpaolo Sepe

Con Benedetto Casillo, Roberto Del Gaudio, Marco Manchisi, Aida Talliente

 (crediti fotografici di Pietro Scarcello) 

Visto mercoledì 12 Marzo ’14 al Teatro Auditorium Unical – Università della Calabria, Arcavacata di Rende (Cosenza)

 

 

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