Danza — 16/09/2025 at 14:01

I danzatori “elementali” di Yue Yin e i presepi marziani di Eszter Salamon

di
Share

RUMOR(S)CENA – ROVERETO – (Trento) – Oriente Occidente compie 45 anni e ha aperto il suo cartellone di danza dal titolo “Corpi assenti”  all’Auditorium Melotti con “SOMEWHERE” interpretato dalla compagnia della coreografa cinese e al teatro Zandonai  “Monument 0.10: the Living Monument“ dell’ungherese Eszter Salamon per Carte Blanche

Era dai tempi di Shen Wei, forse, che non si faceva notare sulle nostre scene una coreografa cinese dal segno originale: Yue Yin, invitata a inaugurare il cartellone di danza di Oriente Occidente con il suo SOMEWHERE in prima europea. Non casualmente, data la spiccata predisposizione del Festival diretto da Lanfranco Cis a guardare fin dagli inizi agli intrecci fra culture lontane. Poco più che quarantenne, infatti, Yue Yin ha radici in Cina, a Shangai, dove ha studiato tecnica accademica, approfondendo anche le danze popolari di Cina e Mongolia. Ma soprattutto è cresciuta artisticamente – come Shen Wei, del resto – in America, assorbendo l’aria frizzante e versatile del mondo della danza newyorchese. Nella Grande Mela vive, lavora, ha fondato la sua compagnia nel 2018 e mette in scena la tecnica sperimentale che ha elaborato, il FoCo, melting pot di tutte le sue esperienze.

YUE YIN_SOMEWHERE_crediti MONIA PAVONI

E c’è davvero f(u)oco nelle sue creazioni, come in questo SOMEWHERE, secondo capitolo di una trilogia partita con NOWHERE (magari sui titoli si poteva azzardare di più): un’esplosione di energia che parte dai duetti e arriva ai momenti d’insieme che ricordano un po’ la coralità fiammante di alcune coreografie di Hofesh Shechter, senza raggiungerne la compiutezza spettacolare. SOMEWHERE resta un po’ sospeso, da qualche parte appunto, senza approdare davvero a una visione totale. Non è chiara l’alternanza dei cinque elementi (legno, fuoco, terra, metallo e acqua) tratti dal testo sapienziale de I Ching che ispirano il ritmo della coreografia. Riuscita invece la qualità del movimento che Yue Yin imprime ai suoi danzatori, accogliendo in sé la fluidità liquida di certe pratiche cinesi e l’impianto fra classico e contemporaneo delle forme di danza. È uno step ulteriore che propone un danzatore nuovo. Forte e generoso, flessibile e “collettivo” nella risonanza che riesce a instaurare con il gruppo. Un piacere per gli occhi vederli danzare tutti e otto, bagnati dalle luci di Solomon Weisbard e accompagnati dalla punteggiatura elettronica di Michel Banabila.

***

YUE YIN_SOMEWHERE_crediti MONIA PAVONI

Di tutt’altra velocità, anzi staticità, è Monument 0.10: the Living Monument, performance proposta al teatro Zandonai dalla compagnia norvegese Carte Blanche. La firma Eszter Salamon, ungherese classe 1970, che vive tra Berlino, Parigi e molti altri luoghi dove è chiamata a elaborare le sue creazioni, spesso incentrate a ripensare i rapporti tra corpo, visione, percezione ma anche memoria e gender. Dal 2014 si è concentrata sull’idea di monumento, ripensandone il senso e la prospettiva, in una serie numerata all’indietro, come una sorta di autoproclamazione di “anti-monumento”. Dal Monument 0.1, per dire, in cui Salamon esplorava l’esperienza dell’invecchiamento del corpo con Valda Setterfield e Gus Solomons jr, due anziani danzatori di Merce Cunningham, al Monument 0.7 in cui la stessa Eszter duettava con sua madre riflettendo nei movimenti e nei gesti un dna familiare e femminile.

ESZTER SALAMON_MONUMENT 0.10_PH MONIA PAVONI

L’attuale performance, in prima nazionale italiana, risale al 2022 e insegue l’utopia di un monumento in lentissima metamorfosi che attraversi il tempo e la memoria nel suo divenire. Ne riassuma, in qualche modo, tutti i monumenti che lo hanno preceduto e che verranno. Undici paesaggi, quasi esclusivamente nel bianco dei costumi e nel nero delle ombre, in cui mutano al ralenti forme umanoidi. Sono presepi marziani, dove l’intento di riconoscere profili e forme diventa un gioco di pareidolia affidato allo spettatore, dove ognuno può ricostruire in quel biancore nubiforme una sua trama di associazioni.

YUE YIN_SOMEWHERE_crediti MONIA PAVONI

Qua e là possono intuirsi spunti primari di statue, gruppi scultorei come sciacquati dall’acqua del mare ma è anche il ritrovarsi nel retrobottega di una sartoria teatrale (Salamon non fa mistero nel raccontare di aver collezionato per lo spettacolo “oggetti comuni, tessuti e materiali in negozi secondhand, oppure ereditati da altri teatri”). Il fulcro di tutto è la non-azione, il compiere una metamorfosi quasi impercettibile, modulata dagli squarci di luce di Silje Grimstad e dalle incursioni sonore e canore orchestrate da Carmen Villain. Elogio della lentezza che protagonisti del Butoh come Kazuo Ohno o Ko Murobushi seppero declinare con un pathos assente da questa performance. Eseguita comunque magistralmente nell’arco di due ore dai 14 interpreti, impegnati nello sforzo estremo di non far riconoscere l’umano che è nei loro costumi.Si finisce nel bagliore di una scena candida che sembra riassorbire tutti gli umori. Apice di una creazione per palati pazienti.

Visti al festival Oriente Occidente Auditorium Melotti e Teatro Zandonai il 5 e 6 settembre 2025

Share

Comments are closed.