Cinema, teatro danza — 15/11/2011 at 20:43

“Danziamo, danziamo, altrimenti siamo perduti”, Pina di Wim Wenders

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Chi va a vedere il film di Wim Wenders su Pina Bausch ama il cinema di Wenders, conosce  la celebre coreografa, o almeno il suo nome. Può essere che non sia un esperto di danza  e nello specifico di teatro danza, ma è possibile che sia andato almeno una volta a teatro a vedere un balletto, anche se le probabilità di aver visto uno spettacolo di Pina Bausch, sono scarse.

 

Quando Wim Wenders, tedesco come Pina Bausch, che è nata a Solingen ma ha fondato la sua scuola e la sua compagnia a Wuppertal in Germania, ha deciso di fare un film dedicato a lei e nello specifico sul suo ultimo spettacolo, intitolato “Vollmond” (Luna piena), andato in scena quest’anno al Teatro Strehler di Milano, non poteva sapere che questa straordinaria e compianta artista, ci avrebbe lasciato poco dopo l’inizio della lavorazione.

 

 

 

Il 30 giugno 2009, il giorno della sua scomparsa, Pina aveva 68 anni. Avrebbe potuto ancora coreografare e avvicinare più persone al linguaggio del teatro danza.  Wenders, che aveva visto uno spettacolo di Pina Bausch, se ne era innamorato a prima vista, nonostante fosse a digiuno di danza, ha deciso di  realizzare  il suo primo film dedicato al teatro danza in 3D, che si sarebbe intitolato “Pina” , prodotto da La Neue Road Movies di Wenders, in collaborazione con Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, con l’intento di realizzarlo insieme a lei.

 

A Milano quando è arrivato Vollmond, non sono mancate le polemiche per via che lo spettacolo avrebbe potuto essere ospitato al Teatro alla Scala, considerata la grandezza dell’artista prematuramente scomparsa, e il fatto che molti giovani avrebbero voluto vedere dal vivo almeno un suo lavoro. Lo Strehler è un teatro di dimensioni troppo ridotte  che non potuto accontentare l’enorme richiesta di spettatori, intenzionata a vedere la compagnia, rimasta insoddisfatta per la  vendita di biglietti a sufficienza.

 

Il grande afflusso di pubblico, soprattutto giovane, all’ultimo spettacolo della Bausch, è stata già una chiara dimostrazione di quanta curiosità abbia suscitato anche tra le giovani e le vecchie generazioni, la rivoluzione compiuta da questa artista nel campo della danza. Molti attendevano con ansia l’uscita di questo film su di lei. Pina Bausch non guardava l’età dei ballerini e il tipo di tecnica che avevano studiato. Pur facendo fare loro tutti i giorni come allenamento la sbarra classica, per lei era importante l’anima dei suoi ballerini, quello che loro riuscivano ad esprimere attraverso il movimento. La motivazione interiore che li spingeva a danzare. Per questo scavava dentro di loro, studiava la loro psicologia, cercava di far emergere i sentimenti più nascosti, le loro sofferenze ma anche la gioia e la loro voglia di vivere e di danzare. Aveva completamente scarnificato la danza allontanandola dal puro gestito estetico o estetizzante. Pur guardando sempre alle linee e alla forma, l’importante era il contenuto, l’espressione della forza e dell’energia sprigionata dall’anima del ballerino, ciò che era dentro la loro danza.

 

Non le interessava il solo aspetto formale, per questo i suoi spettacoli potevano essere un pugno nello stomaco come anche un grande divertimento. Il suo modo di fare danza entra nella quotidianità, appartiene alla vita di tutti i giorni. E per questo per lei girare le città, conoscere i diversi modi di vivere delle persone, la loro cultura e dunque anche il loro modi di esprimersi attraverso la danza, era una delle sue esigenze primarie.

La conflittualità tra i due sessi, il rapporto uomo donna, veniva portato spesso al parossismo attraverso la ripetitività del movimento e l’esasperazione di alcuni situazioni che potevano assomigliare a volte a delle vere e proprie gag. Come succede del resto tutti i giorni nella vita di una qualsiasi coppia.

Pina è stata la prima ad introdurre la parola accanto alla danza, facendo parlare i suoi ballerini in scena,  ha chiesto di  raccontarsi, di parlare delle loro gioie, debolezze, delle loro sofferenze, compiendo una vera psicoanalisi di gruppo. Una rivoluzione per quegli anni in cui nessuno si era ancora mai azzardato a far parlare i ballerini in scena. Quello era compito del teatro. E non a caso proprio per lei fu coniato il termine di teatro danza. Una danza che diventa teatro perché crea situazioni, nasce dall’esigenza di esprimere ciò che ci tormenta o ci fa gioire nella vita di tutti i giorni. Tutto questo si vede poco nel film che certo, non doveva e non poteva essere un trattato sulla sua poetica, ma almeno avrebbe dovuto far arrivare al pubblico qualcosa di più comprensibile sulla sua ricerca compiuta nell’ambito della danza.

 

L’annuncio a pochi mesi di distanza, dell’uscita di un film di Wenders sull’opera della coreografa di Wuppertal, aveva fatto nascere molte aspettative sia tra quanti la conoscevano, che tra quanti avevano sentito parlare di lei. Mi associo a quelli che conoscono un po’ il lavoro di Pina Bausch, per aver visto molti suoi spettacoli dal vivo e studiato danza con alcune sue danzatrici come Malou Airaudo, l’interprete della prima versione della Sagra della Primavera che c’è nel film, e anche l’opportunità di conoscere personalmente molti altri suoi danzatori che compaiono in “Pina”. Era scontata l’idea di vedere il suo lavoro, quella che era stata la sua ricerca. Viene continuamente evocata, la sua mancanza, il fatto che non c’è più, però quello che lei è riuscita a comunicare ai suoi danzatori e agli spettatori che andavano a vedere i suoi lavori, non è arrivato. Wenders si è trovato purtroppo in una situazione difficile, dover fare alla fine un film senza la protagonista principale. Però il problema è che manca proprio il cuore di Pina, la sua anima e soprattutto la parte gioiosa, ironica e vitale di questa grande artista.

 

Il film è ben confezionato dal punto di vista tecnico,  suggestive le location scelte dal regista per far danzare i ballerini che vediamo muoversi all’ interno di stranianti spazi post industriali abbandonati, nelle strade di Wuppertal, dentro gli scompartimenti della metro sospesi nell’aria,  sulle scale di mobili di grandi centri commerciali. Un danzatore seduto tra i normali passeggeri, indossa delle orecchie d’asino mentre un’altra danzatrice entra con abito da sera e tacchi a spillo, prendendo a pugni un cuscino. E’ suggestivo vedere il film con gli occhiali da 3D, le scene di alcuni balletti come Cafè Muller e la Sagra. La tridimensionalità ti fa sembrare di essere sul palcoscenico insieme ai ballerini, ti fa provare il gesto di dover asciugare con le mani  il loro sudore, di sentire il loro respiro a pochi metri di distanza, l’odore della terra calpesta sulla scena o il rumore dell’acqua che cade dall’alto sul palcoscenico come in “Vollmond”.

Tutto si riduce, purtroppo, ad un esercizio di stile e a uno scontato “in ricordo e in memoria di Pina” che non c’è più, attraverso i volti tristi dei suoi ballerini che, inquadrati in primo piano dal regista, ricordano sguardi e parole della loro coreografa, scomparsa, senza comunicare invece veramente quello che lei ha lasciato dentro di loro e al pubblico che la ama.

 

Pina di Wim Wenders

BIM Distribuzione

durata 103 minuti

visto al Cinema Anteo di Milano il 13 novembre 2011

 

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