Recensioni — 15/10/2022 at 12:16

A teatro, per trovare un amico: Savelli e Mirò portano in scena Fred Uhlman

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RUMOR(S)CENA – TEATRO DI RIFREDI – FIRENZE – Si era tanto prodigata, la povera professoressa Simi e invece io, “L’amico ritrovato” non l’avevo mai letto. Quando ho saputo che al Teatro di Rifredi sarebbe andato in scena un adattamento firmato da Josep Maria Mirò e diretto da Angelo Savelli, ho commentato: “Certo, grande libro”, e colpevole come un ladro in chiesa sono corso a casa a leggerlo per la prima volta. Confessione per confessione, dopo averlo finito ho pensato che per certi versi, non era stato poi un male incontrare quel libro da adulto. Snello e discreto, era rimasto su uno scaffale della mia libreria per ventisette anni, più o meno il tempo che era trascorso tra la fuga di Uhlman dalla Germania e la pubblicazione del romanzo.

Roberto Gioffrè foto di Marco Borrelli

C’era voluto davvero tanto tempo prima che lui e Hans, il suo protagonista, ritrovassero quella storia che io invece avevo trovato per la prima volta; e se tutto quello che mi era sembrato di capire al liceo era vero, cioè che parlasse di amicizia e di come la guerra cambia i rapporti tra le persone, mi sono accorto che parallelamente al messaggio universale, c’era anche un tema molto, molto più peculiare: L’amico ritrovato è un libro sulla Germania. È il racconto di un uomo che descrive le ragioni, la dinamica e i sentimenti alla base di ciò che era sempre stato considerato come pura e oscura follia, della quale un intero popolo si era infettato. Per essere scritto in modo da venire compreso, ha avuto bisogno del tempo, perché è il tempo che crea le storie e regola il modo in cui vengono lette.

foto di Marco Borrelli

Ho chiuso il libro, spento la luce e mi sono chiesto che genere di tempo fosse il nostro per quella storia e quale dei due aspetti, l’universale o il particolare, avrebbero scelto di portare sul palco Mirò e Savelli. La risposta l’ho avuta alla prima dello spettacolo, quando ho visto entrare in scena Federico Callistri. All’inizio ho pensato che il suo conte Konradin Von Hohenfels non avesse l’irraggiungibile fulgore teutonico con cui Uhlmann l’aveva descritto, ma ricordasse per leggerezza e distacco un giovane Sir britannico. Eppure, il suo personaggio, convinceva. Le maniere posate, il sorriso collaudato di chi è abituato a nascondere le emozioni in pubblico, richiamavano una nobiltà che a me, cresciuto col cinema angloamericano, lettore di Fitzgerald più che di Mann e colpevolissimo consumatore di serie televisive, risultava familiare e credibile.

Mauro D’amico foto di Marco Borrelli

E quando è iniziata l’interazione con un Hans impacciato dalla divisa scolastica, ma all’occorrenza puntuto e reattivo, che Mauro D’Amico tratteggiava con qualche pennellata in prestito da Isaac Singer, ho cominciato ad appassionarmi: alla bravura e alla visibile all’alchimia dei due attori, senza dubbio, ma anche al coraggio dell’autore e del regista nel prendere una decisione di intento e di linguaggio.
Questo amico ritrovato, pur conoscendo la connotazione culturale del romanzo, vuole essere universale e degli aspetti del libro predilige la storia d’amicizia, che sente necessaria e ancora attuale. Mirò è un autore raffinato, certamente consapevole del rischio di limare la vicenda di un po’ del suo “geist” e proprio per questo, usa lo stesso meccanismo con cui Uhlman parla della sua Germania, per raccontarci la storia di Hans e Konradin: compone un inno alla giovinezza, cantandone i difetti. L’amico” che abbiamo trovato a Rifredi, primo appuntamento all’interno del Teatro Nazionale della Toscana, non si picca di parlare ai giovani, ma parla di giovinezza.

foto di Marco Borrelli

La giovinezza che agisce d’istinto ma pensa con gravità, e avendo davanti la vita intera, si dispera come se tutto durasse per sempre. Sebbene lo spettacolo si basi sulla narrazione in prima persona, è l’azione a raccontarci le impressioni, i fraintendimenti, a mostrarci i gesti che generano sentimenti profondi e sconvolgono l’animo dei personaggi. Anche il raccontare “si muove”, in uno scambio tra passato e presente, in un palleggio di seconda intenzione con Roberto Gioffrè, l’Hans adulto divenuto avvocato a New York: Gioffrè occupa il salotto della sua casa americana del 1971, all’interno di una piattaforma nel proscenio e dialoga con gli avvenimenti sul palco, col passato e il ricordo. La maggiore interazione è naturalmente con D’amico, con cui costruisce una eco andata e ritorno attraverso il tempo.

Ora, D’amico recita le battute con uno stile ritmato, quel pizzico di manieristica informalità che richiama la voce fuoricampo delle serie televisive, dove il protagonista è sia narratore onnisciente che ignara parte coinvolta nei fatti. Questo linguaggio vuole conquistare l’attenzione del pubblico più giovane, ma stride leggermente con la recitazione di Gioffrè, più prettamente teatrale e riflessiva.

Ma quando Roberto Gioffrè è chiamato a regolare il ritmo complessivo, intervenendo negli scambi tra l’Hans giovane e Konradin, l’esperienza canta… eccome. La leggera dissonanza talvolta avvertibile quando l’attore parla oltre la quarta parete, qui scompare e Gioffrè riesce a incantarci. Porta il pubblico sulla sintonia adeguata a godere l’aspetto metateatrale e i personaggi secondari, tutti affidati al suo mestiere e connota quel racconto di amicizia nel contesto storico, che comunque l’adattamento non intende bypassare, ma vuole rendere scenario di un dramma umano che si ripete e si ripeterà.


Savelli dirige D’amico e Callistri in un palco ricchissimo di suggestioni, un piccolo elemento si muove e otteniamo il senso del tempo e la fluidità nell’alternarsi dei quadri, come curate e adeguate sono le luci di Henry Banzi e le musiche, con la giusta dose tra interventi sonori e brani di selezione pensati da Federico Ciompi. Fulcro dello spettacolo, giusto ribadirlo, è comunque la coppia dei due protagonisti. L’interpretazione, il carattere, le fisicità, le tonalità espressive di D’amico e Callistri sono vincenti, credibili. Attirano lo sguardo e l’empatia del pubblico, ben calati nel testo in cui Mirò ha intrecciato L’amico ritrovato con Un’anima non vile, il racconto con cui Uhlman riaffrontò la storia dalla prospettiva di Konradin.
È bello quando un adattamento ha il coraggio di scegliere una chiave per aggiungere qualcosa che meritava di essere aggiunto. Di trovare, nel ritrovare.


Visto in prima nazionale al Teatro di Rifredi, il 12 ottobre 2022

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