RUMOR(S)CENA – MILANO – Questa la risposta di Miet Warlop a un invito – quasi una commessa artistica – che il regista Mino Rau ha rivolto, in primis a sé stesso, poi al coreografo congolese Faustin Linyekula, alla trasgressiva scrittrice, attrice e regista teatrale spagnola Angélica Liddell e, infine, appunto all’artista visuale belga Miet Warlop, sulla base di una domanda da far tremare le vene e i polsi: “Qual è la tua storia come artista teatrale?”. È un peccato non poter disporre, per un confronto, degli esiti creativi degli altri tre artisti, e doversi limitare a evocare la trascinante, vitale violenza di un’esibizione che ha suscitato gli applausi frenetici degli spettatori più giovani presenti in sala, e qualche diffusa perplessità fra quelli più anziani. In scena, una dozzina di performer. La prima, già seduta su una tribuna all’ingresso del pubblico, inizia subito a commentare, ma la sua voce è così distorta dal megafono, che nessuna parola è intellegibile. La raggiungono in tribuna altri cinque personaggi, che si scateneranno, come tifosi infoiati, per tutta l’esibizione.
crediti foto Michiel-Devijver
Entrano poi i musicisti che, dopo un’energetica esibizione mimica in proscenio, a uno a uno prendono posto. Un’atletica ragazza, dopo aver attivato un rumoroso metronomo (il cui ritmo verrà modificato più volte a vista nel corso dello spettacolo) sale su un alto asse di equilibrio da dove, in bilico, imbraccia – e suonerà interrottamente e vigorosamente – il violino. Si inserisce poi un contrabbassista, che pizzicherà il suo strumento sdraiandovisi sotto (salvo un breve brano bachiano, suonato in posizione tradizionale). Si aggiungono ancora un vocalista, che canterà, per tutto il tempo, correndo in avanti e indietro su un tapis roulant; e un batterista, che si sposterà freneticamente fra quattro postazioni di percussioni. Glisso sull’uso atipico di altri strumenti musicali (due tastiere incongruentemente appese a una spalliera da palestra; una seconda grancassa, percossa saltando ritmicamente su una piattaforma) cui si aggiunge uno scalmanato cheerleader in gonnella e pon-pon bianchi. Ogni volta che la tensione sembra giunta alla sua acme, come destinata a sciogliersi, c’è una ripresa, senza soluzione di continuità, come una sorta di nuovo orgasmo, che ripropone, con altri ritmi, sempre più scatenati, quell’“unica canzone” del titolo.
crediti foto Michiel-Devijver
Infine, a uno a uno, tutti i personaggi che hanno animato la scena fino allo spasimo, crollano, esausti: prima i tifosi, poi i musicanti. Insomma, di primo acchito, un grande caos; ma, come scrive il New York Times, che lo qualifica lo uno dei migliori show del 2022 è uno spettacolo: “rumoroso, assurdo e incredibilmente divertente”. Ma, a lasciarsi coinvolgere, anche portatore di contenuti che parlano del senso della vita e della morte, che esortano a vivere senza risparmiarsi, come recita l’incipit della canzone One Song:
“Run for your life, till you die, till I die, till we all die”.
(Corri per metterti in salvo, finché non creperai, finché non creperò, finché non creperemo tutti).
Un messaggio epicureo, di un’artista che ha poco più di quarant’anni, sul quale vale la pena di riflettere.
Visto al Teatro Strehler di Milano il 7 giugno 2023