Chi fa teatro — 12/11/2015 at 20:10

“Vento da Sud Est”: teatro di rinascita e soffio di vita

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“È impossibile dire che razza di urlo

sia il mio: è vero che è terribile
tanto da sfigurarmi i lineamenti
rendendoli simili alle fauci di una bestia –
ma è anche, in qualche modo, gioioso,
tanto da ridurmi come un bambino.
È un urlo fatto per invocare l’attenzione di qualcuno
o il suo aiuto; ma anche, forse, per bestemmiarlo.
È un urlo che vuol far sapere,
in questo luogo disabitato, che io esisto,
oppure, che non soltanto esisto,
ma che so. È un urlo
in cui in fondo all’ansia
si sente qualche vile accento di speranza;
oppure un ruolo di certezza, assolutamente assurda,
dentro a cui risuona, pura, la disperazione.
Ad ogni modo questo è certo: che qualunque cosa
questo mio urlo voglia significare,
esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine”.
Teorema”  Pier Paolo Pasolini

 

 

 

locandina

MESSINA – Attinge dalle ultime  parole di “Teorema” – il  romanzo,  e film, di Pier Paolo Pasolini – la scena finale di “Vento da Sud Est“, lo spettacolo, diretto da Angelo Campolo, scritto insieme a Simone Corso, che ha inaugurato la nuova stagione della Sala Laudamo del Teatro Vittorio Emanuele di  Messina, (in replica da giovedì 13 a domenica 15 novembre),  dando il via anche al Progetto Parola Pasolini, una trilogia made in DAF Teatro dell’Esatta Fantasia di Giuseppe Ministeri, che si compirà con “Terra che non sa”  (Gennaio 2016)  e “Com’è alto il sole”   (Maggio 2016).
Soffia dolcemente ma con impeto, questo vento della condivisione e della nobile compartecipazione nell’arte: recuperando da “Teorema”, la figura dello straniero “venuto in questa casa per distruggere” ma escludendo le implicazioni di carattere intimo che, nel romanzo, intrecciavano senza scampo quelle vite,  l’idea drammaturgica di Angelo Campolo disegna una fitta rete di relazioni tra la finzione scenica e la vita reale, aprendo spazi, comodi o scomodi, di riflessione. Nel cast undici giovani di grande talento, sette di loro sono stati scelti nelle selezioni dello scorso settembre e quattro sono i migranti minorenni provenienti dal Mali, attualmente ospiti del centro “Ahmed” di Messina, coordinati da Clelia Marano e Alessandro Russo. Sono proprio loro – Mamoudou Camara, Moussa Yaya Diawara, Ousmane Dembele, Jean Goita – i primi a raggiungere la scena nel totale buio, lo stesso pasoliniano buio che vuole proteggere e custodire la realtà mantenendola vera e sostenibile. I quattro giovanissimi “ospiti” vengono investiti dalla luce dei fari, sembrano cercare qualcosa, qualcuno, con la disarmante disinvoltura dei veterani, si immergono nell’universo recitativo, parlano una lingua sconosciuta (ricordandoci, giustappunto, come ci si sente), si abbandonano al ritmo che investe voce e corpo, chiedono dove sia finito Pier Paolo e lo chiamano forte.

angelo 2

 Di seguito giunge il momento vivo e vero accolto da un silenzio sensibile che, con rispetto, raccoglie le loro presentazioni con occhi negli occhi del pubblico, gridano il loro nome seguito dalla triste qualifica, “destinato a morire” ed è tempo del ricordo.  Il deserto che lascia tutto alle spalle, la fame, la sete, l’esilio. Il Teorema procede, in ipotesi, tesi e dimostrazione. Al centro della perfetta fabula – che ricalca “Mary Poppins“, da cui vengono prese in prestito musiche e situazioni – una famiglia borghese che abita in via dei Ciliegi 17 e che vive una vita apparentemente senza difetti. Questo chiuso nucleo – composto da padre, madre, figlio e figlia: Luca D’Arrigo (George), Patrizia Ajello (Winifred), Giuliano Romeo (Pietro), Claudia Laganà (Odetta) – ha già “deciso che i Negri sono come i Bianchi ma forse non anche i Bianchi come i Negri”.  L’equilibrio è destabilizzato perché qualcuno bussa con insistenza alla loro porta, scatta il rifiuto, si riparano dal vento da sud est che porta lo straniero, il diverso, mettendo in tavola, per pranzo, i luoghi comuni che emergono nella vita di tutti i giorni, ovvero il rischio di contagio di malattie, la potenziale pericolosità criminale, l’ingiusto supporto economico. Vanno avanti e continuano a ripetersi che “non bussa nessuno“, “non apriamo a nessuno“, “non è affar nostro“. Sulla scena anche Glory Aibgedion a rappresentare un’imperturbabile Cecilia e il suo partire.

angelo 3

Il passo narrativo è accelerato da due narratori, Michele Falica e Antonio Vitarelli  che si fanno cosciente voce, autoanalisi, occhio esterno di quella ristretta realtà familiare e del mondo. Poi accade qualcosa, si apre un varco, uno spiraglio che induce alla riflessione. Una parentesi temporale è avviata dal pesante e rallentato gesto di Winifred sul viso dell’atea Odetta che, come un interruttore, porta il racconto in una dimensione sospesa, uno spazio fuori dalla successione cronologica – “stagione imprecisata”. Adesso è possibile aprire man mano gli occhi, essere interrogati ed interrogarsi su chi siamo e chi vogliamo essere, ed ecco il suono della fittizia batteria di Odetta, il vuoto – “sinistra salute” – del mondo social di Pietro. La religiosa fede come status di Winifred, i blocchi e le dipendenze di George. Senza più bussare o chiedere permesso, gli ospiti entreranno in quella casa, giocheranno a calcio, con un pallone immaginario, fin dentro la platea e assumeranno sembianze di volatili dalla grande testa. Stand bye superato, si tornerà alla realtà, con la coscienza forse poco più sveglia, ma sempre troppo tardi perché dietro quella porta non sarà rimasto più nessuno.

angelo 4

Angelo Campolo e  Simone Corso rileggono l’opera pasoliniana in una attenta e notevole scrittura che risulta fluida nella prima parte e più rigida verso il finale; al regista, inoltre, va il merito di aver saputo trarre il meglio da un cast di giovanissimi capaci di misurarsi in pienezza con un testo e contenuti di livello. I costumi e le scene di Giulia Drogo appaiono essenziali, funzionali e coerentemente privi di elementi superflui. Ottimo l’impianto scenico nel complesso e più che azzeccate le scelte musicali di Giovanni Puliafito che hanno accompagnato con criterio i passaggi narrativi. Lo stesso può dirsi dei movimenti coreografici di Sara Lanza e delle luci di Gianni Grasso.
Sfida vinta per la DAF di Giuseppe Ministeri: un esempio di teatro di qualità sostenuto dall’umano abbraccio dell’arte come guizzo ed occasione di rinascita. Lunghi applausi e meritati consensi hanno salutato, oltre ogni differenza i giovani protagonisti.  Il vento che viene da sud est, ricordando lacrime e dolore, si è tramutato in soffio di vita e di speranza, lo stesso soffio che ha voluto sopravvivessero alla guerra e agli affamati flutti e li ha sospinti fino a qui, fino a noi. Qualcosa sta cambiando ma molto ancora dovrà cambiare.

Vento da Sud Est, visto alla Sala Laudamo del Teatro Vittorio Emanuele di Messina il 6 Novembre 2015

Repliche 13-14-15 novembre (Venerdì, Sabato ore 21:00 – Domenica ore 17:30).

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