Teatro, Va in scena a — 11/06/2012 at 13:21

Una Divina Commedia che perde la sua via nella “selva oscura”

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Il regista lituano Eimuntas Nekrošius non ha certo bisogno di presentazioni, basti dire che solo in Italia ha vinto ben quattro premi Ubu, conteso dai teatri dove ad ogni sua rappresentazione si registra il tutto esaurito, oltre all’attesa che segue sempre ad ogni suo nuovo debutto. Nel caso in questione, due sono i teatri che hanno accolto la sua ultima creazione, Divina Commedia di Dante Alighieri, (meglio sarebbe definirla da. .. Dante), e sono il Teatro Verdi di Brindisi nell’ambito del Pugliashowcase, manifestazione teatrale organizzata dal Teatro Pubblico Pugliese, e il Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena, dove lo spettacolo era in cartellone al Vie Scena Contemporanea Festival 2012, prima edizione pre-estiva quanto sfortunata a causa del sisma che ha colpito la terra emiliana.   L‘ERT è visto costretto nel dover cancellare un numero considerevole di appuntamenti, tra cui anche delle prime nazionali. I teatri resi inagibili dalle scosse hanno reso impossibile la messa in scena del lavoro di Lisbeth Gruwez: It’s Going to get worse and worse and worse, my friend”, “Francamente me ne infischio”, il progetto di Antonio Latella ispirato a Via col vento di Margaret Mitchell, e anche l‘Amleto di Danio Manfredini.

Divina Commedia di Nekrošius è andato in scena regolarmente nelle due repliche affollate e anticipate da un tam tam di commenti e giudizi, arrivati da chi la maratona di ben 4 ore e trenta, l’aveva già affrontata a Brindisi. Pareri abbastanza unanimi nel giudicare poco soddisfacente l’esito complessivo del risultato. Il regista aveva dichiarato in precedenza che “La Divina Commedia è un lago profondo, una fonte inesauribile di sapienza e poesia. Una tentazione forte, per me: il tentativo di rendere in linguaggio umano e teatrale questa creazione, un obiettivo al limite dell’impossibile”.

Vista la sua personale trasposizione che ne ha fatto dell’Inferno e del Purgatorio, dandogli una sua caratterizzazione poco plausibile e a tratti anche snaturata della sua originale estetica poetica, “l’obiettivo impossibile” non è stato dei più riusciti. La traduzione lituana (i sovratitoli in italiano diventavano più una complicazione che una facilitazione, costringendo lo sguardo a dividersi tra scena e lettura), e rendendo tutto ancor più frammentario. La bellezza del testo che nella sua specificità non ha necessità di nessun rimaneggiamento né visivo, né tanto meno drammaturgico, con il rischio di fare solo torto al suo autore, considerato da molti, a ragione, un capolavoro della letteratura di tutti i tempi. “L’obiettivo al limite dell’impossibile” nel pensiero del regista, letto a posteriori, assomiglia più ad una sorta di anticipazione nell’ammettere che la sfida, difficilmente, poteva essere vinta. Il poema di Dante Alighieri è diviso in tre parti, chiamate cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti.

Nekrošius sceglie di affrontare l’Inferno e il Purgatorio, mentre il Paradiso lo affronterà con un progetto a parte. Sulla scena dove è tutto nero e oscuro, un pianoforte che viene suonato dal vivo, mescolati ad una miscellanea di brani celebri e originali, composti per l’occasione, dove trovano spazio le musiche dei Beatles accanto a quelle di Bach. Incombente e minacciosa la presenza di una sfera che sembrava un pianeta finito sulla terra. Alla fine si aprirà per emanare una luce rossa che simboleggia l’ardore e il calore di un mondo mosso dal cuore e non dalla mente? Si assiste ad un via vai incessante di attori e mimi, indaffarati nel recitare e mimare una sequela di personaggi, dall’esito incerto, non sono sempre all’altezza della fama che questo regista possiede per rigore e impostazione scenica nel dirigere i suoi attori, in questo allestimento affiancati da allievi della sua scuola di recitazione che dirige a Vilnus. Dante (Rolandas Kazlas) e Virgilio (Vaidas Vilius) che fuma e fa da guida con una torcia accesa in mano, sono dei compagni  di viaggio, in cui incontrano Beatrice (Ieva Triškauskaite), la donna amata da Dante, Francesca che tradisce il suo amato Paolo con Dante, dove l’osare e il bramare l’amore diventa un pretesto per dare vita a duetti francamente improbabili. Una corrispondenza di amorosi sensi che si diffonde un po’ ovunque.

Nel loro girovagare compaiono anche Omero, Seneca, Ovidio, il cerchio di suicidi trasformati in alberi. Un papa-re e la sua corte di prelati con tanto di tiare rosse molto buffe e fatte di cartone, vivacizzati dalla canzone “Let it be” by Beatles, della serie sacro e profano possono convivere. Le povere anime e dannate, costrette a subire le pene dell’Inferno e del Purgatorio, finiscono per andare a sbattere compulsivamente contro una parete nera lucida e assorbente. Simbologie che la regia ha tratto da Dante e le ha trasformate in qualcosa di moderno e attuale. Ma sono intuizioni a cui manca un’idea complessiva che le assembli.

Non c’è organicità in questa Divina Commedia, tante sono le libere interpretazioni che snaturano il significato profondo, quanto, invece, il regista abbia voluto trovare riferimenti e citazioni che si affastellano e creano disorientamento. I vari quadri vengono legati insieme da una sorte di narratore, una via di mezzo tra un postino e un messaggero con il compito di spiegare in modo didascalico l’evolversi della trama. Perde di poeticità anche per questo, la Divina Commedia vista con gli occhi di un regista visionario e capace di scelte ben più dirompenti, se guardiamo al suo passato artistico. In questo caso il passato storico e letterario di Dante viene trasportato in avanti, ma il risultato complessivo è una forzatura che non rende giustizia e a tratti annoia, là dove si vedono scene che sono confuse e approssimative. Non va mai dentro i significati profondi ma li maneggia con una certa leggerezza. Ci finisce dentro pure Maometto e lo spiazzamento si fa sempre più strada. Vi sono dei momenti in cui lo spettacolo riprende vigore come nella trattazione del Purgatorio, di gran lunga la parte più riuscita.

Ci sono delle felici intuizioni con cuffie calate dall’alto dove ci si mette in ascolto e si danno istruzioni per l’uso alle anime prima del loro trapasso. Il papa Adriano V che tenta faticosamente di scalare ma invano una catasta di troni pontifici, ma sono scene efficaci a se stanti. La materia affrontata mostrava fin dal principio un grado di difficoltà maggiore, rispetto ad altri autori affrontati in precedenza. Resta una sensazione che tutto verta su un piano di suggestioni, citazioni, rimandi trasposizioni, ma che tutto si smarrisca come nei versi originali di Dante Alighieri: “Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura/ ché la diritta via era smarrita..” (Inferno I, vv. 1-12 )

 

Divina Commedia

di Dante Alighieri

regia: Eimuntas Nekrošius

Compagnia/Produzione  Meno Fortas

co-produzioni: Stanislavsky Foundation, Moscow, Baltic House Festival, St. Petersburg, Lithuanian National Theatre

in collaborazione con il Ministero della Cultura Lituano e Aldo Miguel Grompone (Roma)

Interpreti: Rolandas Kazlas (Dante), Vaidas Vilius (Virgilio), Ieva Triškauskaitė (Beatrice), Remigijus Vilkaitis (Papa), Paulius Markevičius (Messaggero), Audronis Rūkas (2πR),  Marija Petravičiūtė (Italia), Julija Šatkauskaitė (Sapia), Beata Tiškevič (Francesca), Milda Noreikaitė (Gemma), Jurgita Jurkutė (Pia), Darius Petrovskis (Vanni Fucci), Simonas Dovidauskas (Brunetto Latini), Vygandas Vadeiša (Casella / Charon), Pijus Ganusauskas (Florence citizen), Justas Valinskas (Nino)

scenografia: Marius Nekrošius

costumi: Nadežda Gultiajeva

musica originale: Andrius Mamontovas

traduzione in Lituano del poema di Aleksys Churginas

Visto al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena il 26 maggio 2012

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