Danza, Recensioni, teatro danza — 11/05/2022 at 11:41

Another Round for Five:silenzio, si lotta

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RUMOR(S)CENA – FABBRICONE – PRATO – Ma ti ascolti quando parli? La risposta, incredibilmente, è sì. Persino quando ammorbiamo tutti con lo stesso aneddoto, quello in cui siamo stati così buoni o così stupidi, ma sempre e comunque eccezionali, una parte dentro di noi ascolta… e rabbrividisce. Ci guardiamo ricadere all’infinito nella bramosia di rappresentarci, con una valanga di parole e di gesti che ormai non hanno niente a che vedere col significato, ma solo con l’unico e sacrosanto contesto possibile, vale a dire noi stessi. E chi non lo capisce, non ci capisce e se non ci capisce, è di nuovo tempo di menare le mani: another round for fighting, o come nel caso dello spettacolo di Cristiana Morganti, Another Round for Five.

Che la danza contemporanea, con le sue sempre più frequenti sperimentazioni concettuali fosse capace di generare drammaturgia lo sapevamo. Ma al Fabbricone di Prato la coreografa, storica solista con il Tanztheater di Pina Bausch, ha messo in scena non soltanto un bell’esempio di dialettica tra performance e prosa, ma qualcosa che potrebbe essere letto come una vera e propria stoccata al teatro di parola. I danzatori Justine Lebas, Antonio Montanile, Damiaan Veens, Anna Wehsarg e Ophelia Young sono i cinque protagonisti. Cinque ragazzi costretti per qualche motivo a far parte della medesima piccola comunità umana. Essere un gruppo libero, aperto e anticonvenzionale, per loro è imperativo categorico: quindi c’è bisogno di regole ferree e, soprattutto, di una selezione spietata. Another Round for five è una sitcom, la parodia di un reality show giovanilistico dove i partecipanti si sfidano, sotto il regime della condivisione, a sopportare la reciproca autoreferenzialità senza esplodere. Ognuno irrora rappresentazioni di sé a profusione, muovendosi secondo strategie meschine e protetto da un’ipocrisia che, proprio perché palese, non può essere disinnescata.

L’amore, il sesso, il rapporto con la figura materna e le proprie origini sono terreni di duello: risultare onesti, o addirittura decenti, non conta un fico secco, anzi, è controproducente. La parola, dunque, è solo atto compulsivo, ossessivo e ossessionante, è il miasma vomitato da chi si parla addosso, la carta del mazzo in grado di congelare le pedine avversarie sul tabellone. Ma quando i “ma dai” e i “non ci posso credere”, i “non mi dire” e gli “scusa se ti interrompo” si esauriscono, scattano le risse, i tafferugli di cui Another Round For Five è corposa antologia. La lotta che è atto, contatto e concreto palesarsi della volontà, esperienza di reale confronto e quindi generatore di bellezza, gradita o meno.

È qui che la provocazione di Cristiana Morganti sembra assestare l’affondo: con le parole abbiamo creato lo stato di diritto, ma in loro ormai cerchiamo solo ripari e posizioni di vantaggio. Le parole sono la giungla dell’antropocene, stato di natura all’interno di un vivere civile che, purtroppo, ha bisogno di essere messo di nuovo a confronto con la spaventosa bellezza del corpo, con la potenza della natura che un tempo si era proposto di controllare. La danza, la lotta: categorie che quando coinvolgono l’umano ne fanno affiorare sfumature e criticità. Argomenti che le forme espressive strettamente connesse alla parola hanno sempre più difficoltà a comprendere, rielaborare e, quindi, mettere in scena. L’aspetto coreografico dello spettacolo, dalla costruzione del crescendo che introduce le scene di danza, fino alla risoluzione che dal corale si rarefà negli assoli, è avvincente e corretto nella continuità con la linea drammaturgica. C’è il supporto del corpo che i danzatori si forniscono a vicenda, ma senza carità. L’arrendevolezza del vinto e lo spegnersi della furia del vincitore, quando infine può usare quel corpo immobile come un oggetto che gli appartiene di diritto.

Le figurazioni di combattimento si ripetono, dapprima sulle ritmiche industrial, poi nel delicato incedere delle composizioni di Max Richter: due estremi che in Another Round for Five tracciano un mantra in cui la ripetizione si trasforma in progressività, mentre lo sguardo viene attirato nel vortice del profondo o elevato alle altezze della contemplazione. L’occupazione dello spazio scenico nei diversi capitoli dello spettacolo non sempre è puntuale, perché fa sentire la mancanza di scenografie e postazioni delle quali, giustamente, Another Round For Five ha scelto di non dotarsi. Ma quando una figurazione si ripete, ci si sorprende a viverla in un’ottica emotiva e visuale completamente diversa, con la ben amministrata complicità del tempo. All’improvviso, una magia goldoniana sembra ridurre di dimensione gli attori sul palco e le vicende della storia: la disperazione di Justine Lebas, che non sa più accettare quel gioco al massacro, sfocia poetica e ridicola nella fuga in lungo e in largo per la scena, con gli altri che la inseguono e si affannano per rimetterle i vestiti che si è lasciata alle spalle. O ancora, le gustose tonalità cinematografiche con cui è stato tratteggiato il gruppo dei personaggi, passano dal graffiare con l’ironia a commuoverci senza possibilità di scampo: la scena scandita a rallentatore, che evoca una foto di gruppo all’interno di un vecchio album, è sublime e struggente.

Complesso per ideazione, curato nei dettagli e cucito con una buona dose di freschezza, Another Round for Five di Cristiana Morganti coinvolge e stupisce, soprattutto per ironia e leggerezza. Rarissimo valore aggiunto in chi è incline alla bravura.

Visto al Teatro Fabbricone di Prato il 5/5/2022

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