Culture — 09/12/2013 at 21:31

L’ ermeneutica della Traduzione: rapporti tra Prototesto e Metatesto

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La traduzione è diventata ormai tema di un arco vasto di discipline dando luogo a una bibliografia che cresce in diversi paesi per realizzare l’ esigenza di dare ordine e rigore alla formazione dei traduttori. La traduzione non viene più intesa come la sostituzione di materiale con del materiale equivalente ma come un lavoro di trasposizione che nasce il concetto di riscrittura del testo originale ponendo alcuni problemi come: chi deve essere il meccanismo di realizzazione della traduzione da una lingua naturale a un’ altra, come funziona l’ intertestualità dello spazio linguistico e letterario , spazio in cui questo processo prende forma, quale è lo scopo del traduttore e la sua finalità culturale. Questa ricerca intende a dare risposte mettendo in luce il panorama traduttologico di Ljudskanov, di Roman Jacobson, di Anton Popovic e della poetica dell tradurre di Meschonic.

 Dopo questa breve premessa che consente di stabilire il tema centrale del presente contributo, si può passare al significato del tradurre. Se prendiamo un qualsiasi dizionario della lingua italiana e cerchiamo il termine tradurre, otteniamo definizioni quali: formulare in una determinata lingua un messaggio espresso originariamente in un’altra lingua (Il Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana, 2000).

Volgere, trasferire da una lingua in un’altra (Zingarelli, 2007).

La lingua, la materia prima di ogni traduzione, e la cultura sono entità mobili e dinamiche in continuo dialogo fra loro.

La traduzione è formalmente e praticamente implicita in ogni atto di comunicazione, nell’emissione e nella ricezione di ogni singolo atto di significazione, sia nel più ampio senso semiotico, sia negli scambi più specificamente verbali. Capire significa decifrare. La percezione dell’intenzione di significare è una traduzione. Di conseguenza, i mezzi e i problemi essenziali dell’atto della traduzione a livello di struttura e di esecuzione, sono tutti presenti negli atti del discorso, della scrittura, e della codificazione pittoriale all’interno di qualsiasi lingua.

(Steiner 1972, p. 12).

Walter Benjamin nel saggio Die Aufgabe des Übersetzers (il compito del traduttore) del 1923, affronta la traduzione da un punto di vista filosofico con un’apertura alla dimensione extra-linguistica. Benjamin parla di traduzione come “sopravvivenza” dell’originale e come espressione del rapporto più intimo tra le lingue.

Il concetto di Riscrittura

Fino agli anni Settanta la traduzione era intesa come un reperimento di equivalenti e il loro trasporto dal testo originale a quello di destinazione. Quest’idea era consolidata dalla metafora dello spostamento nello spazio, del “trasloco” rappresentata dall’utilizzo delle espressioni «lingua di partenza» e «lingua d’arrivo» (Osimo 2004b). La traduzione è un attività che comprende l’ interpretazione del significato di un testo (“di origine” o “di partenza”) e la successiva produzione di un nuovo testo(Riscrittura) , equivalente a quello di origine, in un altra lingua (lingue di destinazione o di arrivo). La traduzione non richiede soltanto un lavoro intellettuale, teorico e pratico, ma pone anche un problema etico soprattutto per quanto riguarda l’ospitalità linguistica. I criteri della riscrittura sono dettati dall’ideologia del traduttore – a volte anche inconsapevole – e dalla poetica predominante dell’epoca. Osserva Lefevere, in un testo un po’ più tardo dal titolo, Translation, Rewriting and the Manipulation of Literary Fame, del ‘92:La traduzione rappresenta la modalità più riconoscibile di riscrittura (Lefevere 1992, p. 9).

Nel libro di Savory The art of Translation, Savory elenca alcuni problemi:

1. La traduzione deve mantenere le parole, o solo idee e immagini?

2. La traduzione deve sembrare una traduzione o un originale?

3. La traduzione deve mantenere lo stile dell’autore o quello del traduttore?

4. Le traduzioni di testi antichi devono sembrare testi contemporanei o devono sembrare del periodo stesso dell’autore?

L’opera di Levy: Die literarische Ubersetzung. Theorie einer Kunstgattung si divide in due parti fondamentali: una prima teorica, comprendente i capitoli sulla situazione attuale della pratica del tradurre, sulle diverse fasi del lavoro di traduzione, sul problema estetico del tradurre, lo stile artistico e “traduttivo”, la traduzione di opere teatrali e, infine, la traduzione come problema storico-letterario. La seconda è invece imperniata sulla questione verso-prosa, sul ritmo, la rima, l’eufonia e la morfologia del verso. E si tratta di una parte che, relativamente alla questione specifica delle traduzioni di poesia,

resta ancora oggi una delle poche trattazioni che affrontino esaurientemente anche questioni tecniche.

Due citazioni da Levy

a) Lo scopo del lavoro di traduzione è quello di mantenere, cogliere e trasmettere l’opera

originale (il suo messaggio); non è mai quello di creare un’opera nuova che non abbia un

antecedente. Lo scopo della traduzione è riproduttivo.

b) Quando diciamo che la traduzione è una riproduzione e che tradurre è un processo

originale e creativo, noi diamo una definizione normativa e diciamo come la traduzione

debba essere fatta. Alla definizione normativa corrisponderebbe la traduzione ideale.

Quanto più debole sia la traduzione, tanto più essa si allontana da questa definizione.

Lo spazio intertestuale

Il termine intertestualità appare per la prima volta nel 1966 in un saggio di Julia Kristeva, poi ripubblicato nel 1969 su “Tel Quel”. Secondo la definizione della Kristeva: “… tout texte se construit comme mosaique de citations, tout texte est absorption et transformation d’un autre texte.

“Ogni testo si costruisce come mosaico di citazioni, ogni testo è assorbimento e trasformazione di un altro testo ’’.

Come scrive A. Berman in L’épreuve de l’étranger, “la traduzione non è né una sottoletteratura (come l’ha considerata il XVI secolo) né una sotto-critica (come l’ha ritenuta il XIX secolo). Ma non è nemmeno una linguistica applicata o una poetica applicata (come si è creduto nel XX secolo). La traduzione è soggetto e oggetto di un sapere proprio. La traduttologia studia questo sapere”.

La traduzione va intesa come trasferimento di idee e di contenuti da una lingua sorgente (source language) ad una lingua meta (target language) tramite un canale scritto. Coerentemente con la strategia traduttiva messa in atto, queste espressioni sono state tradotte con «emittente» e «ricevente»; questi termini, nati con l’avvento della moderna scienza della traduzione, tengono infatti conto dell’aspetto extralinguistico e culturale del processo traduttivo. La traduzione non possiede solo una dimensione spaziale , bensi una dimensione temporale e culturale che è necessario tenere in considerazione.

Volendo quindi utilizzare termini più precisi, si potrebbe chiamare il primo testo (quello da cui si traduce, “prototesto’’ e il secondo “metatesto” , il frutto del processo traduttivo. Termini coniati dal testologo slovacco Anton Popovič nel 1976 e entrati ormai a pieno titolo nel gergo della moderna traduttologia. Il semiotico estone Juri Lotman nel suo saggio intitolato La Semiosfera (1985) analizza questo importante rapporto di influenza tra “prototesto” e ‘metatesto” e quindi tra autore e ambiente culturale. L’ universo della cultura è paragonabile a un organismo le cui cellule, rappresentate dalle singole culture, interagiscono arrichiendosi tra loro. Concetto chiave di questa teoria è quello di un confine che però è permeabile proprio come la membrana di una cellula. Questo confine unisce due culture diverse ma nello stesso tempo le divide mostrandone le varie diversità.

Ogni atto linguistico ha una determinazione temporale; nessuna forma semantica è atemporale: Ogni testo è radicato in un preciso tempo storico.Il contributo di Ljudskanov alla scienza della traduzione: (uno specialista del settore) Il suo libro Traduction humaine et traduction mécanique è un testo tecnico, settoriale, caratterizzato dal lessico e il registro propri delle pubblicazioni scientifiche, si distingue quindi per la ricchezza di termini tecnici (soprattutto terminologia semiotica), per la precisione terminologica e i lunghi periodi argomentativi. È annoverabile fra i cosiddetti «testi chiusi» (Eco 1979), i cui termini hanno valore puramente denotativo e informativo e il cui scopo è trasmettere delle informazioni precise a un lettore modello preciso; è un testo che non ammette molteplici possibilità interpretative. La traduzione viene definita anche come trasformazione semiotica.

(Il processo semiotico semantico profondo) Le divisioni all’interno di questo processo includono analisi (=riconoscimento e decodifica) e riferimento. Analisi. Si dice che per tradurre si deve “sapere”. La necessità di fare riferimento alla realtà e di effettuare un’analisi extralinguistica condizionata dalla natura stessa delle lingue naturali e del processo traduttivo, è una necessità generale che sussiste nella traduzione di tutti i generi testuali concretizzati nella forma delle lingue naturali. Questa necessità generale si manifesta in modo diverso nella traduzione dei diversi generi testuali, ma ciò non permette di concludere che la necessità dell’approccio letterario (manteniamo il termine solo per non scostarci dalla tradizione) sia condizionata da motivazioni letterarie e dalla natura “letteraria” di questo genere di traduzione. Ljudskanov parla di una “langue intermédiaire” nella fase di sintesi, nella produzione del metatesto. Sotto l’etichetta di “mediatore linguistico” vengono comprese tanto la figura del traduttore quanto la figura dell’ interprete.

Roman Jacobson

Roman Jakobson ha rielaborato gli elementi nodali del formali­smo russo e del funzionalismo praghese in un sistema che cerca di integrare l’analisi linguistica nella teoria della comunicazione. Am­pliando lo schema di Buhler, il Jakobson considera sei fattori della comunicazione: contesto, mittente, messaggio, destinatario, con­tatto, codice ; ai quali fattori corrispondono sei diverse funzioni lin­guistiche: referenziale, emotiva, poetica, conativa, fàtica, metalingui­stica.

Anton Popovic

Lo slovacco Popovič prende in considerazione l’idea che la traduzione sia un processo creativo, a seguito dell’applicazione della teoria della comunicazione ad altri campi: Ci si è cominciati a interessare alle possibilità creative del traduttore. La situazione creativa in cui nasce il metatesto è vista come armonia di diversi fattori della comunicazione. Oltre alla questione delle strategie creative del traduttore, c’è il problema del ruolo svolto dal lettore non solo nella ricezione del testo ma anche nella formulazione del metatesto. In traduzione il ricevente trova un determinato ambiente diverso dal prototesto. Il lettore da una parte vuole leggere la traduzione come un originale, ma dall’altra vi vede un’opera che rappresenta una cultura altrui e per questo motivo si aspetta e ricerca elementi che riflettano tale esotismo (Miko 1971: 25).

La poetica del tradurre di Meschonnic

La poetica del tradurre ha nell’opera di Henri Meschonnic una importanza capitale e contemporaneamente rappresenta una delle posizioni più nuove e originali nell’ambito della teoria del tradurre. Poétique du traduire, Verdier, Lagrasse, 1999, è l’opera più vasta, con le sue 478 pagine, dedicata da Meschonnic a quest’argomento. La poetica del tradurre di Meschonnic, (del tradurre non della traduzione) sottolinea il suo teorizzatore, perché il tradurre è un’attività, mostra

anche in una esposizione così limitata, la sua forza innovativa e la sua centralità in una operazione che tende al riassetto dei saperi. Secondo lui basterebbe aver sufficientemente suffragato “il ruolo unico, e misconosciuto della traduzione come strumento rivelatore del pensiero del linguaggio e della letteratura,misconosciuto a causa della posizione ancillare che le riserva la tradizione, e la sua condizione.” (Meschonnic, Poétique du Traduire, ed. cit., p. 5)

Nella traduzione non prevale né la comunicazione né la comprensione. Concepire la traduzione come comunicazione significa assegnare il primato all’informazione, al senso. Applicato alla letteratura questo concetto comporta la traduzione come trasporto dei contenuti delle opere letterarie. Il punto di partenza è che non si può rompere l’unità di significante e significato; è questa rottura che porta generalmente a concepire la traduzione come traduzione del senso, ma questa impostazione porta, come già Benjamin aveva visto, (Il compito del traduttore di Benjamin è uno dei testi di riferimento di Meschonnic) a privilegiare l’inessenziale e a proporre una serie di dicotomie:

traduzione libera/traduzione fedele

traduzione fedele al senso/ traduzione fedele alla lettera etc,quei dualismi continuamente riproposti nella teoria del tradurre e che la teoria del ritmo nettamente rifiuta. Ci interessa, in questa sede, accennare agli sviluppi della teoria del segno nella concezione glossematica di Louis Hjelmslev. La coppia significante-significato si presenta nello studioso danese come associazione di due piani, quello del contenuto e quello dell’espressione, in ognuno dei quali si deve distinguere il livello della sostanza e il livello della forma, secondo il seguente schema:

La sostanza dell’espressione è la sostanza fonica, di cui si occupa la fonetica; la forma dell’espressione è costituita dalle regole morfosintattiche e fonologiche; la sostanza del contenuto è data dagli aspetti “nozionali” del significato; la forma del contenuto è “l’organizzazione formale dei significati” (Barthes).

La coincidenza fra ermeneutica e traduzione comporta una dissoluzione dell’atto specifico del tradurre, se tradurre significa comprendere, tutto diventa traduzione, anche l’espressione di un pensiero in parole. Questa idea di traduzione allargata contraddice alla concezione sviluppata da Meschonnic, e non solo da Meschonnic, della traduzione come passaggio da testo a testo o da discorso a discorso. Qui si coglie immediatamente l’importanza del ritmo nella poetica del tradurre. Un testo deve essere tradotto nella sua totalità, nella sua complessità di sistema.

Conclusione

Lo scopo del traduttore è quello di cercare, di portare il testo dalla lingua di origine alla lingua di destinazione in maniera tale da mantenere il più possibile inalterato il significato e lo stile del testo, riccorendo , se è quando necessario, anche a processi di adattamento.

La vera traduzione è trasparente. Non copre l’ originale, non gli fa ombra. Ma lascia cadere tanto più interamente sull’ originale come rafforzata dal suo proprio mezzo, la luce della pura lingua.

Walter Benjamin , Il compito del traduttore, 1923

BIBLIOGRAFIA

Castiglioni, M. (1997). La mediazione linguistico-culturale. Milano: Franco Angeli.

Scarpa, F. (2001). La traduzione specializzata: lingue speciali e mediazione. Milano: Hoepli.

LJUDSKANOV ALEKSANDER, Traduction humaine et traduction mécanique, Paris, Dunod, 1969.

OSIMO BRUNO, 2002 Storia della traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai contemporanei, Milano, Hoepli, 2002, ISBN 88-203-3073-3.

OSIMO BRUNO, Propedeutica della traduzione. Corso introduttivo con tavole sinottiche, Milano, Hoepli, 2001.

T. Savory, The Art of Translation. Nuova edizione ampliata (London: Cape, 1968).

Bassnett, S., 1980, Translation Studies, London, Methuen; trad. it. 1993, La traduzione. Teoria e pratica, Milano, Bompiani.

Lefevere, A., 1992a, Translation, Rewriting and the Manipulation of Literary Fame, London, Routledge; trad. it. 1998, Traduzione e riscrittura. La manipolazione della fama letteraria, Torino, Utet.

Zaccaria, P., 2004, La lingua che ospita, Roma, Meltemi.

Henri Meschonnic , 1999, Poétique du traduire.

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