Altrifestival, Interviste — 08/05/2023 at 21:25

L’Edipo re di Marco Baliani al Festival di teatro antico di Veleia

di
Share

RUMOR(S)CENA – PIACENZA – È un nuovo progetto artistico, dedicato alla scena e allo schermo, Bottega XNL, ideato e diretto da Paola Pedrazzini sezione dedicata al cinema e al teatro del Centro per le arti contemporanee XNL Piacenza della Fondazione di Piacenza e Vigevano (presieduta da Roberto Reggi)Ispirata all’organizzazione delle botteghe rinascimentali, Bottega XNL è un luogo dove grandi maestri di Cinema e Teatro tramandano i propri saperi ad allievi desiderosi di apprendere un ‘mestiere’: attraverso il processo creativo si imparano la tecnica, il lavoro, i “segreti di bottega”.

A partecipare ai corsi di alta formazione sono chiamati, per selezione, giovani diplomati alle scuole d’arte o che abbiamo già una buona esperienza alle spalle, e le opere realizzate vengono presentate in prima nazionale al Festival di Veleia e al Bobbio Film Festival di Marco Bellocchio.

Marco Baliani è stato chiamato a dirigere il corso di formazione teatrale per il secondo anno consecutivo; un artista dotato di sensibilità didattica, che si dedica con generosità alle nuove generazioni. Sulla scia delle tematiche che hanno innervato il lavoro da lui fatto nella scorsa edizione con l’Antigone di Sofocle, il lavoro attoriale verterà sull’Edipo re. Baliani, mettendo in scena l’Edipo affronta il mito tebano in una relazione temporale inversa rispetto ai fatti raccontati nell’Antigone: è un focus sull’origine della drammatica vicenda dei Labdacidi.

Marco Baliani foto di Marco Parollo

«Ho voluto andare alla radice dei fatti. Antigone porta dentro di sé il peso della sua sventurata origine, nata com’è da un incesto compiuto dal padre-fratello Edipo unitosi con la moglie-madre Giocasta, e il seppellimento del fratello Polinice contro il volere di Creonte è per lei un’occasione di riscatto, un modo estremo per cancellare la sua origine malata a prezzo della vita. Su tutto incombe la putrefazione di un corpo insepolto, quello di Polinice, traditore di Tebe, il cui fetore ammorba l’aria. Nell’Edipo invece c’è un cadavere ormai lontano nel tempo, quello di Laio, ma comunque incombente: la sua morte è avvolta nel mistero ed è un caso irrisolto che pesa sulla città. Nella mia visione, Tebe è un paese malato, metaforicamente appestato».

Questa interpretazione porta in primo piano il ruolo dei cittadini.

«Sì. Io non vedo il Coro come è un’entità compatta: è la città che parla attraverso i singoli individui. Ognuno esprime la propria opinione e si crea dibattito. Siamo in una città sull’orlo di una crisi civile e spirituale. C’è qualcosa che non va ed è Edipo la causa inconsapevole di questa crisi. Il disagio si avverte nel corpo dei cittadini che sono sempre presenti per tutto lo spettacolo. È gente comune che tiene sotto osservazione i potenti. Nell’Edipo c’è un politico al culmine del suo potere che apre gli armadi secretati e va avanti fino a precipitare nell’abisso. Il mito va portato a noi senza forzature, ma istituendo dei parallelismi».

Come costruisce lo spettacolo?

«Lavoro innanzitutto sui corpi, le parole arrivano dopo e devono essere concise e pregnanti. Evito i monologhi troppo lunghi scomponendoli in parti ed evitando le ripetizioni. Cerco di non imporre la mia visione poetica ma di dare vita alla drammaturgia insieme agli attori in una relazione di reciprocità, in un dialogo che può essere anche contraddittorio: è un dare e avere tra regista e attori. Quanto al gruppo, rispetto allo scorso anno c’è una diversità: non partecipano attori esterni; in scena ci saranno solo i giovani del corso di alta formazione, alcuni già con un’esperienza pregressa».

Ci sono nella sua lettura suggestioni provenienti da altri registi che hanno affrontato il mito di Edipo?

«In particolare, la scena iniziale del film di Pasolini con l’immagine della madre che tiene tra le braccia il figlio. Mi piacerebbe trasmettere quel senso di amore e di paura con una figura di donna e il pianto di un bambino sempre più potente, accompagnato da una musica sempre più forte. Il pianto deve diventare una sinfonia: è il segno di un’imminente catastrofe. L’inizio è un abbandono: c’è un infante, innocente, in pericolo. C’è un altro punto che mi affascina: l’uccisione di Laio. Nella tragedia viene solo raccontata, ma sullo schermo è resa da Pasolini con un’immagine potente: la lama di una spada illuminata dal sole, il lampo accecante dell’hybris che porta Edipo a colpire il padre. Vorrei trovare, sulla scena, qualcosa di altrettanto potente, anche per la morte di Giocasta».

E la profezia di Tiresia?

«La vorrei giocare sul movimento, come se l’indovino danzasse interpretando il volo degli uccelli, mentre una voce traduce i gesti in parole. Anche in questo caso grande importanza riveste la musica – per la quale mi affido a mio figlio Mirto – e il canto, perciò ho selezionato gli attori anche in base alle loro capacità canore. Costumi e oggetti di scena sono creazione di Emanuela Dall’Aglio, come per Antigone dello scorso anno».

Share

Comments are closed.