Teatro, Teatro recensione — 07/03/2022 at 16:49

Più livore e meno Puškin

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RUMOR(S)CENA – MILANO – Tre personaggi invidiosi, una scenografia scarna e dai colori freddi, una cena borghese da preparare, delle barbabietole da affettare, una pioggia torrenziale, una doccia fredda e il Requiem di Mozart. Sono questi i pochi ma essenziali ingredienti di Livore – Mozart e Salieri, spettacolo creato dalla compagnia indipendente VicoQuartoMazzini scritto da Francesco D’Amore e interpretato da quest’ultimo insieme a Gabriele Paolocà e Michele Altamura. Il titolo a prima vista può fuorviare, poiché lo spettatore che desidererebbe assistere ad una messa in scena filologica o post-moderna del Mozart e Salieri di Aleksandr Puškin rimarrebbe sicuramente deluso. Questo perché dalla piccola tragedia che inaugurò la leggenda nera sul compositore italiano, Livore recupera solo la tonalità emotiva dominante dell’opera del drammaturgo russo (appunto l’invidia risentita), il nome dei personaggi e brevi citazioni nei dialoghi.

crediti di Rocco Malfatti

Il celebre duello dialogico tra Salieri e Mozart è completamente decostruito. Al posto dei due compositori, troviamo due attori: Amedeo (Michele Altamura) e Antonio (Francesco d’Amore). Amedeo è geniale, orgoglioso, burbero e incompreso dal grande pubblico, mentre Antonio è mediocre, insicuro, androgino e in piena rampa di lancio. Entrambi hanno una parte in una serie televisiva dedicata alla vita di Wolfgang Amadeus Mozart, dove il mediocre Antonio interpreta il geniale compositore di Salisburgo, mente Amedeo, costretto a recitare in una mediocre fiction per sbarcare il lunario, interpreta quello di Antonio Salieri. In questo intricato gioco asimmetrico di sottotesti, di caratteri e di nomi, a dominare la scena insieme ai due attori c’è Rosario (Gabriele Paolocà), il fidanzato e agente di Amedeo. Rosario (casuale la rima con “impresario”?) è un personaggio calcolatore, che cerca in tutti i modi di esaltare il delicato e incerto Antonio costruendogli una carriera di successo e, al tempo stesso, di svilire le doti e le idee innovative del rozzo e brillante Amedeo.

L’intera azione dell’opera si svolge prima di una cena preparata da Rosario a casa sua e di Antonio in cui parteciperanno personalità illustri del mondo dello spettacolo e della politica. Seppur non manchi di momenti comicità, giocati principalmente sulla rappresentazione caricaturale della coppia omosessuale, il dramma si muove ben presto sui toni drammatici e disperati come quelli del tema del Requiem mozartiano cantato dagli attori al buio tra una scena e l’altra. Infatti, tra battute di spirito e simpatici battibecchi della vita di coppia, Amedeo fa irruzione in casa di Antonio e Rosario presentandosi con l’aspetto del convitato di Pietra del Don Giovanni e l’uomo nero della tragedia puškiniana. L’incompreso attore, proponendosi di provare le battute con Antonio per la serie televisiva, vuole in realtà smascherare gli intrighi di Rosario, il quale ha fatto valere il suo peso politico nella produzione seriale per far avere al talentuoso attore un ruolo secondario e antagonistico in grado di non oscurare la mediocrità recitativa del fidanzato. Il bersaglio del risentimento di Amedeo però è anche per lo stesso Antonio, attore di successo che gli ha rubato la fama sudata nei teatri. Antonio, tuttavia, con una ingenuità “mozartiana”, confesserà al “Salieri” della serie televisiva di averlo voluto al suo fianco perché, riconoscendosi mediocre rispetto ad Amedeo, ha bisogno di aver vicino qualcuno più bravo di lui in grado di aiutare il suo “Mozart” a essere al centro della scena. Ma Amedeo/Salieri non è solo una vittima dell’invidia altrui: lui accetta consapevolmente la parte del mediocre Salieri per avere denaro, ed è quindi complice anche lui della mediocrità di Antonio. Tragico quindi non è solo l’invidioso Antonio/Mozart, ma è anche l’invidiato Amedeo/Salieri che, per sopravvivere, è costretto ad adattarsi al livore di chi gli sta accanto. E Rosario? Nel corso del dramma, verremo a sapere che anche questo viscido burattinaio è stato un attore di risibile successo. Durante il finale dell’opera, in cui Antonio e Amedeo usciranno entrambi dalla scena, Rosario si svelerà al pubblico come la personificazione dell’invidia risentita: lui, infatti, non è né geniale come Amedeo né popolare come Antonio, ed è perciò costretto a vivere e a tramare nell’ombra di entrambi opprimendo e umiliando sia il talento di Amedeo sia la libertà nell’autodeterminazione di Antonio.

crediti di Rocco Malfatti

Attraverso un uso intelligente e non scontato dell’ipotesto puškiniano, Livore è un dramma tanto brillante quanto crudele, in grado di far risuonare l’invidia nei dialoghi e nei tratti costitutivi dei caratteri dei personaggi. L’opera scritta da D’Amore è anche in grado di stimolare una riflessione meta-teatrale, in cui nei destini dei tre eroi è ben rappresentata la decadenza del mondo dello spettacolo e della cultura. Tuttavia, ancora più in profondità, è possibile anche un’interpretazione pirandelliana di Livore: noi tutti siamo degli attori nel quotidiano come i tre protagonisti, poiché spesso siamo costretti ad indossare delle maschere (quella del genio, del mediocre, del burattinaio, dell’uomo fragile, etc.), sia per identificarci con noi stessi, sia per occultare un originario risentimento per il mondo che ci sta attorno.

Visto al Teatro Fontana di Milano il 26 febbraio 2022

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