Culture — 06/08/2013 at 08:13

Orizzonti lontani tra generazioni che non si conoscono. Le parole di chi c’era a San Gimignano

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L’appello di “non uccidere i padri” come monito a non ripudiare i maestri della scena e delle arti, generazioni precedenti a quella attuale; là dove il confronto “scontro” tra il passato per il presente si fa impervio senza che sussista la possibilità di uno scambio proficuo, lontani come sono gli intenti e le motivazioni di chi si è occupato di teatro ma anche di critica, da ideali di oggi in perenne affanno. L’occasione era offerta da una serie di dibattiti moderati da Carlo Infante, sotto le torri di San Gimignano, dove andava in scena la prima edizione del festival Orizzonti Verticali (diretto da Tuccio Guicciardini): “Generazioni a confronto. Storia presente e scenari futuri”. Generazioni diverse per lingue diverse, lontane tra di loro, abituate ad osservare e analizzare concetti e idee da punti di vista opposti, in qualche caso anche diffidenti tra di loro. La conversazione dal sottotitolo suggestivo: “Api e Ragni”, tratto dal saggio di Marco Fumaroli, un modo allegorico per spiegare la disputa tra antichi e moderni e presente a sua volta nella “Battaglia dei libri” di Jonathan Swift, in cui fa fa dire a Esopo come le api e quindi gli antichi producano il miele ricavandolo dalla natura, mentre i ragni (i moderni)producono dai loro stessi escrementi il materiale per creare le loro ragnatele.

Il creare tramite la sapienza antica affidandosi solo alla propria esperienza nel tramandare un linguaggio preesistente derivante da materiali antichi. Cosi come fanno le api. Le ragioni di una frattura nel dialogo generazionale ovvero la difficoltà nel farsi capire. Non nell’ottica di una contrapposizione – come ricordava Roberto Guicciardini – (presenta tra gli altri insieme a Nicola Piovani e Virginio Gazzolo) ma come percezione di una difficoltà maggiore nella conoscenza reciproca, e lui stesso si dice “in difficoltà oggi nel farmi capire con i giovani, attori e registi che siano”. Questo scollamento Virginio Gazzolo lo definisce una “frattura nel dialogo generazionale che parte dal Manifesto di Ivrea del 1967, dove l’intento era quello di conquistare una maggiore e nuova libertà di espressione”. Argomento scelto come filo conduttore per dare vita ad “incontro-scontro generazionale”, sul piano squisitamente artistico, in conseguenza di una evidente carenza di una staffetta generazionale che permetta di trasmettere esperienze e conoscenze pregresse da una generazione a l’altra, con l’intento di creare una sorta di mappa cognitiva capace di assemblare parole chiave utili a decodificare i concetti presi in esame e condivisi. In mancanza di un linguaggio comune, è tra le cause di un disagio e di una non risolta maturazione di chi si avvicina all’arte e intenda occuparsi di teatro.

Lo stesso vale anche nella critica: la sapienza e l’esperienza maturata nel corso di una vita stessa, non ha saputo (o non ha voluto) passare il testimone alle nuove leve, lasciandole in balia di se stessi, a fronte di una realtà più frammentata, disorientata, in cui i codici espressivi mutano di giorno in giorno. Per gli ideatori degli incontri che hanno visto riunire a San Gimignano personalità artistiche, critici di consolidata fama, accanto a chi faticosamente tenta un riconoscimento professionale non solo basato sulla militanza, il punto di partenza era la conoscenza con chi ha aderito al Manifesto di Ivrea (pubblicato sulla rivista Sipario nel 1966), nel quale si delineavano i punti per un “nuovo” teatro in Italia. Queste le motivazioni: “L’intento di riannodare i fili tra generazioni che sembrano lontane, senza connessioni, ci sembra di vitale importanza per esercitare una spinta verso nuovi strumenti creativi per accrescere il percorso artistico di chi si sta affacciando, faticosamente, al mondo del teatro e della danza. L’arte della trasmissione si concretizza mescolando professionalità, creatività, esperienza e dinamismo”.

Un “disordine ordinato” che coinvolge le varie generazioni artistiche e che offre al pubblico coinvolto la possibilità di partecipare contemporaneamente ai diversi alfabeti delle arti sceniche.” Il convitato di pietra che aleggiava sopra le teste dei presenti, sia di chi c’era ad Ivrea, sia di chi ne ha sentito sempre parlare come uno spartiacque tra il vecchio e il nuovo. Un incontro tra padri nobili o “papi della critica” – così vengono definiti – riferendosi a Giuseppe Bartolucci e Franco Quadri, tra i firmatari del Manifesto di Ivrea del 1967 dal titolo “Convegno sul Nuovo Teatro”. Preistoria del pensiero culturale in ambito teatrale su cui era assai difficile porre l’attenzione per far sentire partecipi chi non non era ancora nato o troppo giovane, per avvicinarli ai protagonisti di quell’epoca. Se i “padri non devono essere uccisi”, è anche vero che le generazioni a seguire non hanno ricevuto nessun lascito del sapere, non si è venuta a creare una staffetta generazionale che permettesse un trasmettere di esperienze e conoscenze.

La frattura tra i giovani di oggi (ma esiste anche una generazione intermedia che si pone nel mezzo tra i sessantenni e settantenni e chi supera di poco i 25/30 anni) e gli anziani c’è ed è evidente per chi frequenta il mondo delle arti e dello spettacolo. Non si tratta di affermare e denunciare il problema “del salto generazionale”, tanto meno rimarcare l’assenza di valori nelle nuove generazioni. Sussiste un problema di fondo ed è quello – senza timore di ripetersi -della difficoltà di comunicare ed entrare in relazione tra “padri” e “figli” per la diversa prospettiva con cui si guarda il mondo, ovvero il modo di fare cultura nell’accezione più vasta possibile. La situazione contemporanea che si è venuta a creare impedisce di fatto un riprodurre o tramandare nel tentativo vano di avvicinarsi all’altro per conoscerlo e misconoscerlo (come spiega bene Simone Nebbia su TeatroeCritica) , per evidenti differenze storiche e culturali. Non esistono più certezze assolute, categorie a cui riferirsi, il mutarsi continuo di un sistema produttivo – che non offre garanzie – è fonte di una sempre maggiore ristrettezza creativa a fronte di una necessaria sopravvivenza economica. Resta il disincanto e l’illusione per chi oggi fatica a farsi strada convinto di farcela seguendo le orme dei suoi predecessori.

Non ci sono le condizioni per farlo, non c’è nemmeno la speranza che muoveva ideali capaci di rompere con schemi obsoleti. Chi c’era ora non c’è più mentre chi c’è è come se non ci fosse. La sensazione di non contare di non poter incidere nel tentativo di darsi un’identità riconoscibile come conseguenza di un’evoluzione culturale che si fa portavoce, senza sentirsi dire “ai miei tempi” , “quelli si che che contavano”, “loro hanno fatto la storia”, è una triste realtà penalizzante per le nuove generazioni e come cantava Mina sono solo “parole, parole, parole, parole parole soltanto parole, parole tra noi”.

 Festival Orizzonti Verticali

San Gimignano 3/7 luglio 2013

 

 

 

 

 

 

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