Teatro — 05/10/2014 at 20:57

“Una porta non ti dice dove vai”. Eugenio Barba, Odin Teatret e Gallipoli settembrina

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GALLIPOLI – A Gallipoli il surreale è di casa. Capita di passeggiare al confine con l’isola che racchiude il centro storico, collegato alla città moderna da un ponte del Seicento sormontato da lampioni e di trovarsi a leggere, per caso, una targa che descrive quelle luci sui dodici archi come portatrici di vita, pare si accendano ogni volta che nasce un bimbo. File di uomini in riva al porto, intenti a cucire meticolosamente nasse e lenze su giganteschi recipienti circolari come la luna, immobili e velocissimi con fili e pazienza, creano palamiti da centinaia di ami.

“Dal profondo Sud al lontano Nord” è la dichiarazione di amore e di nozze con il territorio per celebrare una “comunità di gente comune e non solo teatranti” ci avverte Eugenio Barba – in Puglia dal 15 al 28 settembre – e narra di storie incredibili dove negli anni Sessanta occorreva difendere un gruppo di stranieri che non rappresentavano la loro cultura dove “era brutto essere italiano” ma “se la cultura serve a qualcosa, essa ha lo scopo di creare un noi. Uno spettacolo teatrale è una tregua dai pregiudizi. L’Odin ha creato l’abitudine alla stranezza” il teatro è quindi un momento transitorio? In questa sede non si parlerà della storia dell‘Odin Teatret e non si recensiranno gli spettacoli visti se non attraverso la pubblicazione che segue “baratto” ovvero dono consegnato a Barba dopo la visione di La vita cronica

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Quanto si riporta nasce da una profonda riflessione, che chi scrive ha maturato dopo avere assistito a una lezione di Barba, a cui è stato generosamente concesso di prendere parte: durante la settimana di eventi a cui veniamo invitati – noi sei giovani critici dell’ANCT, dopo candidatura e selezione – per celebrare i cinquant’anni dell’Odin Teatret e conferire la cittadinanza onoraria al suo regista. Dal Teatro Pubblico Pugliese, perla rara nel panorama teatrale italiano, ma questa è una diversa valutazione, che merita ben più ampio spazio, riceviamo un raro privilegio, che speriamo di continuare a esplorare presto a Hostelbro, dove tutto ha avuto inizio.

I registi, secondo Eugenio Barba, sono sempre goffi quando dimostrano come eseguire un’acrobazia, un movimento o un ruolo; è per tale ragione che il training individuale viene praticato con grande convinzione dal gruppo dell’Odin, fondato da Barba nel 1964. Il segreto del teatro consisterebbe quindi nell’apprendere e disapprendere. È quindi dall’esperienza con Grotowski, da Stanislavskij, Čechov, Piscator e Mejerchol’d che Barba renderà propri e determinati i dettami dell’allenamento attoriale, affinando il rigore così tanto da pretendere che “il luogo della creazione sia come il luogo in cui si partorisce” asettico e pulito come una sala chirurgica.

Liquidità che brucia e ferisce, come il fuoco ovvero lo sconfinamento è ciò che si percepisce da parte di chi decida di accostarsi allo studio dell’Odin. Questo unitamente alla dimensione di accoglienza da parte di Barba di generare un animale umano sacro, crea quella trascendenza che può trasformare un’attività amatoriale in qualcosa di diverso: “il professionista deve gratificare lo spettatore”.

Le testimonianze che seguono sono state generosamente donate da tre attori che hanno frequentato i workshop dell’Odin Teatret, a Lecce e Gallipoli.

Erika Grillo
Erika Grillo

Erika Grillo

Alcune riflessioni dal mio personale “Diario d’attore”, un quaderno che quotidianamente compilo dopo il lavoro in sala o comunque ogni qual volta ne sento l’esigenza. Siamo 15 in una sala che conosco molto bene. Il legno che sorregge il peso delle viscere è l’estensione del mio corpo, qui dentro. Dentro ai cantieri teatrali Koreja; e noi, operai di cantiere siamo. Noi, carichi e pronti a saltare come mine. Abbiamo 5 soli giorni di lavoro per arrivare alla restituzione finale. L’aspettativa è altissima. Il tempo. Dobbiamo stare a tempo. Se non riusciamo a seguire il ritmo, se “non ce l’abbiamo dentro”, possiamo contare. Un, due, tre. Un, due, tre. E’ così che fa la “danza del vento”. Danziamo per un’ora abbondante ogni mattina, tenendo sempre il tempo.

Tempo… questo sconosciuto, divorato fugacemente da appuntamenti e scadenze di ogni genere. Volato, veloce, velocissimo… come vento, tra le fronde, tra le foglie, inarrestabile.

Polvere di pietre respiro. Si frantuma la pietra nelle mani, ad ogni colpo. E ogni colpo è a tempo. Pietre… che noi, operai di cantiere siamo. E cantiamo, anche se non sappiamo le parole. Intoniamo un mugolio, un verso. Avanziamo nello spazio circostante con RESISTENZA. Ché è questo che l’Attore fa, da buon uomo politico: la RESISTENZA.” I giorni dopo un laboratorio sono densi, carichi di senso. Molte cose del nostro lavoro son tornate; per abitare un pensiero, una suggestione, un ricordo. Un attore ci ripensa sempre al lavoro; alla sua presenza in sala, al suo modo di stare, di abitare. E quella densità spesso nei giorni in cui “smetti”, comincia a mancare. Come se venisse meno un punto, si sciogliesse un nodo, si spuntasse una matita. Mille cose da fare, eppure costantemente un riferimento a noi. A ciò che siamo stati in questo mini-percorso di formazione e di condivisione. A ciò che ci siamo regalati, ma anche a ciò che ci siamo negati. Perché sempre e comunque in questi cinque giorni ci siamo raggiunti, voluti, cercati, con dedizione e sincerità. Mi sembra una bella storia d’amore. Non c’è mai una fine. Iben, Sofia, Elena, Kai, abitano in me, li porto dentro. Pezzetti di un puzzle che completo giorno dopo giorno, tasselli precisi di un mosaico che è il mio bagaglio interiore, ma anche il mio scudo, all’occorrenza. E ho una gran voglia di rivederli. Di rimettere un vestito rosso, bianco o nero; di partecipare ancora al ballo; di cantare.

 

 

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Alessandro Balestrieri

 

                                        Alessandro Balestrieri

 

 

 

 

 

 

 

 

Una grande energia. È l’eco della settimana trascorsa a Gallipoli con l’Odin Teatret. A prescindere da tutto. A prescindere dai diffidenti, dai divinizzatori, da chi etichetta certo teatro come “ricerca”, o ancora avanguardia, a chi invece lo ritiene passato, “già visto”. Spogliando l’Odin di tutto questo, dopo 50 anni di attività, ciò che resta è il TEATRO. Il teatro tutto. Il teatro sano! Il teatro come rito, il teatro come incontro fra attore e spettatore, il teatro come arte sociale, il teatro come mestiere d’artigiano: il Teatro! L’Odin è la prova che questo Teatro esiste, che il teatro, quando è di alta qualità, agisce sulle coscienze, muove dei fili, smuove le anime. Che il teatro è qualcosa di altro, di più nobile ed elevato che un mero passatempo. E per chi si occupa di teatro oggi, soprattutto in Italia, vedere realizzato tutto ciò non può non donare una grande energia. Oltre che una dolce speranza.

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Andrea Foà

Andrea Foà

Eh io mi sono innamorato. A vedere i documentari degli anni ’70 con loro poco più che ventenni e poi vederli ancora insieme sul palco mi sono commosso. Io non ho capito nulla razionalmente della Vita Cronica, però la notte ho sognato che una banda di uomini era fuori alla mia porta e voleva sfondarla… questo è l’Odin. Colori, oggetti, bandiere, musiche di ogni tipo, un barocco meraviglioso… la voce di Kai che come un pugnale scagliato con decisione trafigge l’aria e i corpi intorno, la meravigliosa vulnerabilità di Julia, l’energia di Sofia, il mistero dei loro spettacoli e l’apertura verso il mondo coi baratti, le dimostrazioni di lavoro che sono opere d’arte. Julia ha detto che le principali qualità che un attore deve possedere sono l’umiltà e la generosità. Questo è l’Odin. La disciplina, l’attenzione ai dettagli. Che altro dire, questi sono un vulcano di energia che fa bene al mondo.

Bartolo Filippone

Incontrare Eugenio Barba e i suoi storici collaboratori dell’Odin é una esperienza profondamente formativa ma prima di tutto estremamente umana! Essere attori per me é più uno stile di vita che solamante un mestiere, con loro questa affermazione é più che confermata. Questa settimana di intenso lavoro e di perpetuo scambio mi lascia colmo di sensazioni e emozioni che probabilmente non riesco ancora a distinguere ma che mi seguiranno nella mia vita da attore. Ancora un enorme grazie all’Odin di aver reso possibile l’impossibile con la loro avventura e arrivederci.

Bartolo Filippone
Bartolo Filippone

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