Recensioni — 02/02/2024 at 09:24

La njanja, personaggio centrale nella lettura del capolavoro di Čechov in scena alle MTM

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RUMOR(S)CENA – MILANO – In quasi tutti i drammi di Čechov (lui preferisce chiamarli “commedie” e, per Lo zio Vanja, usa addirittura l’espressione: “Scene di vita campestre”), e anche in alcuni dei racconti, c’è un medico. Il che può spiegarsi, almeno in parte, col fatto che lo stesso Anton Pavlovič era medico, e che ha esercitato con serietà e passione la sua professione fino alla fine della sua breve vita. “La medicina è la mia moglie legittima; la letteratura è l’amante.” usava dire.

Ma c’è un’altra figura che ricorre, anche se con minor frequenza, nel suo teatro: la njanja, cioè la tata. In occasione di una storica messinscena di Tre sorelle, Orazio Costa Giovangigli osservava che, in una diversa, possibile regia, la njanja (lì, Anfisa) poteva essere la vera protagonista, come personificazione della grande madre Russia.

Astrov e Nianja

Non stupisce, quindi, che i registi Antonio Sixty e Claudio Orlandini, in uno Zio Vanja prodotto dalle MTM, abbiano deciso di dare spazio a questa figura, che diviene quasi un personaggio coro. C’è da notare che Fernanda Calati (l’interprete scelta per tale ruolo), ha anche una formazione musicale, come cantante, e ciò le consente di dar vita a felici inserti drammaturgiche. Fernanda, non solo enuncia le didascalie e la conclusione degli atti, ma all’inizio, mentre il pubblico sta ancora entrando in sala, introduce lo spettacolo con improvvisazioni alla tastiera e, più tardi, accenna a un preludio di Chopin, la cui cantabile melodia riprende con la voce. La sua attitudine musicale ha fatto sì che la regia la incaricasse di scegliere – e cantare – delle canzoni russe, ignote da noi, fra le quali una tenera ninna-nanna, ove si parla di un bimbo e di un lupacchiotto: un espediente che contribuisce a creare quell’atmosfera di “scene di vita campestre” dichiarata da Anton Pavlovič, e che la regia riprende parzialmente nel titolo di questa produzione.

Astrov e Nianja

Peraltro, l’impostazione drammaturgica del lavoro è abbastanza tradizionale, rispettosa del testo čechoviano, a parte una maggior carnalità negli approcci del dottor Astrov nei confronti della bella Elena e l’eliminazione di  un paio di figure secondarie (Telegin, il possidente caduto in disgrazia, e l’anziana Maria Vasilevna, madre dello zio Vanja). La presenza di quest’ultima avrebbe forse sottolineato il contrasto generazionale che percorre l’intera produzione letteraria di Čechov, sospesa fra un passato in cui affondano le sue radici di solido borghese e l’intuizione profetica di come la storia stia per girare pagina.

Oltre alla già citata Fernanda Calati, adeguati anche gli altri interpreti: l’egoista, autoreferenziale  professor Serebrjakov di Gaetano Callegaro; la ventisettenne, seducente Elena di Margherita Caviezel; il maldestro, disilluso zio Vanja di Pietro De Pascalis; lo scontroso, ma affascinante dottor Astrov di Maurizio Salvalalio; buona ultima la mite, dolce Sonja di Debora Virello ma – ohimè – non brutta, come il testo richiederebbe.

Nianja al pianoforte con Astrov

Giova ricordare che Lo zio Vanja, nella produzione teatrale di Anton Pavlovič, ha un precedente nel Lešij (un termine che si può tradurre “Spirito dei boschi”, ma con un’accezione anche negativa, vagamente diabolica): un dramma scritto nel 1889 che non avrà alcun successo. A distanza di dieci anni, Čechov ci rimette le mani; elimina alcuni personaggi secondari, ma recupera quasi integramente i dialoghi dei primi tre atti, modificando radicalmente solo il quarto. Vede così la luce Lo zio Vanja, dove il protagonista eponimo del Lešij, il medico impegnato nella salvaguardia dei boschi, diverrà il dottor Astrov. Ma, nel frattempo, Anton Pavlovič ha incontrato il “Teatro d’arte” di Stanislavskij e Nemirovič Dančenko, l’attrice Olga Knipper (che qualche anno dopo avrebbe sposato, quasi clandestinamente).

Il bacio fra Elena e Astrov

E ciò ha dato nuova linfa al suo estro creativo. È singolare notare quale abissale distanza corra fra i due drammi, solo apparentemente simil: Lo zio Vania sortisce immediatamente il successo che merita, e che proseguirà negli anni, malgrado le discrepanze, fra autore e regista, in ordine all’impostazione drammaturgica: fra la lievità che Čechov vorrebbe caratterizzasse la messinscena, e il peso sentimentale della visione di Stanislavskij.

A conclusione consiglierei al lettore una delle più intelligenti riletture di questo capolavoro čechoviano. Mi riferisco a Vanya sulla 42a strada, l’ultimo film diretto da Louis Malle nel 1994: un inno alla genialità di un autore, Čechov che, dopo più di un secolo, continua ad affascinare e stupire.

            

Visto al Teatro Litta di Milano l’11 gennaio 2024

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