Recensioni — 02/02/2023 at 13:50

Un Ballo in Maschera dalle mille sfumature

di
Share

RUMOR(S)CENA – GENOVA – Un’opera generalmente definita di svolta, quando non direttamente sperimentale, questo verdiano Un Ballo in Maschera proposto quale quarto titolo della stagione in corso al Teatro Carlo Felice di Genova. Un passaggio dunque, attraverso il quale il Maestro sembra saggiare le mille sfumature della sua tavolozza, anticipando e, forse, selezionando temi e tempi della sua maturità non solo stilistica ma anche narrativa e drammaturgica. Da qui quella che è stata da più parti definita meravigliosa “varietà” che ne contraddistingue la partitura, capace di toccare di volta in volta i territori del dramma sentimentale romantico e quelli degli oscuri antri della psicologia, l’ariosità dei desideri e la cupezza delle vendette, il leggero di tanta musica europea e francese di allora (cosa della quale fu talvolta dalla critica rimproverato), e il tragico di un mondo in cui la libertà andava conquistata con il sangue delle rivoluzioni.

La capacità di amalgamare in una unica e anche coerente struttura narrativa l’insieme delle corrispondenze evidenziate e delle suggestioni suscitate costituisce uno dei meriti di questa dramma musicale, molto contrastato (soprattutto dalla censura) nella sua genesi, un dramma musicale quasi sulla ‘soglia’, come sulla soglia dei grandi cambiamenti risorgimentali era l’Italia alla fine degli anni cinquanta del secolo diciannovesimo. Il merito cioè di aver saputo amalgamarli con sapienza musicale ed equilibrio drammatico, senza nasconderli però, anzi usando le frizioni e i contrasti, che inevitabilmente potevano sorgere tra i diversi generi, timbri e linguaggi, come elemento di mobilitazione della energia scenica, come motore profondo di un racconto che così assume più intensi afflati e sussume rinnovate significazioni.

Anche riguardandola dal solo punto di vista drammaturgico vediamo dunque convivere sul palcoscenico un romanticismo dei sentimenti e un forte romanticismo politico, una molto brillante commedia degli equivoci e la tragedia dei sentimenti irriducibili ma irrealizzabili, toni da opera buffa e quelle atmosfere magiche a cui Verdi, già con le streghe di Macbeth, aveva amato approcciarsi. Il tutto in una sorta di confronto tra necessità e libertà, confronto interiore ed esistenziale nel conflitto degli affetti tra loro, ma anche confronto politico e sociale, nel conflitto tra quegli stessi affetti o desideri e ruoli o doveri istituzionali, ma anche in quello tra pregiudizi ed eguale dignità umana, accennato ma già chiaramente denunciato, oltre ogni equivoco talora sollevato, nella figura della fattucchiera Ulrica.

Un confronto anzi un contrasto, talora di impegnativa lettura e di meno facile godimento, che la dinamica relazione tra partitura musicale, arricchita anche da ariosità leggere, e drammaturgia in essa partitura contenuta e come nascosta, impastata di un tragico ed ottocentesco romanticismo,  rende più evidente. Questa edizione genovese ce ne offre una versione in cui la musica è, per dire in metafora, ‘tiranna’ in quanto capace di guidare, con la sua intrinseca forza, lo sviluppo del racconto, così da  imporre, per la sua stessa complessità, le esigenze della più raffinata tecnica vocale, anche rispetto a quelle della immedesimazione nel personaggio, talvolta a scapito del pathos complessivo e dell’aggancio emotivo del pubblico.

D’altra parte il cast dei cantanti ha risposto con prestazioni di grande livello, a partire, ma non solo, dai tre protagonisti Riccardo (il beniamino genovese Francesco Meli), Renato (un potente  Roberto de Candia) e Amalia (una Carmen Giannattasio a suo pieno agio nei difficili passaggi del canto verdiano) molto applauditi, e in cui si segnala l’effetto quasi alienante, nella sua dissonanza estetica e vocale, del paggio Oscar della  brava Anna Maria Sarra en travesti. Comunque coraggiosa, nelle oggettive difficoltà la prova di Maria Ermolaeva, Ulrica dell’ultimo minuto per la defezione della indisposta titolare.

Pari per resa e capacità di svelare ogni incrocio musicale anche la lettura orchestrale, felice e puntuale come di consueto, del maestro Donato Renzetti. Non al medesimo livello, a mio avviso, la pur colta regia di Leo Nucci, che per sua stessa ammissione si tiene un po’ fuori, per non togliere spazio al pieno dispiegarsi dell’energia musicale, delle tensioni che produce e dei movimenti che induce drammaturgicamente, e con essa scenografie e costumi in cui le oscure suggestioni ‘gotiche’ non sempre appaiono coerenti con il naturalismo e il romanticismo di fondo dello spettacolo. Uno spettacolo, peraltro, nel complesso di grande presa, più per la partitura dunque che per la parte drammaturgica della messa in scena, sul pubblico che, alla prima, ha a lungo applaudito, a scena aperta e alla chiusura.

Al teatro Carlo Felice di Genova, il 27 gennaio.

Share
Tags

Comments are closed.