Chi fa teatro, Interviste — 30/05/2013 at 13:02

Intervista a Richard Schechner: la performance salverà il mondo?

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Foto di Gianmarco Vetrano

È stata intitolata a Richard Schechner la biblioteca del Centro Interdipartimentale di Studi sulle Arti Performative dell’Università degli Studi di Messina, unitamente al primo corso italiano di dottorato in Performance Studies che adesso porta il suo nome. Richard Schechner, Professore in Performance Studies alla Tisch School of The Arts della New York University, è editor della rivista internazionale TDR, The Drama Review. Riportiamo l’intervista rilasciata in occasione delle giornate di studio in cui Schechner è stato coinvolto  il 15 e 16 maggio a Messina per un ciclo di seminari sulle arti performative.

 

In che modo elementi come verticalità e orizzontalità in un’opera teatrale che faccia uso di tecnologie possono confluire in un messaggio drammaturgico costruttivo e metafisico?

“Nei miei lavori mi sono occupato di studiare l’elemento tecnologico e il modo in cui viene esibito nelle opere artistiche performative e come possa diventare un elemento certamente fondante e introiettato nel corpo dell’attore. Esistono vari esempi che illustrano il modo in cui la tecnologia all’interno di uno spettacolo possa conferire un arricchimento alla trama o al contrario possa invece distrarre l’attenzione dello spettatore su un elemento orizzontale, che si muova sull’asse di un’antropologia terrena. È però vero che la dimensione tecnologia quando viene incarnata nel personaggio assume i tratti e le caratteristiche della sua persona e quindi l’elemento verticale viene a essere assunto dalla dimensione umana e quindi metafisica, se lo prevede il testo, ma senza questo elemento esiste solo un confronto, seppure con il pubblico, che rimane ancora sempre soltanto in una estensione tra i corpi, con uno scambio sensoriale ma senza alcuna spiritualità o metafisica.”

Quale figura mitologica ovvero quale nuovo Dionysus, stavolta “in 2013”, potrà costituire un coraggioso elemento disturbante per un rinnovamento della società?

“Quando, in tempi molto diversi da quelli in cui viviamo oggi, nacque appunto Dionysus in 69, c’erano i presupposti per potere cambiare il mondo, ma con un’azione attiva e di contestazione. Si voleva provocare, con azioni anche violente. Oggi è impossibile pensare che si possa attuare un pensiero del genere, non è più tempo di distruzione, bisogna costruire. È necessario rifondare una nuova dimensione, con valori che uniscano, Dioniso è un disturbatore che crea contrasti, spezza legami sessuali, s’insinua nei legami d’amore, non è una figura mitologica che può rinnovare il nostro tempo. Io stesso sono cambiato e oggi non abbraccerei mai la poetica dionisiaca.”

Nei suoi lavori di studioso insiste spesso sulla necessità di riformare la società attraverso la salvezza delle Arti Performative, in che modo ciò potrebbe avvenire?

“Ogni azione politica ha bisogno di essere supportata da un’azione performativa. Pensiamo ad esempio alla pressione esercita su manifestazioni, dimostrazioni, petizioni, si tratta di forti eventi performativi, in cui continua ad avvenire l’applicazione di una legislazione per proteggere e garantire la libertà a tutti i livelli. È possibile che avvenga una crescita con la realizzazione di una performance in un edificio, per strada o in un centro commerciale. Una protesta, uno sciopero sono forme di teatro sociale. Studiare questi fenomeni è utile per lo studioso di performance. Credo la salvezza potrà esserci solo se avverrà una decrescita della popolazione, altrimenti sarà necessario popolare con artisti performativi un altro pianeta dell’universo.”

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