Recensioni — 29/11/2023 at 14:46

Prima e dopo il Romanticismo – Werther tra Goethe e Massenet

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RUMOR(S)CENA – GENOVA – Secondo molti, ed è opinione condivisibile, il Werther di Jules Massenet, andato in scena a Genova per la stagione del Teatro Carlo Felice, è opera, nella sua stessa contrastata genesi ed evoluzione temporale, tra fine ‘800 ed inizi del secolo breve, di transito.

È, in sostanza, un ponte, un passaggio attraverso il quale i lampi ed il tuonare dello Sturm und Drang, insieme a quella carica culturalmente rivoluzionaria che contendeva l’epoca ad un Ancien Regìme in dissoluzione, vengono dalla nuova Borghesia vittoriosa, ma già piena di crepe, incorporati e depotenziati, iscrivendoli all’interno della nuova idea (egualmente ma diversamente patriarcale) di Società e Famiglia all’insegna di una ‘Economia’ posta prima, e dunque oltre ogni metafisica, etica od estetica, che già le novità di Nietzche, Freud e Marx andavano mettendo in aperta discussione.

Così il Giovane Werther, da espressione di quella cultura ‘mondo’ attraverso la quale il grande poeta e pensatore tedesco cercava risposte alle sue inesauribili domande, e che evolverà nel maturo Wilhelm che, come scrive Pietro Citati, “tenta di far splendere, sopra la superficie cangiante delle apparenze, la luce perfetta e immobile dell’Idea”, si trasforma in un’amante infelice e sfortunato alle prese con i vincoli di quel nuovo e più piccolo mondo che andava ad abitare, dove la morte non era più conseguenza della ‘impossibilità’ metafisica dell’amore ma al contrario proprio della sua ‘possibilità’, sommersa ed espunta da divieti, vincoli sociali, consuetudini e soprattutto dai sensi di colpa che essi psicologicamente producevano.

Questo dal punto di vista drammaturgico che è, nella revisione e nella selezione del testo goethiano del 1774, una programmatica, direi, amputazione degli elementi ‘eroici’, tipici del primo romanticismo, a favore di uno scenario psicologico ed intimo, in fondo quello che si dice ‘piccolo borghese’, che informa il secondo romanticismo (o non saprei dire quanto ‘romantico’ lo sia in senso stretto). Precipitando Werther in questo mondo trasla nell’interiore e cerca di normalizzare i sentimenti, mostrandone però criticamente la maschera di fragile e dolorosa convenzionalità, per intenderci la stessa cosa che fanno, con differenti linguaggi,  Ibsen e Giacosa, o anche con ironia  Feydeau, Oscar Wilde o  George Bernard Shaw.

Poi anche dal punto di vista della partitura, si può leggere, in una sorta di congiunzione tra il Romanticismo di Verdi, anch’esso dominato dagli eroi e dal loro Dramma, e le umane sensibilità sentimentali e psicologiche di Puccini, quello stesso tipo di stabilizzazione melodica che, musicalmente intendendo, sembra anticipare certe sintassi cinematografiche, da colonna sonora senza sminuirne in alcun modo l’efficacia e la grazia, di cui Puccini fu maestro.

In particolare, parafrando il Sanguineti che definì, parlando del Macbeth del Cigno di Busseto, il libretto di Piave notazione debole rispetto alla musica di Verdi, nel complesso della partitura del Werther è il canto che appare la notazione forte, mentre la musica orchestrale ne è come il fondo ritmico e melodico da cui quelle voci/personaggio emergono con naturalezza, quasi che Massenet avesse voluto partire dal canto per la sua elaborazione creativa, ad attestare che, nella prevalenza della solitudine dell’individuo ‘borghese’, l’Universalità, storica e ultra-storica, della grande musica romantica e tardo romantica della revisione wagneriana, si fosse di molto attenuata o addirittura spenta,

La bella regia di Dante Ferretti, che cura anche le scenografie ed i costumi, coglie a mio avviso questo duplice aspetto, quello del transito e del movimento temporale, così che colloca la narrazione intorno alla metà di un molto parigino ‘900, e quello della sintassi cinematografica, arricchendo la scena di un continuo movimento e di rimandi in contro-scena che danno più ampia e complessa  dinamica allo spettacolo.

Da parte sua il Maestro Direttore e Concertatore Donato Renzetti, sempre molto bravo ma è ormai inutile ricordarlo, asseconda con grande sensibilità la preminenza del canto, chiosando le tonalità ritmiche e talora naturalistiche, e dosando le melodie cui dona una omogeneità su cui spesso le voci dei cantanti ‘volano’. Molto interessante poi la scelta interpretativa della ouverture e degli intermezzi tra i diversi quadri drammatici, ed in particolare quella di sviluppare sinfonicamente lo stacco tra terzo e quarto atto con il sipario chiuso per cambio scena.

Per quanto riguarda infine proprio le ‘voci’, non si può che sottolineare la prestazione di Jean- Francois Borras nel ruolo di Werther, cui dà una voce robusta, piena ed insieme ricca di sfumature, da tenore quale per potenza, oltre che per complessione fisica e postura recitativa, non è consueto incontrare. Un cenno, a mio avviso, merita anche Caterina Piva nel ruolo di Charlotte, amante altrettanto infelice e sfortunata, un mezzosoprano che per qualità vocale, e anche per la qualità della recitazione, è stata in grado di assecondare, tenendole efficacemente testa, la presenza incalzante del tenore.

Tutto attorno un cast ancora una volta di grande qualità e professionalità, ma soprattutto definirei perfetta, in parte fuori scena in una efficace contro-inquadratura melodica, la prestazione del Coro delle Voci Bianche del Carlo Felice diretto da Gino Tanasini e dei suoi solisti, un coro quasi angelico collocato in un altrove in cui sperare la giusta pace dell’anima.

Una messa in scena, anche per il disegno luci di Daniele Nannuzzi, ricca di tonalità figurative, a movimentare quasi la tenuta malinconica della narrazione e della partitura musicale, e inoltre ricca delle sorprese che lo spostamento temporale consente e stimola. La scelta del Teatro Lirico genovese di riproporre in continuità opere ora non molto rappresentate, si conferma una buona scelta, che ci fa riscoprire tesori dimenticati.

Visto al teatro Carlo Felice di Genova il 26 novembre, ultima delle tre repliche effettuate, con un buon successo, in particolare per i cantanti, attestato dai numerosi applausi a scena aperta e per lunghi minuti alla fine.

WERTHER Drame lyrique in quattro atti di Jules Massenet su libretto di Edouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann, dal romanzo di Johann Wolfgang von Goethe. Personaggi e interpreti: Werther Jean-François Borras,  Albert Jérôme Boutillier, Le Bailli Armando Gabba, Schmidt Roberto Covatta, Johann Marco Camastra, Charlotte Caterina Piva, Sophie Hélène Carpentier Brühlmann Emilio Cesar Leonelli, Kätchen Daniela Aloisi. Solisti del coro di voci bianche Maria Guano, Leonardo Loi, Nicoletta Storace, Erica Giordano, Denise Colla, Sofia Macciò, Lucilla Romano, Alice Manara, Giulia Nastase, Vittoria Trapasso. Maestro concertatore e direttore d’orchestra Donato Renzetti, Regia, scene e costumi Dante Ferretti. Luci Daniele Nannuzzi. Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genovain coproduzione con HNK – Croatian National Theatre di Zagabria. Orchestra, Coro di voci bianche e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova. Maestro del Coro di voci bianche Gino Tanasini.

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