Recensioni — 28/03/2018 at 19:44

Tamerlano, il potere tra noi. Regia di Luigi Lo Cascio

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CATANIA Talvolta il potere è una bestia feroce, un delinquente sanguinario che tutto travolge con la sua irruenza; affascina implacabilmente, non solo i singoli che possono soggiacervi, e financo paradossalmente innamorarsene, ma soprattutto le masse, che amano affidarsi alla forza risoluta dell’uomo forte di turno, dell’uomo del destino a cui tutto si perdona, in nome di interessi superiori e di oscure, incontrollate, paure e pulsioni. È questo lo snodo problematico e da qui nasce l’urgenza poetica che ha guidato il regista Luigi Lo Cascio e l’attore Vincenzo Pirrotta, ad affrontare e riscrivere per la scena contemporanea, il capolavoro del teatro elisabettiano, qual’è il Tamerlano di Marlowe.

Dopo aver debuttato nel mese di febbraio scorso al Teatro Biondo di Palermo, si è visto in scena allo Stabile di Catania (dal 13 al 18 marzo scorso) per poi proseguire in tournée nazionale nella prossima stagione. Ci recitano, oltre al protagonista, anche Tamara Balducci, Gigi Borruso, Lorena Cacciatore, Giovanni Calcagno, Paride Cicirello, Marcello Motaldo, Salvatore Ragusa, Fabrizio Romano; tutti variamente impegnati e in grado di esprimere con rigore quanto ideato dal progetto registico. Si tratta di un testo importante e di grandezza inusitata per uno spettacolo che vuol dispiegarsi, oggi, attraverso un impianto formale rigoroso, senza inutili orpelli o esagerazioni patetiche. Vuole e, sostanzialmente, ci riesce: perché se è vero che sta tutto nelle corde di Pirrotta, un personaggio di grande energia vitale, com’è il grande condottiero mongolo Tamerlano; è anche vero che questo interprete ha imparato negli anni a piegarsi alla sola misura della regia, non eccedendo mai la misura che lo stesso Lo Cascio ha stabilito.

© rosellina garbo 2018

Una misura teatrale, seppur abbondante, è stata capace di accogliere e valorizzare l’energia ancestrale di Pirrotta ma anche di asciugare il respiro epico del testo di Marlowe, di trasformarlo, se non in un semplice apologo, sicuramente in un allestimento pulito e godibile senza perdere complessità e mistero. In questa solidità d’impianto tutto si risolve e trova la sua ragion d’essere: la semplicità delle scene, oscure, ferite da tagli di luce (di Cesare Accetta) che le vivificano, movimentate e rese profonde da compartimenti video che le sovrastano e attraversano; il mestiere degli attori che calcano la scena con diversi ruoli (si fanno notare particolarmente Giovanni Calcagno e Lorena Cacciatore per l’intensità ben governata con cui caratterizzano i loro personaggi), le musiche e il tappeto sonoro (di Andrea Rocca) capaci di offrire respiro, storia e memoria all’intero disegno registico. Cogliendo il senso profondo di questo lavoro, ovvero del suo essere una riflessione sulla natura impetuosa, violenta, ma quasi sempre caduca del potere, la presenza di questa riflessione viene svelata apertamente da alcune incisioni, tanto improvvise quanto inquietanti, nella tessitura dello spettacolo: incisioni in cui personaggi tipici della nostra italica attualità, danno aperta contezza, con la stessa trivialità della loro lingua, della loro voglia, piccina, fascista, pericolosissima, di menar le mani.

Come i piccoli, frustrati fascisti di borgata che inneggiano in un stentoreo romanesco al nuovo capo deciso ad imporsi perché “lui sì che ha un progetto”. L’attualità fende la vicenda epico-tragica di Tamerlano: un po’ la ferisce perché ne involgarisce e semplifica eccessivamente il grande respiro storico, un po’ la spiega e illumina perché sì, in fondo, è di questo tipo di potere, del rischio e della belva di cui parliamo. Occorre aprire bene gli occhi. Forse risiede qui il senso dell’annunciato allarme, il disagio forte per ciò che si sta concretizzando nella nostra società. La domanda è: si sarebbe potuto esprimere in altri modi, magari impliciti, meno invasivi ma altrettanto energici e leggibili? Sì, sicuramente sì, ma questo non inficia il valore complessivo dello spettacolo.

“Tamerlano”  tratto da Tamerlano il Grande di Christopher Marlowe. Regia Luigi Lo Cascio, scene e costumi di Nicola Console e Alice Mangano, musiche di Andrea Rocca, luci di Cesare Accetta. Produzione Teatro Biondo Palermo. Crediti fotografici, Rosellina Garbo.

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