Interviste, Recensioni, Teatrorecensione — 27/05/2016 at 22:53

“L’eccezione e la regola”: la conferma di saper fare teatro

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MILANO –L’eccezione e la regola”, è un dramma didattico scritto da Bertolt Brecht nel 1930, opera che ipotizza (come tutti i suoi drammi didattici) un evento che può essere modificato grazie ad un coinvolgimento partecipe ed attivo ma interno dello spettatore; in aperta polemica con quel teatro definito borghese responsabile di suscitare solo divertimento, senza essere di stimolo e riflessione per il pubblico. Al contrario, per Brecht è fondamentale il suo ruolo pedagogico in grado di insegnare. “L’eccezione e la regola” ha come tema il meccanismo del capitalismo dove un uomo viene ucciso e la sua morte per mano assassina non otterrà giustizia per il prevalere della “regola”: il Potere decreta il rispetto della Regola contro l’Eccezione, la salvaguardia dello status quo contro il cambiamento. Risale al 1962 la storica messa in scena al Piccolo Teatro di Milano con la regia di Giorgio Strehler lasciando scritto nei suoi appunti di regia, come a lui fosse chiaro che «uno degli scopi dei drammi didattici è quello di insegnare qualcosa, non solo al pubblico, ma innanzitutto, a coloro che lo interpretano (…) ho capito, io stesso ancora meglio, che la verità dei drammi didattici è quella di mostrare agli spettatori un processo dialettico dove si è costretti a decidere. Al di là delle idee politiche o degli accenti sociali dell’autore.»

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Un precedente illustre per introdurre una versione del dramma brechtiano, assai singolare, quanto preziosa per la sua messa in scena, realizzata nel 2016 che ha avuto l’onore di essere rappresentata al Piccolo Teatro che porta il nome, appunto, di Strehler. Una produzione Botteghe d’Arte del MAPP (Museo d’arte Paolo Pini) e Arca onlus (associazione culturale per il recupero della creatività artistica e la riabilitazione psicosociale), per la regia di Luigi Guaineri in scena insieme a Sandro Dandria (sue le musiche eseguite dal vivo), e Roberto Canella, Tamara Monti, Erica Capozza, Carolina Ronchi, Elisabetta Renolfi, Gianfranco Garofalo, Clemente Randone, Andrea Mittero, Loredana Arcieri, Elisa Candida, Paola Casati. Attori provenienti dalle Botteghe d’arte, seguiti dal Dipartimento di Salute Mentale dell’Ospedale Niguarda di Milano, insieme ad alcuni educatori, a formare una compagnia teatrale a cui va riconosciuto  lo sforzo creativo ed artistico di Luigi Guaineri nell’aver realizzato un progetto di rara sensibilità artistica e sociale. «Come Museo d’arte Paolo Pini abbiamo partecipato a MiArt 2016, la Fiera d’Arte Moderna e Contemporanea di Milano, con le opere realizzate da chi frequenta le Botteghe d’Arte create all’interno di un padiglione dell’ex Ospedale psichiatrico Paolo Pini del Dipartimento di Salute Mentale del Niguarda, dove la creatività viene riconosciuta come valore riabilitativo e strumento di cura – spiega Luigi Guaineri – e i progetti di arte figurativa si sono avvalsi della collaborazione di artisti di fama internazionale fin dall’inizio degli anni Novanta, come ad esempio, Michelangelo Pistoletto».

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Artisti professionisti di varie discipline si affiancano all’equipe composta da psichiatra, psicologo, infermieri e arte terapeuti, e insieme collaborano ai laboratori artistici frequentati dai pazienti. Il risultato è un progetto espressivo artistico che confluisce all’interno del progetto di cura individualizzato per ogni persona. Il teatro ne fa parte. «Devo ringraziare anche Sabrina Scamporrino del Piccolo Teatro che ci ha permesso di recitare lo spettacolo, e chiarire come sia importante usare il linguaggio teatrale anche come supporto psicoterapeutico, pur non sentendomi io assolutamente un terapeuta. Mi assumo la responsabilità di fornire loro la sicurezza per stare in scena, senza dare importanza alla capacità mnemonica o emotiva – ci dice Luigi Guaineri – che vada a vantaggio del teatro, si avvicinano a quelle idee registiche, sceniche proposte ad un attore professionale, che nel caso di questo lavoro quello che importa è il livello attoriale umano».

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La scelta di rappresentare L’eccezione e la regola” a cosa è dovuta?

«Questo testo di Brecht è paragonabile ad un gioco che permette un utilizzo massimo della finzione e se io attribuisco ai personaggi interpretati dagli attori caratteristiche enfatizzate, loro diventano ancora più realistici e veri. Ho scelto di rappresentarlo a teatro dove siamo tutti in scena, compreso me e gli educatori. Contiene elementi ridicolizzanti che sono nati dall’improvvisazione e le azioni più ridicole sono diventate delle scene che ho inserito nello spettacolo e i primi quindici minuti sono il frutto di invenzione, di scrittura drammaturgica in scena. Io non sono un terapeuta e questo testo è stato scelto anche perché è il più rappresentato da attori non professionisti. Contiene temi drammaturgici tali da essere scelto dai sindacati e dalle scuole per essere recitato. Io ho scelto di fare con loro teatro non tanto sull’espressività espansiva ma su quelle che sono le capacità espressive sensoriali.»

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La messa in scena di Luigi Guaineri risulta giocata con sapienza registica sui registri ironici, sarcastici e grotteschi, essenziali nell’affrontare Brecht, trovando sempre la giusta chiave di lettura, da affidare a degli attori sensibili per la loro condizione esistenziale, e non professionisti, ma proprio per questo ancora più convincenti. La loro presenza scenica quasi istintiva, libera da sovrastrutture recitative collaudate, faceva sì che lo spettacolo risultasse dinamico e divertente. Teatro a tutti gli effetti con la cura necessaria riservata ai costumi, al trucco, ai movimenti scenici, e all’apporto fondamentale della musica, eseguita al piano da Sandro Dandria.

Assistendo a questa particolare versione de L’eccezione e la regola, il pensiero riportava al  Convegno internazionale sul Teatro che cura: “Catarsi” che si è svolto nel 2013 al Teatro Olimpico di Vicenza e organizzato dal Laboratorio Olimpico, in cui mi era stato richiesto di affrontare nello specifico una riflessione dal titolo: “L’utilizzo del teatro come strumento terapeutico. I benefici nel disagio psichico”. Un argomento assai delicato che si apriva con degli interrogativi. «È realistico pensare ad un teatro che cura? Un teatro capace di agire terapeuticamente nell’ambito della marginalità e delle devianze, efficace nell’affrontare il disagio dell’uomo? Sono domande che necessitano delle risposte il più convincenti possibili, affidandosi ad analisi dettate dall’urgenza di trovare rimedi alternativi alle terapie convenzionali. Recitare diventa una pratica riconosciuta e istituzionalizzata se gestita con competenza nei servizi di cura nell’ambito della prevenzione e del recupero. Il teatro può diventare (anche) una forma di terapia espressiva artistica e riabilitativa al contempo? Io credo che l’operatore teatrale, se esperto, possa offre la sua esperienza e professionalità promuovendo la sensibilizzazione di una forma di espressività artistica, particolarmente utile anche nei processi educativi socializzanti.

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È una relazione legata ad un atto creativo dove è insito un vissuto personale. Il teatro, se promosso secondo queste finalità, è una pratica che favorisce processi di relazione, solidarietà, coesione, apre alla collaborazione tra persone e gruppi. Restituisce nella sua originale espressione, la sua genesi primitiva, dimostrando la scientificità nell’applicare il teatro in ambiti diversi dove lo scopo è il solo intrattenimento.

Una funzione terapeutica/riabilitativa come può essere per il paziente/attore sul palcoscenico , si trasforma in un’esperienza di normalità a tutti gli effetti. Questo porta a pensare ad un teatro che esca dal teatro stesso, inteso come collocazione ristretta e figurata, capace di entrare nel mondo, nella realtà quotidiana circostante, senza definirlo “teatro della diversità” quando, invece, è più corretto codificarlo come“teatro della normalità”. Una persona affetta da una disabilità se è in grado di affrontare un’esperienza artistica e teatrale, può beneficiare di un processo trasformativo capace di rientrare in una dimensione di normalità, e non di “diversità”, condizione spesso amplificata quando“l’attore” viene considerato “diversamente abile”. In un’ottica di partecipazione al processo di costruzione artistica, il lavoro dell’attore, deve essere condiviso in condizioni di equità, senza creare differenziazioni rappresentate dalla disabilità. Esistono anche dei margini di rischio nell’utilizzo del teatro terapeutico, mentre è più idoneo definirlo uno strumento di mediazione teatrale all’interno di un setting terapeutico, capace di interagire con altre figure professionali»

IMG_8813Luigi Guaineri è attore e regista, laureato in filosofia presso l’Università degli Studi di Milano. Ha conseguito il diploma in Regia Teatrale presso la Scuola d’Arte drammatica “Paolo Grassi” di Milano. Ha frequentato il Master di formazione in Alta regia (lirica e televisiva per il teatro) presso l’Accademia del Teatro alla Scala di Milano. Nel 2003 ha vinto il Premio “Scena Prima” a Milano con la regia de “La Segretaria” di M. Marelli. Ha firmato le regie de “La signorina Julie” di Strindberg, “Alta Sorveglianza” di Genet nella rassegna “Pre-visioni” (Registi di Domani), “Leonce und Lena” di Moliere-Lully. Ha lavorato come assistente alla regia con A.R. Shammah al Teatro Franco Parenti di Milano.

Visto al Piccolo Teatro Strehler di Milano il 30 aprile 2016

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