Recensioni — 27/03/2017 at 22:11

“Arlecchino” è di casa al Goldoni di Venezia e Giorgio Sangati lo riporta in vita

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VENEZIA – A Carnevale, Venezia diventa un gigantesco palcoscenico all’aperto, affollato e straripante di maschere. Non senza conseguenze: l’affluenza è tale da saturare calli e campielli, creando anche problemi di ordine pubblico. Sfilare in costume e parrucca non ha prezzo in questo luogo scenografico unico al mondo. Testimoniato anche compulsivamente con gli immancabili selfie. Il telefono portatile è divenuto ormai strumento ossessivo per testimoniare ogni minuto della propria giornata, sia privata che pubblica. Succede anche a teatro. Nella sera del sabato grasso di Carnevale al Teatro Goldoni, andava in scena uno spettacolo indicato per festeggiarlo: “Arlecchino servitore di due padronidi Carlo Goldoni, la commedia più rappresentata al mondo, il cui titolo richiama la storica e indimenticabile versione di Giorgio Strelher al Piccolo Teatro di via Rovello di Milano (le cui tournée fecero il giro del mondo ) prima con Marcello Moretti e poi con Ferruccio Soleri (l’Arlecchino per antonomasia del teatro mondiale, allievo di Moretti nella tecnica recitativa ).

Marco Zoppello in Arlecchino servitore di due padroni

Nel 2017 la versione teatrale “Arlecchino servitore di due padroni” porta la firma del regista Giorgio Sangati, chiamato dallo Stabile del Veneto, ad allestire uno spettacolo molto ben realizzato e originale. Nota a margine: gli spettatori in occasioni come queste si differenziano, almeno in parte, da quello più abituale che frequenta i teatri (vedi abbonati e spettatori assidui), attirato dal Carnevale e dalla curiosità di assistere ad uno spettacolo che aveva tutte le caratteristiche per risultare divertente, allegro e adatto anche ai bambini. Non per questo però meno esigente nel richiedere un comportamento civile e corretto. Telefonini accesi e rumorosi (problema oramai inarrestabile in tutti gli spazi di socializzazione comune), in mano a genitori e figli altrettanto indisciplinati, dove gli stessi adulti dimostrano per primi, di non avere quel comportamento adeguato necessario. Parlare ad alta voce durante la rappresentazione teatrale disturba, non solo gli spettatori, ma anche gli attori, intenti a recitare. Quello che viene richiesto è un silenzio/ascolto attivo e partecipato. Segno evidente di come le regole base della convivenza, stiano perdendo sempre più il loro valore: quello di condividere e apprezzare il lavoro di professionisti.

Sul palcoscenico del Goldoni, gli attori diretti da Giorgio Sangati erano già presenti a sipario aperto, e le prime loro azioni sceniche sono iniziate quando il pubblico si è seduto. Una rincorsa frenetica nell’aprire bauli da cui emergevano vestiti consunti, desueti e invecchiati da tempo immemore, attrezzi di scena e strumenti musicali, avvolti in nuvole di polvere. Segno di un passato glorioso. Un’idea registica che coglie perfettamente il senso di rappresentare oggi un genere teatrale che non va dimenticato: quello della commedia dell’arte. Esce dai bauli un’eredità culturale e storica capace di suscitare il riso, il buonumore, l’allegria espansiva e contagiosa. Il teatro fatto con pochi mezzi, artigianali e semplici, senza la necessità di stupire con artefici tecnologici o strumenti sofisticati. La regia affida alla bravura degli attori di rappresentare un Arlecchino impegnato nei suoi mille sotterfugi per ingannare più padroni a cui rende i suoi servigi, fino ad arrivare a triplicarsi per soddisfare le esigenze e gli ordini di ciascuno di loro. Si creano situazioni esilaranti per le sue rocambolesche (dis)-avventure in cui appaiono e scompaiono tutti i personaggi della commedia. Ognuno di loro contribuisce ad una recitazione corale, complice di creare svelamenti, ammiccamenti, riconoscimenti, giocati sul registro farsesco, come lo stesso Goldoni descrive, raccontando una Venezia da lui amata ma caratterizzata da una vena nostalgica. Scrive Il servitore di due padroni nel 1745, lontano dalla sua città e lo fa dichiarando tutto il suo “amore intriso di vita, in cui tutto è (ancora) possibile” .

Tutto ritorna in questo allestimento perfetto nella sua concitazione scenica, tesa sempre a rendere con calibrata misura la vicenda apparentemente semplice. Goldoni racconta una storia dove il travestimento serve a confondere la loro vera identità. L’animo umano si sdoppia e pare dire come l’essere umano sia ambiguo e facilmente intento a cadere in tentazione. Siamo tutti servitori ma c’è sempre un padrone dietro l’angolo a cui dobbiamo obbedire. Rapporti di potere. Qui però tutto si trasforma in un gioco vorticoso di duelli e amori sospirati, scambi di ruolo, duetti e finte schermaglie. Gli attori sono efficaci e dimostrano di essere sempre nelle parti a loro assegnate dal regista. Talento anche musicale e dotati di belle voci nel canto. Ognuno sa esprimere doti attorali e anche da caratterista, necessarie per cogliere l’anima stessa del testo; colorando scene, fondali, luci e costumi (e soprattutto l’emotività dei personaggi. La Compagnia dimostra un affiatamento , cosa non scontata e gli stessi attori e attrici sanno divertirsi nell’interpretare (a scanso di equivoci: qui stiamo parlando di professionisti) Brighella, locandiere (Anna De Francescani), scelta originale e felice di dare un ruolo maschile ad un’attrice, Silvio (Francesco Folena Comini), la bravissima Eleonora Fuser nei panni di Pantalone de’ Bisognosi, Smeraldina (Irene Lamponi), Clarice (Marta Meneghetti), il Dottore Lombardi (Michele Mori), Florindo Aretusi, torinese (Stefano Rota), Beatrice in abito da uomo sotto nome di Federigo Rasponi (Laura Serena). Bravissima Veronica Canale con la sua fisarmonica dal vivo, la cui musica era  di supporto all’azione scenica. E, infine,  Arlecchino, facchino, un Marco Zoppello intenso, divertente, atletico, instancabile nel correre da una parte all’altra del palcoscenico, non solo fisicamente ma anche nel differenziare le dinamiche che si creano tra lui e gli altri personaggi. Istrionico burlesco nel caratterizzare la maschera goldoniana e vero protagonista della Commedia dell’Arte. Non è assolutamente sbagliato scrivere nel programma di sala:Un’intricata vicenda di travestimenti e scambi di ruolo”.

Viene chiesto molto impegno agli attori per arrivare al finale dove si assiste al fatidico “e tutti vissero felici e contenti”. Finisce bene l’Arlecchino di Goldoni ma non è scontato. Le riflessioni sono tante in questo universale e inossidabile testo che la regia e l’interpretazione convincono e regalano una prova di ottimo livello artistico. Fuori dal Teatro nel frattempo si consumava il rito carnevalesco fino a tarda notte mentre Goldoni rincasava soddisfatto per aver assistito, in incognito, ancora una volta, al suo teatro che non ha età.

Visto al Teatro Goldoni di Venezia il 25 febbraio 2017  sabato grasso di Carnevale

Di: Carlo Goldoni
Adattamento di: Giorgio Sangati
con (in ordine alfabetico): Anna De Franceschi (Brighella, locandiere),
Francesco Folena Comini (Silvio), Eleonora Fuser (Pantalone de’ Bisognosi), Irene Lamponi (Smeraldina), Michele Mori (Il Dottor Lombardi), Marta Meneghetti (Clarice), Stefano Rota (Florindo Aretusi, Torinese), Laura Serena (Beatrice, Torinese, in abito da uomo sotto il nome di Federigo Rasponi), Marco Zoppello (Arlecchino, facchino)
Musiche eseguite dal vivo alla fisarmonica da: Veronica Canale
Regia: Giorgio Sangati
Scenografia: Alberto Nonnato
Costumi: Stefano Nicolao
Maschere: Donato Sartori – Centro Maschere e Strutture Gestuali
Luci: Paolo Pollo Rodighiero

Il video

Teatro Stabile del Veneto: Arlecchino il servitore di due padroni

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