Festival(s) — 25/10/2022 at 10:44

Castrovillari, una Primavera dei teatri fuori stagione

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RUMOR(S)CENA – CASTROVILLARI – Dopo due anni di interruzione, causa Covid, e con un’ormai abituale precessione degli equinozi – non astronomica, ma dovuta a motivi burocratico-amministrativi – a fine settembre è tornata a Castrovillari Primavera dei teatri nella sua XXII edizione, preceduta da una breve sessione, prevalentemente dedicata alla danza, tenutasi a Catanzaro. A Castrovillari si ritrovano con piacere le vecchie conoscenze, ma si conta anche chi non c’è più, e un certo spazio è stato giustamente dedicato, infatti, alla memoria di figure che erano diventate presenze abituali, ma che ci hanno lasciato: personaggi della critica, come Maria Grazia Gregori e Renato Palazzi, ricordati, oltre che dai direttori artistici Dario De Luca e Saverio La Ruina, da Leonardo Mello, Rodolfo di Giammarco, Valentina Valentini; o artisti come Antonello Antonante, che si è rievocato con un incontro intitolato Una rosa ancora rossa, il suo ultimo lavoro, scritto a quattro mani con Franco Dionesalvi.

Cancellati, invece, gli stimolanti incontri con le compagnie, che precedevano – o seguivano – gli spettacoli, sostituiti, oltre che dagli eventi sopra citati, da presentazioni di libri. Non è agevole, in un unico articolo, dare conto di un festival che, solo a Castrovillari, ha proposto una ventina di spettacoli, oltre a svariati incontri, laboratori e residenze. Chi scrive si limiterà quindi a citare sommariamente molte proposte, dando un po’ più di spazio a quelle che si sono rivelate più significative, anche alla luce del sottotitolo della manifestazione: “nuovi linguaggi della scena contemporanea”.

Sotto questo rispetto c’è da rilevare che, anche fra i lavori più appetibili e riusciti, alcuni rivelavano una struttura espressiva e drammaturgica del tutto tradizionale. Mi riferisco, per esempio, a Pietra d’inciampo, nella limpida scrittura di Sergio Pierattini, che vedeva in scena lo stesso autore coadiuvato dai bravi Luca Biagini ed Emanuele Carucci Viterbi: una ben congegnata variazione su tema della Shoah, sempre opportuna sul piano civile ed educativo – tanto più nella presente stagione di reflusso politico ed eclissi della memoria.

Insight Lucrezia è una coinvolgente, a tratti provocatoria, rievocazione dell’inquietante, controverso personaggio di Lucrezia Borgia, a partire dalla sua prima adolescenza, che Nunzia Antonino interpreta con piglio sicuro, restituendone anche i maliziosi sapori di sensualità; la regia di Carlo Bruni impreziosisce la messinscena con raffinate musiche rinascimentali eseguite dal vivo con strumenti d’epoca. Un lavoro sicuramente gradevole, che tuttavia, sul piano del linguaggio teatrale non presenta rilevanti elementi di innovazione.

Neppure F-Aida di Mana Chuma Teatro, apprezzabile per la restituzione delle logiche e dei tragici meccanismi della faida, per la suggestiva scenografia e per l’efficace, realistica prestazione attorale di Salvatore Arena, attinge ai territori di una vera innovazione di linguaggio. In Danzando con il mostro, malgrado l’assunto iniziale, alquanto cerebrale, che rende non del tutto agevole penetrare la logica narrativa dello spettacolo, la regia di Mariano Dammacco governa con sapienza l’ormai consolidata bravura di Serena Balivo e l’istrionismo di Roberto Latini. Anche la scenografia contribuisce a sottolineare una certa originalità drammaturgica.

Balivo Dammacco Latini Danzando con il mostro foto Angelo Maggio

La sfida di affrontare un classico sembra aver stimolato molti artisti, con esiti non omogenei. Saverio La Ruina ha proposto il V Canto dell’Inferno (quello di Paolo e Francesca) intrecciando la parola di Dante con le suggestive immagini video di Antonio Romagnoli e le gradevoli incursioni canore di Cecilia Foti: una coinvolgente esibizione di poco più di un quarto d’ora, reiterata ogni giorno negli inquietanti locali del Castello Aragonese. Una sommessa riserva sui momenti in cui la limpida voce di Cecilia si esprime, non in vocalizzi, ma in canzoni, anche piacevoli, ma il cui banale testo collide, in un impietoso confronto, con la potenza del verso del “ghibellin fuggiasco”.

Saverio La Ruina V canto inferno foto Angelo Maggio

La Divina Calabria, di Krypton Teatro, presentata come “opera in divenire”, è un’ulteriore, intrigante testimonianza con cui Giancarlo Cauteruccio, tornato alle sue radici calabresi, anche linguistiche, attraversando le tre cantiche nella traduzione in dialetto calabrese di Salvatore Scervini. In scena con lui l’attrice Laura Marchiano, la cantante Anna Giusi Lurano ed il mimo ginnasta Massimo Bevilacqua (nel programma, definito “maratoneta”): una partitura complessa, non priva di fascino (ancorché semanticamente criptica per lo spettatore alloglotta), proposta in un locale che si apre sul Corso Garibaldi (la strada principale di Castrovillari), come in vetrina, aperto a passanti e curiosi, attratti delle luci rotanti della scenografia e dai borborigmi vocali di Cauteruccio.

Teatro Studio Krypton – La Divina Calabria – foto Angelo Maggio

Meno coinvolgente emotivamente, ma di non più immediata comprensione l’impegnativa e intellettualistica rielaborazione Confessioni di sei personaggi, di Caroline Baglioni e Angelo Bellani, che non si perita di stravolgere la fabula pirandelliana, con un colpo di pistola finale e con la rivelazione di come la figliastra non sia tale, bensì figlia di sangue. Ma al lavoro non basta, per essere convincente, un uso sapiente della telecamera a mano dalle due interpreti (la stessa Baglioni e Stella Piccioni), e dei raffinati giochi di luce di uno spazio attraversato da un velo di tulle.

Anche i Macbeth di Arca Azzurra e Centro teatrale bresciano subiscono una revisione della vicenda shakespeariana, con l’inserimento di un’improbabile storia parallela di femminicidio. Bravi gli attori: Enzo Vetrano, Stefano Randisi; Giovanni Moschella, Raffaella D’Avella, che condividono collettivamente la responsabilità della drammaturgia.

La locandina riporta che Questioni di famiglia, di Scena nuda, è tratto da Antonio e Cleopatra, e il programma di sala spiega che “L’inatteso accesso ad Antonio e Cleopatra arriva dal tubo di scarico, dal basso, dai residui del cibo dei divini eroi, dal basso, da dove ci troviamo, noi che di divino abbiamo solo il respiro e il battito del cuore. È lì che incontriamo i nostri eroi, negli scarti dei loro pensieri, nel quotidiano delle loro esistenze fuori dalla portata dei riflettori, nel bagno, nei chili di troppo, nelle rabbie e nelle debolezze”.

Questioni di famiglia scena nuda foto Angelo Maggio

Una nota di regia che temo non chiarisca, neppure a chi abbia dimestichezza con la complessa trama di questa non frequentatissima tragedia shakespeariana, il senso di un’operazione drammaturgica che non coinvolge, né diverte. Si direbbe, alla luce di questi esempi, che l’unica modalità di approccio ai classici che la scena contemporanea ritiene praticabile implichi una radicale deformazione del racconto: mi auguro così non sia.

Nei testi originali prevaleva il tema, ricorrente ancorché declinato con esiti teatrali e drammaturgici di diversa efficacia, dell’incapacità della generazione fra i venti e i quarant’anni ad affrontare la vita. A questa categoria appartiene Dammi un attimo, di Rossosimona / Aiello / Greco; ma anche Nitropolaroid, di Crack24, e pure Una storia al Contrario, di De Santis / Arvigo / Teatro delle donne, pur inserito – quest’ultimo lavoro – nel contesto, interessante per i suoi riferimenti alle vicende politiche del Paese, alla storia del quotidiano l’Unità.

Anche Mario Perrotta si inserisce in questo filone con Dei figli, che conclude la sua trilogia sulla famiglia, intitolata In nome del padre, della madre, dei figli. Il tema è ancora quello che lo psicanalista Massimo Recalcati (consulente alla drammaturgia) definisce “la cronicizzazione dell’adolescenza”. Se, in prima battura il confronto con alcuni precedenti spettacoli di Perrotta, come i pregevoli, impegnativi lavori ispirati al pittore Antonio Ligabue, ce li fa rimpiangere, è giusto prendere atto di questo suo nuovo interesse; e spiace, a chi scrive, non aver avuto modo di assistere alle prime due parti della trilogia, per poter meglio inquadrare questa parte conclusiva, ove si apprezza un uso originale della tecnologia video, funzionale alla drammaturgia.

Perrotta DEI FIGLI foto Angelo Maggio

Due lavori più esplicitamente mirati all’adolescenza sono: Animali domestici, di La Rosa / Raffaelli / Mingarelli / Baglioni e Sono nella stanza accanto, di Eco di fondo / Caterpillar, che ci rimandano ai tratti inquietanti di un’età affascinata dal mito della violenza, o supinamente prigioniera di un’illusoria realtà virtuale.

In questo panorama di buona professionalità, ma privo di picchi, di proposte davvero entusiasmanti, si distinguono per originalità almeno tre lavori, totalmente diversi fra loro. Untold di Unterwasser è un godibile esempio di teatro di figura, appunto senza parole (quasi a volerne dimostrare la non necessità quale strumento di comunicazione): una delicata, poetica partitura di luci e di ombre generate manipolando e illuminando oggettini dall’aspetto fragile e precario, addirittura filiformi, ma anche i commoventi profili dei volti e dei corpi di Valeria, Aurora e Giulia che, a vista, danno un’anima a quegli oggettini, grazie a una professionalità ormai consolidata, che ricorda la poetica del compianto maestro georgiano Rezo Gabriadze, insuperato creatore di impalpabili magie.

PdT Untold – Unterwasser foto Angelo Maggio

Il festival chiude alla grande con Kassandra, dove il denso testo di Sergio Blanco trova nella regia di Maria Vittoria Bellingeri, e nell’esuberante prestazione di Roberta Lidia Di Stefano, una felice realizzazione. Sul basso palco predisposto nel fascinoso chiostro del Protoconvento, Roberta, pesantemente truccata, uscendo da una piccola utilitaria, cattura immediatamente il pubblico con una sorta di grezza koinè inglese: un porgere diretto, brutale, ma mai volgare, venato di inflessioni slave, con cui alterna il racconto delle sue personali disavventure di prostituta dei nostri tempi, immigrata dall’Europa orientale, con le vicende dell’infelice eroina troiana: di fatto una denuncia della prevaricazione del maschio sulla femmina che risale, appunto, almeno ai tempi di Omero. E ci riesce, grazie alla sua energia vitale e a una gradevole vocalità (la sentiamo anche cantare), a un turbinio di luci, spostate a vista da lei stessa (forse si poteva risparmiare un po’ di stroboscopia); a una fisicità prorompente, esaltata dai costumi; come il provocante reggipetto di cuoio nero, simile a una gabbia, che contiene a stento il seno esuberante, che scoprirà peraltro nel finale, quando racconterà come Kassandra è stata uccisa e fatta a pezzi. Una creatura che si direbbe parente prossima della Medea per strada ma con una più violenta grinta teatrale.

Kassandra foto di Serena Serrani

Infine, da citare Real Heroes, di Lamanna / Aguilera: uno spettacolo itinerante per i vicoli della vecchia Castrovillari, che il pubblico segue dopo aver indossato delle cuffie, attraverso le quali si sentono raccontare due storie parallele: una ambientata nel Cile ai tempi della dittatura e dei desaparecidos, una italiana e contemporanea; come contrappunto, l’invito reiterato a osservare il paesaggio e le architetture urbane circostanti, l’imprevedibile armonia del profilo dei tetti. A conclusione, un tuffo nella tecnologia più avanzata: il pubblico, seduto comodamente in cerchio e messi sugli occhi dei visori, assiste, in una modalità collettiva ma individuale, a immagini virtuali che danno l’illusione di immergersi in una realtà, e che concludono la storia italiana parallela che ci è stata raccontata. Un’esperienza a un tempo civile ed estetica, di alto profilo.

Real Heroes Lamanna-Aguilera foto Angelo Maggio

Visti a Primavera dei teatri, Castrovillari, dal 30 settembre al 6 ottobre 2022

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