RUMOR(S)CENA- ROMA- Un cospicuo pezzo del cast di “Un posto al sole” trapiantato in lingua napoletana (non dialetto) nel teatro cosiddetto serio per quella che si auto-definisce una black comedy. Nel contesto c’è un po’ di tutto. Con una variegata contaminazione di generi: scegliete voi per contiguità tra vaudeville, music hall, giallo, omologazione della tragedia greca, teatro da strada nel senso letterale del termine perché le protagoniste sono quattro prostitute tutte vagamente differenziate. La base è in Campania ma c’è la barese, la settentrionale che chiama “terrone” le altre. Insieme per necessità più che per simpatia con caratteri bizzarramente dissimili.

Un grande lavoro di scrittura alle spalle e una necessaria dinamica empatia affabulativa nel gioco dei siparietti, peraltro un po’ prevedibili, in cui ognuna delle quattro ha l’occasione per presentarsi e fare sfoggio di sé. Le attrici mostrano di divertirsi con l’orgoglio di chi sa di poter offrire qualcosa di diverso e di qualitativamente diverso rispetto alla serialità televisiva. Un’evasione dalla routine o un nuovo percorso? Probabilmente sarà meglio tenere commercialmente il piede in due staffe perché il gusto del grande pubblico si traduce qui nel virtuale tutto esaurito nel teatro di Testaccio per la grande presenza di fan, trascinati a teatro dal richiamo del carisma accumulato in tanti anni di piccolo schermo.

La storia è un pretesto che può anche presto venir abbandonato. L’equilibrio della vita da marciapiede del quartetto è interrotto dall’inserimento nelle loro tribolate esistenze di un giovane dalla presenza enigmatica e misteriosa. Affascinante anche perché maschio e non cliente a pagamento. Il chiaro turbamento destabilizza perché l’uomo è un alieno, psicologicamente proveniente da un mondo apparentemente lontano. Angelo o Diavolo? La cartina di tornasole è un sussulto di coscienza che provoca reazioni assortite nel quartetto. Alba, la meretrice più matura, sembra ritrovare un sentimento materno perché costretta a rivelare nel proprio passato un infanticidio.
Invece in Gina scatena una rabbia che viene spiegata con la provenienza da una famiglia disfunzionale e vessatrice. Tuna, più evoluta, prostituta per pura necessità di sopravvivenza crede di poter riscattare con lo sconosciuto barlumi della propria perduta identità sessuale. Tuna è omosessuale e l’intruso ha un profilo androgino. Infine indizi di maggiore positività vengono da Morena, espansiva e esuberante, che cerca la via diretta di un rapporto schietto e complice, non scevro però dal ricordo di una violenza subita in passato. Come si comprende reazioni diversificate anche se il regista chiede una partecipazione collettiva nei cori oltre a colorare le proprie interpreti con abbigliamenti ora sobri, ora impudicamente sfacciati nel rispetto del costume della professione.

La morte dell’ospite scatena la ricerca dell’ispettore che, solo contro quattro, finisce con l’affogare nell’ambiguità delle risposte. Manipolate da false tracce che sono figlie dei diversi caratteri ma di atteggiamento di totale chiusura. Un uomo nella tela del ragno della capacità di straniamento dei soggetti femminili. Così la ricerca della possibile colpevole progressivamente si perde perché le prostitute sono streghe che nascondono bene i propri segreti e trovano unità difendendosi con ostinazione dalle accuse. Rimane un’alea di sospetto e una sequenza ininterrotta di domande senza risposte. Lo spettacolo ha una lunga cronistoria e porta bene i suoi anni avendo debuttato al Festival di Benevento con altre interpreti nel lontano 1992.
L’autore Francesco Silvestri ci ha lasciato due anni fa e dunque la ripresa è anche un omaggio al suo testo da cui il regista ha espunto la presenza in scena del misterioso visitatore. In effetti il quattro (donne) contro uno (uomo) è uno schema recitativo molto più funzionale. L’ambientazione restituisce l’atmosfera degli anni ’20 del ‘900: case chiuse e vestiti d’epoca.
Streghe da marciapiede di Francesco Silvestri, uno spettacolo di Stefano Amatucci, con Gina Amarante, Luisa Amatucci, Miriam Candurro, Antonella Prisco e Peppe Romano. Luci, ideazione scenografica e regia di Stefano Amatucci. Costumi di Teresa Acone. Scene di Ciro Lima Inglese. Musiche di Valerio Virzo. La canzone “Zucchero doce” e testi delle canzoni di Michele Fierro.
Visto al teatro Vittoria di Roma il 19 aprile 2025