“I Cenci” (da Artaud) di Giorgio Battistelli. Roberto Latini a LuganoInScena.

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RUMOR(S)CENA – LUGANOINSCENA – LAC- LUGANO (Svizzera) – Al LAC di Lugano inserito nella stagione 2018/2019 “Orizzonti e prospettive” di LuganoInScena di cui è direttore artistico Carmelo Rifici, scopriamo un titolo che rimanda ad una tragica vicenda accaduta nel 1599 a Roma: la giovane nobile romana Beatrice Cenci viene condannata a morte per alla decapitazione, colpevole di essere la mandante dell’uccisione del padre Francesco Cenci. “I Cenci” è il titolo della nuova opera teatrale e musicale  di Giorgio Battistelli tratta dal capolavoro “Les Cenci” di Antonin Artaud (drammaturgo, attore e regista teatrale), che verrà rappresentato in prima esecuzione svizzera e per la prima volta nella versione in lingua italiana, nella Sala Teatro Lac di Lugano il 26 maggio 2019 con Roberto Latini, Elena Rivoltini, Anahi Traversi, Michele Rezzonico. L’Ensemble900 del Conservatorio della Svizzera Italiana in occasione della sua ventesima stagione 900presente. Teatro di musica da Antonin Artaud, musica e libretto di Giorgio Battistelli (editore Casa Ricordi Milano), progetto scenico di LuganoInScena. Regia del suono Fabrizio Rosso, live-electronics e diffusione Alberto Barberis, Nadir Vassena, direzione musicale Francesco Bossaglia. Coproduzione LuganoInScena,900presente, RSI Rete Due, Spazio21. Teatro Musicale/Focus Lis Factory.

Beatrice Cenci rappresenta un mito che si è alimentato nei secoli ed ha ispirato artisti come Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Artemisia Gentileschi, Guido Reni. La storia dei Cenci suscita enorme interesse tra i letterati e la cultura del ‘700. Il poeta Shelley e lo scrittore Stendhal saranno tra i primi a scrivere su di lei, insieme a Dumas, fino ad arrivare in epoca contemporanea con il teatro di Artaud, e un dramma di Alberto Moravia.

Giorgio Battistelli
Roberto Latini ®Fabio Lovino

Gioia Nasti in “Cenci tra Shelley e Artaud” pubblicato sul sito www.letteratour.it analizza in chiave critica l’ispirazione che ha portato a comporre delle opere per essere rappresentate a teatro: “Artaud, Les Cenci ed il Teatro della Crudeltà” Les Cenci qui seront joués aux Folies-Wagram à partir du 6 mai prochain ne sont pas le Théâtre de la Cruauté, mais ils le préparent”. ..«Così scrisse Antonin Artaud, parlando della tragedia Les Cenci, nella sua opera Autour du Théâtre et son double et des Cenci. Egli intendeva “crudeltà” non tanto, e non soltanto, come atti violenti da portare in scena, ma soprattutto come “cruda realtà”. Les Cenci fu il primo grande esempio di questo tipo di teatro. L’incesto è, ovviamente, il centro della tragedia e tutta l’opera gira ovviamente intorno al Conte Cenci, presentato come personaggio demoniaco. Tre furono le scene sulle quali Artaud concentrò la sua attenzione: la scena del banchetto, la scena dell’assassinio e la scena della tortura».

Antonin Artaud

Il saggio “Cenci la storia e il mito a cura di Mario Bevilaqua ed Elisabetta Mori, editore Viella di Roma, è la pubblicazione più completa ed esauriente che comprende un approfondimento scientifico di una delle pagina più tragiche della storia di Roma in età moderna, e una riflessione critica sulla vasta produzione artistica – pittura, letteratura, musica, teatro, cinema – alimentata dalla nascita del mito. La possibilità di documentarsi sugli atti del processo istituito da Papa Clemente VIII Aldobrandini è stata resa possibile dalla decisione di ricopiare i documenti ufficiali del Tribunale Ecclesiastico, a seguito della decisione del Vaticano nel 1839  di ordinare la distruzione del fascicolo intestato alla causa Cenci, come scrive Luigi Londei nel capitolo “Il processo: l’apografo Stramazzi” .

«Nella distruzione andarono coinvolti anche gli atti del processo Cenci, che si trovavano conservati insieme alle cause ordinarie del tribunale. Le operazioni di eliminazione avvennero dopo diversi anni: nel frattempo, gli atti del processo Cenci dovettero richiamare l’attenzione di un impiegato giudiziario, Agostino Stramazzi, che era addetto proprio agli archivi. Egli, rendendosi conto dell’importanza del documento, nonché, forse, della possibilità di ricavare qualche lucro dalla sua pubblicazione, non osò asportare l’originale, ma intraprese una lunga e paziente opera di copiatura, grazie alla quale la documentazione processuale ci è pervenuta.»

Cronaca di una tragedia. Beatrice Cenci: il mito . Di Carlo Simoni e Roberto Rinaldi *

Biografia delle opere consultate

Delitti celebri” di A. Dumas (Sellerio editore); “Cronache italiane” di Stendhal (Mondadori); “Cenci” di A. Artaud (Enaudi); “Beatrice Cenci” di Moravia (Botteghe Oscure) ; “Cenci la storia e il mito” a cura di Mario Bevilaqua ed Elisabetta Mori. (per gentile concessione dell’editore Viella Roma); “Il gioco serio dell’arte”a cura di Massimiliano Finazzer Flory (Bur editore), “Beatrice Cenci di Moravia” di Serena Perini (Edizioni dell’Orso). Un ringraziamento speciale ad Angela Negro direttrice di Palazzo Barberini di Roma.

In occasione della mostra “Respiro Barocco, Un viaggio nella Roma del Seicento” con l’esposizione di 15 opere pittoriche provenienti dalla Galleria nazionale d’arte antica di Palazzo Barberini di Roma e curata dalla Ripartizione Cultura della Provincia autonoma di Bolzano nel 2009 al Centro Trevi , la presenza del quadro di Guido Reni, uno storico ritratto divenuto celebre in tutto il mondo che raffigura Beatrice Cenci, mi è stata affidato l’incarico da Cristina Costa, funzionario dell’Ufficio Cultura della Ripartizione e ideatrice della Mostra dedicata al Barocco, di scrivere un testo teatrale originale insieme all’attore Carlo Simoni che lo ha interpretato, dal titolo “Cronaca di una tragedia. Beatrice Cenci: il mito” e rappresentato a Bolzano al Centro Trevi, al Teatro Lorenzo Da Ponte di Vittorio Veneto e al Teatro San Giuseppe di Torino.

 

Gallerie Barberini Corsini Beatrice Cenci di Guido Reni

Francesco Cenci un uomo di indole violenta, più volte incarcerato e processato per delitti infamanti, sottopose la figlia alla fame e alla segregazione nel castello di Petrella in provincia di Rieti. Beatrice, insieme alla matrigna e al fratello Giacomo, decisero di assoldare dei sicari per far uccidere il padre ma l’assassinio venne commesso materialmente dalla figlia dopo aver mescolato dell’oppio nel vino per addormentare il padre. Il suo cadavere fu trovato la notte del 10 settembre 1598. Si pensò in un primo momento ad una disgrazia accidentale, ma alcuni indizi fecero nascere il sospetto di omicidio e le indagini portarono all’arresto dei Cenci e dei sicari, che sotto tortura confessarono il delitto. Papa Clemente VIII Aldobrandini non concesse la grazia: la condanna a morte doveva servire come monito al popolo. I beni della famiglia Cenci, tra le più ricche di Roma, furono confiscati dalla Chiesa. Il corpo di Beatrice, come chiesto nel testamento, fu sepolto sotto l’altare della chiesa di San Pietro in Montorio in Roma, e la sua testa posata su un piatto d’argento. Per il popolo era diventata una martire da venerare. Iniziava così il mito. Le cronache dell’epoca raccontano che tra la folla per assistere all’esecuzione ci fosse anche un giovane pittore: Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. In quell’epoca le decapitazioni erano all’ordine del giorno. La presenza dell’artista non è stata comprovata ma quell’esecuzione destò una tale impressione cosi profonda da essere testimoniata nell’opera “Giuditta che decapita Oloferne”, così violenta e segnata da un drammatico realismo. Lo stesso che si ritrova nel quadro di Artemisia Gentileschi, pittrice molto celebre all’epoca, una donna che subì, come Beatrice Cenci, lo stupro da parte di Federico Tassi un pittore suo contemporaneo, amico e collega del padre Orazio Gentileschi.

Giuditta e Oloferne Caravaggio

La figura immortale di Beatrice Cenci, resta fissata indelebile sulla tela di Guido Reni (esposta a Palazzo Barberini a Roma), un ritratto definito: “Il quadro più triste che sia mai stato dipinto, o concepito, un imago mortis, un’ immagine che evoca non solo immensa profondità e dolore, ma anche un senso di morte…” Nel 1600 epoca in cui accade la tragica vicenda di Beatrice Cenci, potere maschile predominava anche tra le mura domestiche, dove veniva limitata con i soprusi, la violenza e la libertà, oltre ad ogni diritto sociale della donna. La violenza subita da Beatrice Cenci non procurava conseguenze al padre – violentatore. Nella Roma del ‘600 un nobile poteva comunque riscattare la pena con ingenti somme di denaro, e con la corruzione delle autorità. Cosi fece anche Francesco Cenci, nobile tra i più in vista a Roma. Gli abusi e la violenza a Beatrice, invece non avevano seguito.

(www.labottegadelbarbieri.org)

L’esecuzione di Beatrice Cenci, della matrigna e del fratello Giacomo avvenne l’11 settembre 1599, nella piazza di Castel Sant’Antangelo a Roma. L’ appello dei più celebri avvocati di Roma che invocavano la legittima difesa, cadrà nel vuoto. La confessione dell’omicidio, strappata grazie alle indicibili sofferenze subite sotto tortura, e l’esecuzione della condanna a morte davanti alla popolo romano accorso a quello spettacolo feroce, sono descritti nei documenti storici come una tragedia pubblica collettiva, in cui la sorte di Beatrice susciterà profonda emozione. Le due donne vennero decapitate con la mannaia, mentre Giacomo fu straziato con ferri roventi e poi squartato. Il fratello minore Bernardo di soli 15 anni venne graziato ma obbligato ad assistere all’esecuzione dei suoi famigliari. La sua decapitazione è l’inizio del perenne ricordo. Dal mito, alla narrazione storica.


… la Signora Beatrice disse che il Signor padre stava stordito di quell’oppio, che aveva preso, e giaceva sopra il letto. E così la mattina a buon’ora venne ditto Olimpio a chiamarmi ed io andai con lui e tutti e due per ammazzare ditto Signor Francesco; io aveva uno stenderello da far lasagne e maccheroni, ed esso Olimpio portava un martello. Andassimo alla volta di detta camera, e la Signora Beatrice appresso noi, la quale andò alla finestra ad aprirla perché vedessimo a poterli dare delle botte. Entrati in camera, dove dormiva ditto Signor Francesco, Olimpio si mise sopra alla vita, e li dava martellate in testa con il martello e seguitò a dare delle botte, per la vita ed in petto, ed io li detti 2 botte con lo stenderello negli stinchi. E così l’ammazzassimo, che faceva molto sangue, cioè tanto sangue che era una rovina lì in letto, che sfondò li materassi e la lana…” “Dopo che ammazzassimo ditto Signor Francesco, li fu messo al suo corpo un vestito e questo lo facessimo per dar colore che fosse cascato per essere andato a prendere il fresco in quel ballatoio e scivolato perché si fosse sfondato il piancato marcio di sotto…”

*Da Cronaca di una tragedia. Beatrice Cenci: il mito

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