Danza da Cuba con (gioioso) furore e il profondo blu di Oona

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RUMOR(S)CENA – VENEZIA – Alla Biennale Danza, nell’ultimo anno di direzione di Wayne McGregor, arriva la giovane e grintosa compagnia voluta da Carlos Acosta e il Leone d’argento 2021, la coreografa londinese Doherty, con un lavoro che parla di crisi e redenzione.

Inaugurare riconoscendo le radici – il Leone d’oro a Simone Forti (ne parleremo in seguito) -, proseguire presentando il futuro – la giovane e grintosa compagnia guidata da Carlos Acosta -: sono queste le coordinate con cui Wayne McGregor ha incorniciato il suo terzo e penultimo anno di conduzione alla Biennale Danza.

Ajiaco, quartetto di coreografie che come la tradizionale zuppa cubana ha messo in scena ingredienti molto diversi, ha fatto lustrare gli occhi al pubblico del Piccolo Arsenale, dove il gruppo ha debuttato il 14 luglio. Un vero assalto alla Bastiglia dell’idea di compagnia monotematica o riconoscibile al primo sguardo: i diavoletti nevrili di Carlos hanno tante frecce al loro arco, per volere dello stesso ex principal del Royal Ballet, che si è dimostrato portatore sano di ogni eredità all’interno del suo gruppo. C’è il segno del repertorio classico, dove Acosta ha interpretato quasi ogni ruolo, e il cuore cubano che ha dato anima e sangue alle sue danze. C’è la lezione d’eleganza del Royal, ma anche la maliziosa energia, i ritmi caldi dell’isola dove è nato. Quel mix di disciplina e sensualità, insomma, che hanno fatto la matrice iniziale e inconfondibile della scuola di Alicia Alonso.

Ajiaco 98 Días coreografia di Javier De Frutos con Acosta Danza – Courtesy La Biennale di Venezia / ph. Andrea Avezzù

Ma Carlos pensa lontano. Ha voluto un’accademia, subito dopo aver fondato la compagnia nel 2010, proprio per crescere una generazione di danzatori contemporanei, capaci di sfidarsi con ogni stile. Ajiaco è una sorta di banco di prova, che squaderna autori disparati. Si comincia con la muscolarità hip hop di Micaela Taylor che firma Performance per gli “acostini” in una miscellanea musicale quasi improbabile tra il Clair de Lune di Debussy, impulsi elettronici o i messaggi politico-subliminali della performer afghana Kubra Khademi. Il cambio di scena è repentino con la versione dell’Après-midi d’un Faune che il marocchino-belga Sidi Larbi Cherkaoui, tra i più sensibili coreografi contemporanei, ha creato nel 2017 per il Sadler’s Wells e riproposto ora in prima italiana sugli scultorei corpi di Patricia Torres e Yasser Dominguez. Faun (duet) contrappone maschile e femminile, malinconia crepuscolare di un corpo alla sfuggente sensualità dell’altro. Un gioiellino per due, l’incanto della serata.

Ajiaco 98 Días coreografia di Javier De Frutos con Acosta Danza – Courtesy La Biennale di Venezia / ph. Andrea Avezzù

In prima assoluta Javier de Frutos ha creato invece un lavoro di gruppo che segue le rime di Federico Garcia Lorca dedicata a Cuba, 98 Dìas. Per sua stessa ammissione, durante il talk con il pubblico a fine spettacolo, Javier non è rimasto particolarmente colpito dalla poesia, tra le meno trascinanti del poeta, che però visse sull’isola giorni felici, 98 appunto. Un po’ si vede: conoscendo la frizzante vena, spesso provocatoria e sopra le righe di Javier de Frutos, questo lavoro appare più sottotono del solito, schierando i danzatori come una squadra di metallurgici in tuta blu che va avanti e indietro. In fondo, un buon assist per il pezzo finale di Alexis Fernández e Yaday Ponce, De Punta a Cabo, che rispolvera invece tutto il magnetismo degli interpreti su un doppio orizzonte: lo sfondo proiettato del Malecón, magico lungomare dell’Avana e il proscenio dove i danzatori reali duettano con quelli virtuali. Si gioca, si fa festa, si sfodera il virtuosismo gioioso delle atmosfere cubane. Con misura, però. Acosta deve essersi raccomandato: non vi fate riconoscere subito ancheggiando sguaiati. Noblesse (di danzatore) oblige.

Ajiaco 98 Días coreografia di Javier De Frutos con Acosta Danza – Courtesy La Biennale di Venezia / ph. Andrea Avezzù

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Navy Blue di Oona Doherty – Courtesy La Biennale di Venezia ph. Andrea Avezzù

E’ la tonalità del blu a fare da filo conduttore con l’altro spettacolo di punta di inizio Biennale (visto il 13 luglio al Teatro alle Tese): celeste avion e azzurro per gli acostini, blu navy – Navy Blue è il titolo della coreografia, infatti – per Oona Doherty, leone d’argento nel 2021. Brano corale, orchestrato nella prima parte sulle maree sonore di Rachmaninov (Concerto n.2), in cui i danzatori sciabordano gli uni verso gli altri come sbattuti dalle onde del destino. Soccombenti, in lineare sequenzialità, a schioppettate misteriose mentre cercano rifugio come un branco di prede impaurite. E’ una nave dei folli da ferma, una prua instabile di naufraghi disorientati. Visione distopica che la coreografa londinese di 37 anni, molto celebrata in patria, accosta a una seconda parte più frammentata e pulviscolare. Crisi e redenzione sono le parole tematiche che accompagnano il lavoro, dall’oppressione iniziale al Submission into Love (sottomissione nell’amore), commentato da frammenti di letture sulla disuguaglianza sociale, sulla lotta di classe e altre disparità. Come uno strano inno alla speranza che dalla crudezza dello sparo che spezza la vita, si ritrova a sperdersi nel profondo blu in una rarefatta danza di corpi.

Navy Blue di Oona Doherty – Courtesy La Biennale di Venezia ph. Andrea Avezzù

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Navy Blue tornerà in Italia al Festival di Torino Danza il 22 e 23 settembre alle Fonderie Limone di Moncalieri. Nessuna data di ritorno per Acosta Danza, ma vista la qualità della proposta ci aspettiamo (auguriamo) di rivederla presto in cartellone in altri festival e rassegne di danza

Visti alla Biennale Danza di Venezia il 13 e 14 luglio 2023

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