Recensioni — 19/11/2017 at 22:51

Scene da un tragicomico matrimonio di borgata

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CATANIA – Dove li trova i suoi racconti Rosario Palazzolo? E, soprattutto, come li trova, come li scava? Come li porta alla luce? Quali occhi ci mette questo drammaturgo per ritagliare nel ventre fertile e antico della sua Palermo, le storie che poi mette in scena da regista? È quanto viene da chiedersi nel vedere e nel cercare di interpretare uno spettacolo come “Mari/age”, andato in scena nello spazio Zo di Catania  nell’ambito della rassegna “Altre scene”. In scena Viviana Lombardo e Sabina Petyx (Rita e Fatima, le cugine terribili), Delia Calò e Dario Raimondi (Samantha e Girolamo, i due sposini) insieme a Chiara Italiano (la madonnina, improbabile e sguaiata, che appare alla fine).

 

La scenografia è di Luca Mannino e la produzione è curata da Teatro Mediterraneo Occupato e Teatrino Controverso. Al di là della vicenda tragicomica, surreale e di acida comicità che viene portata in scena nello spettacolo, ovvero il matrimonio più o meno improvvisato tra i due ragazzi di quartiere Girolamo (muratore) e Samantha (una brava ragazza che sana e guarisce ciò che tocca e addirittura in odore di santità), ciò che conta è la capacità, divertita e tuttavia critica, di Palazzolo, di cogliere nei frammenti, nei colori, nelle parole e negli stessi suoni della vita di quartiere dei nuclei di senso drammaturgicamente attivi e capaci di raccontare lo iato doloroso. Oltre che straniato, kitch, sguaiato, divertente, tra l’appiattimento culturale della contemporaneità globalizzata e la vitalità persistente della cultura tradizionale e dialettale. Ne scaturisce la densità di una ricerca teatrale che, seppur ben ancorata ad una ben visibile tradizione (quella del teatro contemporaneo a Palermo i cui grandissimi protagonisti sarebbe davvero stucchevole ricordare ancora), si caratterizza per l’intelligenza e per la fulminea capacità di scoprire e illuminare profonde voragini di senso dietro a una sola parola, ad uno sguardo, un’occhiata malandrina o persa, un silenzio, un accento dialettale. Lo spettacolo non convince del tutto perché l’azione unica che ne costituirebbe il perno e il baricentro non è ben focalizzata, mentre l’allegria chiassosa e divertita (più che divertente), della scena sembra sfuggire di mano al regista. Resta intatto in ogni caso tutto il valore positivo di questa ricerca teatrale.

Visto allo spazio Zo di Catania il 5 novembre 2017

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