Spettacoli — 19/02/2022 at 11:34

Alda, diario di una diversa. La folle, impavida poetica vita di Alda Merini

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RUMOR(S)CENA – GENOVA – Un pianoforte rovesciato./ Una cornice a grandezza d’uomo che pende dal sopra palco./Una duna di sabbia che occhieggia sullo sfondo./La sabbia è il palco, il palco la sabbia.

Poi una sedia. Si siede Alda, con quella sua aria ironica inizia a vagheggiare lucida e la riconosciamo, nella parlata, ne i gesti, ne i racconti visionari e crudamente veri. Milvia Mirigliano interpreta Alda Merini senza risparmiarsi. Indossa le sue paure, le sue gioie, la sua sottoveste succinta, il suo tailleur verde ed il rossetto rosso. Mirabilmente Alda.Lo spettacolo, presentato alla sala Duse del Teatro Nazionale di Genova, è attinto dalla rielaborazione degli sconfinati scritti della poetessa maledetta. Diretto da Giorgio Gallione, la scena si mescola con i cinque danzatori della Compagnia Deos che accompagnano Alda/Milvia nell’esternazione della sua poetica vita. “Ho un teatro nella testa”, “Sono nata il 21 a primavera ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenare tanta tempesta …”. “Poesia non schiacciarmi”. Una vita fatta di privazioni, di un marito ubriaco che la picchiava, indifferente alla sua urlante poetica. Poi, all’improvviso, l’internamento nell’ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano a causa di una crisi nervosa, dovuta ad un esaurimento probabilmente causato dagli stenti e dalla fatica. Per tutta la durata della sua esistenza, dovette portarsi addosso lo stigma della malattia e l’allontanamento dalle quattro figlie perchè ritenuta psicolabile. “In ogni dove era il finimondo. Gente che si strappava i capelli, gente che si lacerava le vesti o cantava sconce canzoni. Le notti erano particolarmente dolorose: era persino proibito soffrire di insonnia”.

Milvia Marigliano foto di Bepi Caroli

L’orrore di aver scoperto il manicomio la terrorizzava al pensiero di cadere nella malattia. Soltanto una parola le baciava le labbra: Alda. La narrazione corre sul filo di un malessere che striscia e che fa intenerire ed inorridire, ma è così intensa che è impossibile staccarsi dalla visione di quel palco, non è possibile distrarsi, non è possibile sottrarvisi. La storia della Poetessa italiana, patrimonio dell’umanità, la conoscono in molti ed in molti apprezzano le sue Poesie, cariche delle passioni vissute o sognate, della solitudine, della malattia, e dello strazio del non-rapporto con le figlie. Ecco un brano che è anche un estratto dello spettacolo.

Milvia Marigliano foto di Bepi Caroli

Quando ci mettevano il cappio al collo

e ci buttavano sulle brandine nude

insieme a cocci immondi di bottiglie

per favorire l’autoannientamento,

allora sulle fronti madide

compariva il sudore degli orti sacri,

degli orti maledetti degli ulivi.

Quando gli infermieri bastardi

ci sollevavano le gonne putride

e ghignavano, ghignavano verde,

era in quel momento preciso

che volevamo la lapidazione.

Quando venivamo inchiodati in un cesso

per esser sottoposti alla Cerletti,

era in quel momento che la Gestapo vinceva

e i nostri maledettissimi corpi

non osavano sferrare pugni a destra e a manca

per la resurrezione degli uomini…

Rammentando le sue interviste rilasciate a trasmissioni televisive resta indimenticabile quella fattale da Piero Chiambretti, in fascia non protetta, ospite nel suo programma Chiambretti Night, nell’anno della sua morte, in cui tutti rimasero affascinati e soggiogati. Un cappello e una sciarpa bianchi, una voce che pareva più un rantolo ed un sorriso appena accennato, ma furbastro: e silenzio fu. Parlò del suo dolore, come sempre, e chi era in ascolto provò adorazione, in quella tarda ora notturna.

Trentasette elettroshock, il fiato che credeva non sarebbe più tornato, gli organi vitali non più percepiti, e la poesia che la rendeva viva e felice. Così come l’amore e la passione vissuti a tratti e il pensiero costante delle sue figlie. Poi un giorno, all’improvviso, le gabbie manicomiali vennero spalancate e lei potè finalmente tornare nella sua Milano, a i suoi Navigli, a condurre una vita da clochard nella sua stessa casa. Ma la gogna sarebbe proseguita; additata come la poetessa folle, dileggiata, offesa. La poetessa degli ultimi e della fama che alfin giunse e la condusse al quasi Nobel per la letteratura.

Alda è stata tutto questo, ed il ricordarla è un atto di immensa gratitudine.

La condizione del poeta è quella del folle, amava citare Borges.

“Anche la follia merita i suoi applausi!”

Visto al Teatro Duse, Teatro Nazionale di Genova il 15 febbraio

Al Teatro Gobetti di Torino dal 22 febbraio al 6 marzo e al Teatro Elfo Puccini di Milano dal 21 al 26 giugno.

Produzione Teatro Nazionale di Genova

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