Danza, Recensioni — 17/09/2018 at 09:39

Ushio Amagatsu Meguri L’impalpabile evanescenza del gesto butoh

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RUMOR(S)CENA – ORIENTE OCCIDENTE FESTIVAL – ROVERETO (Trento) –Esuberanza marine, tranquillità terrestre” è il sottotitolo della coreografia Meguri creata da Ushio Amagatsu per la sua compagnia Sankai Juku. Il tono dell’opera è da subito chiaro: stiamo intraprendendo un viaggio dalle ispirazioni zen, a contatto con la natura, ispirato al butoh. Questa coreografia sorprende e disarma fin dall’inizio. Ushio Amagatsu fa parte della seconda generazione di ballerini di butoh, una danza nata in Giappone nel 1960 in seguito ai cambiamenti socio-economici del paese. Meguri è la rotazione, il ciclo, ma anche il passare del tempo, i cambiamenti di stagione e l’evoluzione delle cose. Come spesso accade negli spettacoli di butoh, bisogna investire tempo per entrare nel ritmo di questa tipologia di spettacolo, è necessario andare oltre una certa impazienza. Nei suoi lavori, Amagatsu presenta una visione astratta dell’infinito. In questa coreografia i gesti sono lenti, fermi, il movimento tersicoreo è incentrato sull’isolamento.

 

I corpi interamente coperti di polvere bianca, la gestualità deliberatamente androgina, non c’è nessun uomo sul palco, piuttosto esseri della natura, che non sembrano del tutto umani, che sembrano ondeggiare e piegarsi al proprio ritmo interiore. L’opera è divisa in sette quadri, tutti con una relazione più o meno diretta con gli elementi naturali, attraverso i quali gli otto interpreti affascinano il pubblico e rivelano in primo luogo il dolore fisico e spirituale. I danzatori vestiti in bianco immacolato muovono con lentezza infinita i panneggi che indossano. Ogni gesto è eseguito con concentrazione avvolta in un alone di polvere bianca in cui pulsa in modo assordante una melodia eterea. Dita lunghe e sottili toccano i visi glabri e la potenza muscolare di questi interpreti viene sottolineata dalla luce radente, che enfatizza la mimica facciale, le bocche aperte nell’espressione tragica di una tensione interiore, le orbite di occhi che sembrano vuoti.

 

Come il sottotitolo già indica, questa coreografia è paradigmatica e universale al contempo, in quanto esprime il movimento della vita, l’alternanza delle fasi, e rivela l’interiorità, la singolarità e l’universalità. I movimenti non si rifanno a gestualità consuete, ma all’abbandono essenziale dei gesti acquisiti, affettati per trovare il movimento primo, spogliato di ogni artificio simbolico. I quattro elementi, terra, acqua, vento, fuoco, afferma Ushio Amagatsu, sono il punto di partenza di questa indagine immersiva nella ciclicità, attraverso il lessico del linguaggio butoh, e la presenza della natura è evocata dalla scena, dai suoi colori, dallo sfondo delicatamente in rilievo con una decorazione ispirata ai fossili e dalla sabbia ocra che ricopre il palcoscenico. Tra un quadro e l’altro i movimenti si interrompono per esprimere la varietà dei sentimenti umani, cristallizzati in un gesto. Meguri ci affascina perché ha il potere magnetico di una sobrietà liberamente offerta alla fantasia dello spettatore. Tuttavia, se sono innegabili ed apprezzabili l’estetica e la raffinatezza di quest’opera manca comunque la profondità, il mistero e il tocco magico dei precedenti spettacoli di Amagatsu, anche se seduce ancora un certo magnetismo che rende questo lavora accattivante.

 

Visto al Teatro Zandonai di Rovereto – Oriente Occidente Festival di danza il 4 settembre 2018

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