Recensioni — 17/05/2022 at 10:29

Tu, io, noi due… raccontami tutto da capo

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RUMOR(S)CENA – FIRENZE RIFREDI – Un uomo e una donna. Una coppia di attori che è anche coppia nella vita, seduti o forse prigionieri su un palco, che palco non lo è più. Spogliato delle quinte e delimitato da pareti grigie, è una stanza come tante, o meglio una delle tante stanze di un teatro dove lo sguardo degli spettatori non può entrare. I due parlano, discutono… battibeccano, come succede a tutte le coppie. Ma all’improvviso un campanello suona: e allora si cambia scena, si ritorna avanti e indietro lungo la linea della vita che hanno trascorso insieme. Il primo incontro, le ansie, le insoddisfazioni e persino un omicidio che, si vocifera, potrebbe essere opera loro. Ma cosa stanno facendo esattamente i due protagonisti di “Raccontami tutto da capo”?

Sembrano intenti a costruirsi un alibi, o impegnati in un’indagine a ritroso per distillare i fatti dalla decostruzione della memoria: ma allora, perché soffermarsi su particolari irrilevanti? Perché concordano nell’adottare certi ricordi, pur riconoscendoli inverosimili e magari controproducenti? Un indizio ce lo abbiamo, trattandosi di gente di spettacolo e dunque incline alle fascinazioni dell’estetica. Ma renderemmo scarsa giustizia ai personaggi, pensando che il mestiere sia il loro punto debole e, ancor meno, ne sarebbe resa all’autore Abel González Melo, se si liquidasse il suo Raccontami tutto da capo come un ritratto del mondo del teatro e delle nevrosi di chi ne fa parte. No, i protagonisti stanno usando i ferri del mestiere come strumento e quindi il fine, ciò che li muove, deve essere qualcosa che il teatro è in grado di fare.

L’uomo e la donna sanno di essere due individui distinti, ma attraverso la capacità generativa del teatro, vogliono sostanziare un’entità che non è sincretica, ma altra. Stanno generando loro stessi in quanto coppia, il terzo intersoggettivo che negli esseri umani monogamici si incarna in figli, golden retriever, mutui e, nel caso ci si trovi in un vecchio castello scozzese, un bel regicidio. E perché la loro coppia esista, sono pronti a tutto: anche a inventare una realtà e accettare la dose di tragedia che ogni realtà si porta appresso.

Raccontami tutto da capo” è stata la lettura scenica con cui si è conclusa al Teatro di Rifredi la rassegna Drammaturgia/Drammaturgie, nata attorno ai lavori di Abel González Melo e dedicata alla discussione teorico-pratica sulla scrittura per il teatro. E non poteva esserci finale migliore dell’incontro con questo testo, raffinato e comunque immune alla velleità intellettualistica. Un testo, sia chiaro, molto difficile. Ma proprio per questo saggiamente affidato alla regia di Giovanni Ortoleva, che ha impiegato la sua dimestichezza nel frequentare l’orbita macbethiana del soggetto e veicolato l’apporto dei due attori protagonisti, Valentina Picello e Annibale Pavone. Attori diversi, ma accomunati da un approccio ricco di sfumature, frutto di una preparazione tecnica e di una maniera di pensare e di pensarsi che è in grado di restituire contemporaneità al teatro contemporaneo.

Annibale Pavone gioca con il vizio dell’istrione che caratterizza il suo personaggio, regola il tempo offrendo allo sguardo del pubblico le coordinate per leggere la vicenda, quanto la solida mappatura che permette a Valentina Picello di spiccare il volo. L’attrice ci trascina con la padronanza del ritmo e mentre torniamo avanti e indietro nel continuo risfogliare la storia, il tratto di Valentina Picello scorre scattante o imprime profondità, regalandoci soprattutto il gusto di un’ironia desueta, che non ha bisogno di dibattersi fra il dolce e l’amaro, ma preferisce sperimentare sulla forma per ottenere una complicità emotiva. La complicità tra lei e Pavone, tra i due attori e il pubblico, tra il pubblico e il testo. Vincente anche l’aspetto linguistico, in equilibrio tra riferimenti situazionali e universali, conservato e valorizzato dalla traduzione in italiano di Angelo Savelli e celebrato dalla messa in scena, che sottolinea anche la natura ambivalente dell’opera. Il palcoscenico, con le quinte crollate e le pareti messe a nudo sullo sfondo, diviene ambiente iper realistico di una lettura, dove due attori leggono un copione che parla di due attori che leggono… e avanti così.

Nel foyer del Teatro di Rifredi, scambiamo due parole con Abel González Melo. Una delle cose che ho già avuto modo di apprezzare in lui è la capacità di trarre spunti di riflessione dal modo in cui i suoi testi vengono rappresentati e di conseguenza recepiti. “Mi ha colpito vedere il copione nelle mani degli attori: vederlo maneggiato, sfogliato” dice Abel Melo. “Mi sono reso conto del valore che può avere sulla scena, della sua potenzialità all’interno della rappresentazione”. Ha ragione, durante lo spettacolo i nostri occhi cercano spesso il copione: il percepirlo come oggetto reale, con peso e dimensioni reali, ci da una sensazione di sicurezza mentre sguazziamo nella natura meta-teatrale.

Ma se indugiamo sulla tangibilità di quell’oggetto, brandito e strapazzato da Valentina Picello e Annibale Pavone, arriviamo a allucinarne una valenza simbolica tale, che la storia che gli sta attorno (o dentro) ci sembra quanto di più credibile e godibile ci possa essere. “Raccontami tutto da capo” è una formula. Le risate degli spettatori e la sensazione di trovarsi di fronte ad una puntuale bellezza, di essere stati per un’ora e mezza complici di un patto. La dimostrazione di quanto il teatro possa essere utile alla realtà e di quanto, non necessariamente, debba essere vero il contrario.

Visto al Teatro di Rifredi il 13/05/2022

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