Culture — 17/02/2014 at 21:57

“Uso umano di esseri umani”, la parola di Romeo Castellucci al progetto: “E la volpe disse al corvo”

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Più una dimensione è profondamente intellettuale più è fisica. Lo ha detto e scritto per quasi trent’anni Antonin Artaud; lo applica da altrettanto tempo nel suo modo di fare teatro, Romeo Castellucci e famiglia della Socìetas Raffaello Sanzio. Nel primo atto performativo “Uso umano di esseri umani” (svoltosi dal 14 al 16 febbraio) del progetto di linguistica generale “E la volpe disse al corvo”- che a Bologna coinvolgerà fino a maggio arti visive, cinema, convegni in spazi non o diversamente teatrali, promosso da istituzioni culturali cittadine assessorato alla Cultura in primis e partner internazionali – si assiste all’esercizio di una ipotizzata lingua artificiale universale, la Generalissima, applicandola all’incontro tra Gesù e Lazzaro sullo sfondo di una gigantesca scena pittorica dall’originale giottesco. Ma il percorso che guida il pubblico in due degli spazi dell’ex ospedale dei Bastardini, già sede del Centro La Soffitta e ora di facoltà universitarie, comincia di fatto e subito con il coinvolgimento di due sensi: la vista cui si offrono alcuni palombari o astronauti bianchi che muovono la ruota di tre metri di diametro dove è tracciato in cerchi concentrici (come gironi danteschi) il processo di astrazione della lingua fino a sole quattro parole; e l’olfatto che, per via delle cavità anatomiche di naso e bocca, viene aggredito assieme al gusto da zaffate di ammoniaca pura, disinfettante colato in diretta, in preparazione dell’incontro con il morto e risorto Lazzaro. Che non vuole risorgere, che non vuole tornare a vivere. Lo vediamo e ascoltiamo nel secondo stanzone dove anche il tatto misura la sua sensibilità sulle grezze pareti contro cui ci si dispone per assistere alle cinque fasi del match linguistico e coerentemente gestuale tra Gesù, Lazzaro (entrambi in abiti impiegatizi) tra figure di contorno mantellate. Il primo dialogo appare come una normale sticomitia pur chiamando in causa Vita, Morte, Amore, Felicità, temi immensi; poi nelle successive quattro fasi le parole si addensano, evocano antiche etimologie (la ricerca è stata redatta da Claudia Castellucci sia su lingue créole, sia sull’”Ars Magna” del trecentista Raimondo Lullo) fino a stringersi, pur mantenendo sempre 47 scambi di battute, in quattro morfemi onnicomprensivi che si ripetono come copie da un’unica matrice.

Uscire dalla schiavitù del linguaggio per ritrovare segni geroglifici”, si proponeva Artaud; inventare non una nuova lingua “che sarebbe banale”, scrive Castellucci, ma fingere una possibilità di dialogo, di comunicazione con l’essenza. Se il corvo della favola – di Esopo, di Fedro e poi La Fontaine – aprì il becco (e gli cadde il boccone) più per desiderio di parlare che per inganno della volpe, in un’altra favola potrebbe cantare.

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