Recensioni — 15/12/2018 at 14:27

Il maestro e Margherita: un amore complesso.

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RUMOR(S)CENA – IL MAESTRO E MARGHERITA – CATANIA –  Lo spettacolo che Andrea Baracco ha realizzato e diretto a partire da “Il maestro e Margherita”, il romanzo di Michail Bulgakov riscritto per la scena da Letizia Russo, presenta diversi elementi di sicuro interesse: è uno spettacolo che presenta un buon ritmo, complessivamente ben recitato, con in scena attori di solida presenza, ed è, soprattutto, uno spettacolo ‘pensato’. Un lavoro a partire dal testo del romanzo e dal lavoro di riscrittura della Russo, riesce a confrontarsi, segmento dopo segmento, consapevole dei problemi che ciascun passaggio da romanzo a dramma implica. Una consapevolezza che si trasforma in tensione formale, perché il capolavoro di Bulgakov è una narrazione complessa, policentrica, stratificata e si dispiega a partire da tre grandi nuclei di senso: l’arrivo a Mosca del diavolo (implicato nel personaggio di Woland e portatore di una tagliente coscienza critica sulle ragioni del ‘credere’), la storia d’amore del maestro e di Margherita, la vicenda romanzata di Ponzio Pilato che il maestro, osteggiato dai letterati di regime, non è riuscito a pubblicare nel suo romanzo d’esordio; per poi complicarsi in mille e mille altri motivi in grado di intrecciarsi e rincorrersi. I protagonisti, Michele Riondino (Woland, mago e diavolo insieme), Federica Rosellini (una Margherita sempre intensa, ma straordinaria quando si trasforma in strega) e Francesco Bonomo (il Maestro romanziere e Pilato), sostengono perfettamente l’interpretazione dei personaggi loro assegnati e, insieme con gli altri artisti della compagnia (Giordano Agrusta, Caterina Fiocchetti, Michele Nani, Alessandro Pezzali, Francesco Bolo Rossini, Diego Sepe, Oskar Winiarski), si districano con sicurezza nei meandri della drammaturgia sorta dalla lettura del romanzo.

 

foto di Guido Mencari

Se complesso, persino sontuoso, il lavoro di drammaturgia, altrettanto risulta concettualmente versatile la scenografia di Marta Crisolini Malatesta: tre pareti grigio/nere coperte di scritte, di simboli e di segni, tre pareti che, di volta in volta, lasciano filtrare i personaggi e si trasformano in anonimi cortili urbani, in terrazze aperte sulla notte della città, in cieli notturni, claustrofobici interni antichi o moderni (un antico triclinium, un tribunale, un manicomio, una casa altoborghese). Qualcosa di simile si potrebbe dire, quanto a versatilità, delle musiche originali di Giacomo Vezzani. Tutto convincente? No: non convince l’incapacità di pervenire ad una effettiva reductio di una narrazione così ampia, seppur sempre densa e affascinante. Non una banalizzazione ovviamente, ma la selezione di un’azione, una sola, soprattutto, su cui realmente incentrare la riscrittura teatrale. Uno spettatore che non abbia mai letto o non conosce a sufficienza il capolavoro di Bulgakov, è davvero in grado di capire questa riduzione per il teatro? Pensiamo di no. Uno spettacolo può presupporre, con necessità, la conoscenza dell’opera letteraria da cui è tratta la sua drammaturgia? Probabilmente no, anzi auspicabilmente no.

 

foto di Guido Mencari

Visto al Teatro Verga di Catania del Teatro Verga, sabato 1 dicembre 2018 ( stagione del Teatro Stabile di Catania)

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