Recensioni — 15/11/2021 at 10:23

Virgilio come Orson Welles: l’Eneide alla radio

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RUMOR(S)CENA – TEATRO DI RIFREDI – FIRENZE – Chi frequenta la radio come si fa con un buon amico lo sa bene: tra radio e teatro c’è un legame particolare. Entrambi raccontano storie, a volte vere a volte inventate, e lo fanno guardandosi continuamente attorno, nella febbrile ricerca di qualcosa che possa essere afferrato e usato per creare suggestione, sul palco come davanti a un microfono. Certo, è più frequente che sia la radio a parlarci della sua affinità col teatro, ma quando avviene il contrario il connubio un po’ clandestino tra queste due forme espressive non soltanto è in grado di offrire appagamento, ma anche di mettere in scena una di quelle storie talmente grandi da non entrare sul palcoscenico.

E allora ammettiamo che una notte, da uno studio radiofonico segreto venga trasmessa a mo’ di radiodramma la storia di un viaggio rocambolesco, pieno di colpi di scena e dove ogni personaggio è un mondo intero, che solo la profondità di una voce al microfono può restituire. In studio c’è un gruppo di guitti dell’etere che sono tutti un po’ speaker, un po’ musicisti e soprattutto bravi attori, ma a dirigerli ( e a rimproverarli quando serve) c’è lui: Publio Virgilio Marone. Perché è l’Eneide la storia in palinsesto. Solo che stavolta niente toga per il Vate: piuttosto camicia con giacca e bretelle in stile Orson Welles al tempo della CBS.

Edoardo Zucchetti sceglie di raccontare così il poema epico di Virgilio in “Eneide: la rotta mediterranea“, prodotto da Banco di Prova e Pupi e Fresedde. E sin dall’apertura del sipario del Teatro di Rifredi ci si ritrova in quello studio radiofonico, tra microfoni e cavi, attrezzi da rumoristi e strumenti musicali: subito avvolti dal calore, che della radio è la principale suggestione, e che non ci lascerà per tutto lo spettacolo. Nei panni del Virgilio regista radiofonico c’è Lorenzo Carcasci, voce narrante e “padrone di casa” della trasmissione, impegnato a dirigere Lorenzo Terenzi, un po’ Enea un po’ Woody Guthrie con la sua aria da beatnik armato di chitarra, una tagliente Luisa Cattaneo che, continuando con la metafora musicale, ha l’attitudine e la solidità della bassista di una rock band mentre interpreta tutti i personaggi femminili ( umani o divini che siano) e una specie di bel Puck, a volte trasognato e maldestro, ma che Vieri Raddi centra in pieno, dando buona prova nell’esportare la scelta di un carattere (quello del giovane mozzo della compagnia) nelle varie declinazioni in cui lo impegnano i diversi ruoli.

crediti foto di Marco Borrelli

I quattro attori si muovono nelle postazioni dello studio, sussurrano ai microfoni, indossano un accessorio per meglio calarsi nel personaggio al quale devono prestare la loro voce. C’è ritmo, c’è tempo, c’è scansione metateatrale. Particolarmente felice è il contrasto tra epico e caricaturale: la Venere civettuola ma manipolatrice della Cattaneo, l’ Eleno narcotizzato di Raddi. E’ un aspetto non semplice sulla carta, facile al deragliamento, ma che qui invece funziona. Complice la linea sottile che traccia la musica, quando la chitarra di Lorenzo Terenzi lungo il vettore del talking blues traghetta verso i differenti momenti della narrazione.

In generale, tutto l’escamotage di Zucchetti funziona dannatamente bene. Fidelizza lo spettatore, anche quelli più giovani, che non sono mancati alla prima di Rifredi, e pure noi tromboni che ci ritroviamo soddisfatti dell’appeal didattico ma vivo della ricetta. Chi si ricordava di quanto l’Eneide fosse piena di ribaltamenti, colpi di scena, cambi di prospettiva? Il primo tempo di questo atto unico (il paradosso è giustificato da un siparietto musicale che introdurrà un Giove “deus ex Scorsese” interpretato da Carcasci) convince e diverte. La seconda parte dello spettacolo entra nel merito e tira i fili di un discorso via via più responsabilizzato, forse creando un po’ discontinuità nel tono, ma sviluppando idee formali comunque presenti fin dall’inizio.

crediti foto di Marco Borrelli

Ad esempio lo sfruttamento del proscenio in stile elisabettiano, e poi oltre, per facilitare alcuni bei momenti da solista, quali la morte di Didone: un personaggio che la brava Luisa Cattaneo tratteggia con la linea della misura e il convolvolo di chi sarà al centro del dramma. Limare questa discontinuità tra intrattenimento e senso di responsabilità verso il tema, in ogni caso visibilmente sentito sia dal regista che dagli attori, potrebbe essere valore aggiunto del prodotto, che rimane estremamente godibile. Quello che ci viene proposto è il tentativo di adattare un poema epico in una chiave usufruibile, ma a Zucchetti va il merito di non lasciare che sia il fine a giustificare i mezzi. Ci sono molte trovate e licenze parodiche (una fra tutte, il clash dissing tra Enea e Mercurio) eppure quando la risata arriva non è mai strappata, ma meritata per la cura con cui il crescendo comico è stato pensato e messo in scena.

crediti foto di Marco Borrelli

“Eneide: la rotta mediterranea” fa parte di un progetto molto ampio, Banco di Prova appunto, che ha dedicato all’approfondimento della questione dell’immigrazione un lungo percorso: incontri con le scuole, come l’ITT Marco Polo di Firenze, dove gli studenti si sono confrontati con l’esperienza reale di chi, ai giorni nostri, ha vissuto sulla propria pelle vicende analoghe a quelle di Enea e degli esuli troiani. Ed è sorprendente come l’adattamento e la riduzione dei versi di Virgilio dialoghino perfettamente con le immagini che in determinati momenti vengono proiettate sul palco. I bombardamenti in Siria, la disintegrazione della civiltà irachena o i grappoli di corpi ammassati sulla Vlora. Aldilà di ogni potere retorico, ascoltare una descrizione delle folle che cercano di aggrapparsi alle navi in partenza, scritta nel primo secolo avanti Cristo, sgretola l’utilità dei parallelismi. Disarma, prende a schiaffi la nostra faccia attonita di esseri umani, a prescindere dalle anime belle o cattive che le si nascondono dietro.

Il viaggio di Enea nell’Ade, che sul palco è un buio indistinto in cui si aggira fioca la luce che l’eroe stringe nelle mani e che si riflette sulle coperte isotermiche delle anime alla deriva, concentra l’attenzione dello spettatore su un filmato del cimitero del mare a Lampedusa: dove su una singola lapide sono riportati tutti i nomi prodotti dall’indagine sull’identità del defunto, nella speranza che almeno uno si avvicini alla realtà. Ora, lo spettacolo, come ogni cosa di questi tempi, arriva in delay rispetto a ciò che è prioritario, attuale o tanto per fare gli odiosi, emergenziale. Eppure il pubblico si sporge dal suo posto in platea per guardare, si mette le mani sulle guance e sgrana gli occhi. Perché? Come spesso accade quando si tenta un’operazione di attualizzazione di un’opera lontana nel tempo, anche in questo caso è evidente come l’opera originale contenga già ogni attualità che si andava cercando.

“Non ci sia né amore né patto tra i popoli.

Io auguro che le coste siano contrarie alle coste,

le onde ai flutti, combattano loro stessi e i nipoti.

Chiedo pregando questo, spando questa ultima parola col sangue”

Nel 1938 a Orson Welles bastò annunciare alla radio che eravamo sotto un attacco alieno perché si scatenasse il panico. Le parole di Virgilio, invece, non sono mai servite a niente. Confidiamo che sia solo una questione di mezzi.

Produzione Pupi e Fresedde – Teatro di Rifredi nel quadro del progetto «Banco di Prova» realizzato con il contributo di Fondazione CR Firenze Bando Partecipazione Culturale 2020

Visto al Teatro di Rifredi l’11 novembre 2021

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