Recensioni — 15/07/2022 at 11:42

I 25 anni di Inequilibrio festeggiati da Roberto Latini e Frosini/Timpano

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RUMOR(S)CENA – CASTIGLIONCELLO – (Livorno) – Un nutrito programma di prime nazionali di prosa e danza, un rinnovato vigore artistico e di collaborazioni d’alto livello nazionali e internazionali, ha segnato il traguardo dei 25 anni di Inequilibrio: il Festival ideato da Massimo Paganelli per Armunia, nello splendore del scenario estivo del Castello Pasquini a Castiglioncello, che negli anni Sessanta era meta di vacanze vip dei più noti divi del cinema e televisione e tuttora rappresenta nel panorama nazionale una delle realtà piu significative della scena contemporanea per ricerca sui linguaggi. La Stagione di Armunia, infatti, dura l’intero anno con ospitalità di spettacoli e con le Residenze offerte agli artisti che in questi spazi sondano i primi sviluppi delle loro creazioni. Passato il testimone da Paganelli (ora anche attore televisivo per la serie BarLume con la regia di Roan Johnson), il Festival si avvale da alcuni anni della potente sinergia dei due direttori artistici Fabio Masi per la prosa e Angela Fumarola per la danza.

La coppia è riuscita a tenere saldo il timone di quella che è stata e continua ad essere un focus di eventi di spettacolo dal vivo a richiamo nazionale con attenzione unica ai linguaggi, malgrado i marosi passati dovuti a decisioni di ristrutturazioni, ripensamenti degli spazi e alla sospensione delle programmazioni causa Covid-19.

In questa edizione (che si è svolta dal 22 giugno al 4 luglio) fra Castello Pasquini e Rosignano, sono stati ospiti artisti e spettacoli storici fra cui il ritorno di Marco Baliani in Kohlhaas, qui presentato nel lontano1989. Fra le numerose offerte sia di prime che di ospitalità storiche di artisti invitati nel tempo piu recente, si recensiscono due prime: Venere e Adone di e con Roberto Latini e Disprezzo per la donna di Frosini/Timpano.

Roberto Latini presenta la sua nuova creatura Venere e Adone, riprendendo un classico di Shakespere (su traccia diOvidio) attualizzato e trasfigurato (come aveva fatto con un altro classico recente Il Cantico dei cantici, premio UBU 2017 come miglior attore insieme a Gianluca Misiti, miglior progetto sonoro), dove l’ideazione di mise en espace nel bosco di Castello Pasquini all’ora del tramonto, si confà con le sfumature cromatiche sonore e architettoniche delle fronde degli alberi, della calura estiva e del canto naturale degli uccelli. Il lavoro, che aveva avuto una sua prima sedimentazione, lo scorso anno, proprio in questa stessa sede per poi circolare in spazi al chiuso sul territorio nazionale, presenta vertici di altissima poeticità dando esemplare lustro alle straordinarie doti vocali (e attoriali e drammaturgiche) dell’artista romano, complice come da tempo dell’apporto di Gianluca Misiti per le musiche originali e dal vivo). Ecco quindi spalancarsi sulle soglie del bosco (dell’inconscio e dei suoi archetipi psichici e letterari), una partitura melodica vocale e sonora corroborata da apparizioni plastiche performative fra terra e cielo, fra immaginario e ctonio, di un Roberto Latini che in affabulazione si trasforma nei diversi personaggi del dramma shakesperiano, quasi quadri viventi di un approccio fisico-spirituale al testo.

Interessante anche la scelta che l’artista ha percorso e maturato in questi mesi di clausura forzata: il Bardo scrisse Venere e Adone poprio in un periodo di peste nel 1593 a Londra, e quindi di necessaria umana Penia, contraltaredi Eros inPlatone e nella grecità (aveva messo in scena sempre in tema di peste-Covid, lo scorso anno una rivisitazione de L’armata Brancaleone). Qui si presenta dal fondo del bosco quasi incespicando sotto forma di dio alato o albatros che scocca frecce da una canna dirigendole verso il pubblico. Il dorso è fasciato da una maglietta bianca che porta in rilievo linee nere del costato, quasi una radiografia vivente mentre le ali sono costituite da un essenziale reticolo metallico.

Afferra il microfono e su un equilibrio instabile di micromovimenti dei piedi inizia con voce flautata a percorrere sapientemente in modulazioni vocali rapsodiche e intriganti la narrazione affabulata del mito di Amore, un amore prostrato, stanco, svogliato, come svuotato del pathos del vigore del sentimento che per analogia e nei secoli dei tempi, la narrazione occidentale ha decantato, rappresentato per immagini letterarie come nella danza e nelle arti figurative.

Amore dal suo stallo incerto, proietta dardi sul pubblico, usa il microfono per lanciarne altri, ma la voce è come rotta nella articolazione delle parole, da una melanconia, una sofferenza che spezza l’incanto di ciò che dai Greci al Romanticismo, e fino a noi è diventato il senso comune e il comune senso dell’intervento divino che il demone predispone a favore degli amanti. Saranno poi i quadri di Cinghiale , Dea velata, Adone e poi Chiunque e Chiunque altro a seguire quasi tableau vivant la conferma di questo spleen che il protagonista ci trasferisce attraverso le modulazioni continue, sorprendenti, a tratti metafisiche ( non a caso parafrasi del titolo Venere e Adone è il verso siamo fatti della stessa sostanza di cui son fatti i sogni), sottolineate dalla competenze sonore di Misiti che ne amplificano a eco le sfumature delle tecniche magistrali della voce. Nella scrittura drammaturgica una frase ricorre “ per sempre/se pure per sempre non esiste”. Il quadro dove più si esplicita la sensazione straziante dell’impossibilita di Amore di poter consumare gioia nell’attesa dell’Amato/A, è costituita da un improvvisato set televisivo fra telecamere e schermi dove Adone (un Narciso e Cinghiale) lancia un messaggio via network a Venere, metafora dei tempi di videochat, di corpi virtuali, di distanze siderali fra desiderio e simulacro di Amore .

La tecnologia irrompe poi nel finale con Latini alla teleguida di un automa in forma di cane meccanico (uno di quei dispositivi utilizzati dai militari per sminare in zone di guerra). La sorpresa coglie tutti, ma ben presto la sensazione di brio si narcotizza in una sequenza ambigua dove chi dirige l’automa diventa a sua volta preda per confondersi in un abbraccio che sa di mortifero.

In Disprezzo della donna-il futurismo della specie,la coppia Frosini/Timpano attraversa coraggiosamente un tema complesso e irrisolto: il ruolo della donna nel pensiero maschilista e del patriarcato dal punto di vista del Manifesto futurista di Marinetti (esce nel 1909, quasi contemporaneamente alla scoperta dell’inconscio con Interpretazione dei sogni di Sigmung Freud). Il Punto 9 del primo Manifesto del Futurismo uscito a Parigi a firma di Filippo Tommaso Marinetti recita : Noi vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna .

Un Manifesto a cui ne sono seguiti altri che hanno segnato la vita culturale letteraria teatrale e movimentista delle avanguardie degli anni Venti in Italia a cui aderirono personalità insigni dell’arte figurativa come Balla Boccioni Carrà. Una ricerca storica intertestuale quella di Frosini /Timpano, che si avvale di scritti di autori ed autrici che hanno fatto capo al Movimento avanguardista italiano fondato da Marinetti con contributi fondamentali di Papini e Soffici e altri minori.

La miscellanea testuale è trasferita sulla scena attraverso una elaborata ed efficace drammaturgia dei corpi che fra monologhi e dialoghi inneggianti alla guerra, alla Patria, al mito della velocità e della Macchina e gestualità quasi da comizio o parata militare -di li a pochi anni scoppierà la Prima guerra mondiale, in una concertazione vocale e ginnica ( lo spettacolo era all’aperto e ancora in piena luce) in perfetta sintonia e risonanza della coppia. L’esaltazione di mitologie guerresche che sfoceranno poi in correnti politiche e sociali e anche culturali (pensiamo al dannunzianesimo e al superomismo cosi intrecciate in quella congerie nazionalsocialista che si sarebbe purtroppo incistata nel nostro Paese dopo la Grande Guerra, subiscono nella traduzione scenica e vocale una virata di forte presa emotiva per il trattamento che gli stessi testi subiscono: sia nella interpretazione vocale che nelle azioni fisiche si tratteggia subito e con evidenza il colore sarcastico-grottesco che Frosini Timpano vogliono imprimere alla loro nuova ideazione. In realtà l’interpretazione letterale dei testi attraverso il trattamento tradotto sulla scena, ha tutto il sapore di un critica feroce ai contenuti.

Senza utilizzare filtri brechtiani infatti ma proprio appropriandosi delle parole del senso dei contenuti della ricerca, viene capovolto il senso della ricerca intertestuale. Caso esemplare in cui il verbale cortocircuita col non verbale. Anche la coreografia dei corpi- e dei monologhi dialoghi, segna questa implosione e deflagrazione di segni. La donna -oggetto come feticcio di una ideologia che la vorrebbe libera, apparentemente, dal ruolo di Madre e Moglie, per renderla ostaggio di un neopensiero machista che la ingloba come guerriera, al fianco del nuovo Maschio. Temi questi tanto lontani quanto vicini alla contemporaneità dei nazionalismi e populismi che attraversano il nostro Paese e tutto l’Occidente. Davvero meritevole l’approccio alla questione femminista sempre aperta in una realtà come quella degli Stati Uniti dove si sta mettendo in discussione il diritto all’aborto, come in Italia la legge Zan sulle violenze contro l’omofobia.

Venere e Adone-siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni. Variazione n.4 da Shakespeare Visto il 23 giugno 2022

di e con Roberto Latini

musica Gianluca Misiti

produzione Compagnia Lombardi Tiezzi

prima nazionale

Disprezzo della donna- il futurismo della specie

drammaturgia dinamica e sinottica di

Elvira Frosini e Daniele Timpano

Arte dei rumori Lorenzo Danesin

Arte della moda Marta Montevecchi

Arte della luce Omar Scala

Produzione Gli scarti Frosini/Timpano-Kataklisma teatro

Prima Nazionale

Visto a Castiglioncello- Festival Inequilibrio

il 27 giugno 2022

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