Recensioni — 14/04/2017 at 10:18

La sfida di un “uomo dal fiore in bocca” che aspetta la Morte

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TRENTO – Un dramma in cui viene rappresentata la condizione di irreversibilità che porta l’essere umano, destinato ad essere sconfitto dalla Morte: fisica e prima ancora, morale/ esistenziale.  Due uomini, il cui destino li fa incontrare in una sala d’aspetto di una stazione ferroviaria, tra sbuffi e rumori di locomotive a vapore che partono e arrivano. Metafora per spiegare come il treno della vita corre veloce e ad un certo punto si ferma per sempre. Questo per introdurre lo spettacolo adattato e rappresentato da Gabriele Lavia scegliendo  Luigi Pirandello autore de “L’uomo dal fiore in bocca” (un atto unico rappresentato per la prima volta il 24 febbraio al teatro Manzoni di Milano). Una storia, la cui apparente semplicità, fa emergere il vissuto tragico di un uomo di fronte  alla Morte che non concede sconti. Il regista opta per una versione che si discosta in parte da quella originale, introducendo spunti critici e riflessivi dati  anche da una riflessione  puramente filosofica.  Un uomo in attesa di qualcosa di ineluttabile dove appare anche una figura in sembianze femminili, una donna misteriosa, evanescente, (interpretata da Barbara Alesse), come un’ombra in movimento al di là della vetrata della sala d’attesa di una stazione monumentale.  Cerca l’uomo che la respinge, la rincorre, l’allontana anche in maniera violenta, sparando dei colpi di pistola per spaventarla e farla fuggire. Un’arma da fuoco nella cui versione dello stesso Pirandello non compare (e ambienta la vicenda in un caffè). La donna vestita di nero, se colta nella sua accezione metaforica è la Morte. Forse è Lei che rincorre l’uomo destinato a spegnersi. Si chiama “epitelioma” – e lo spiega lo stesso Lavia che la definisce come un “nome dolcissimo, più dolce di una caramella”. Tutto viene amplificato in questa versione del dramma come il titolo stesso che da “L’uomo dal fiore in bocca … –  il regista – aggiunge … e non solo.

 

foto di Tommaso Le Pera

Lavia sceglie di rappresentare l’atto unico  più breve di tutta la drammaturgia pirandelliana, che definisce «forse l’opera più folgorante, un capolavoro», inserendo anche altri brani tratti da novelle dell’autore siciliano, là dove sia presente il tema portante (definito “fatale per Pirandello”) , il quale aveva già scritto in precedenza “Caffè notturno” e pubblicata successivamente col titolo “La morte addosso” e poi inserita in “Novelle per un anno”. Nasce così “L’uomo dal fiore in bocca”, una sorta di mutazione progressiva  fino ad arrivare alla scrittura definitiva per il teatro. Un’operazione già collaudata in precedenza, dove il drammaturgo e scrittore sapeva ridefinire le sue novelle e racconti, in altrettante storie per il teatro. Tutto ruota intorno alla figura femminile, evocata in continuazione grazie agli inserti nel testo rivisitato da Lavia, il quale si rifà anche alla filosofia di Schopenhauer per argomentare il tema della morte, spiegando come sia vissuta differentemente dall’uomo, un essere consapevole e dotato di intelletto, rispetto alle specie animali.

Uomo dal fiore Gabriele Lavia foto Tommaso Le Pera

La scenografia riproduce una sala d’aspetto ferroviaria e non un caffè (come pensato da Pirandello), e qui si consuma un dialogo a due nel tentativo inutile di trovare una spiegazione ragionevole ai tanti dilemmi esistenziali. L’uomo in stazione, semisdraiato su una panca di legno è Gabriele Lavia, il quale si interroga sul senso della propria esistenza sapendo di avere poco tempo per viverla ancora. Tutto viene ripensato come azioni, vissuti, anche banalmente superficiali, quasi fossero ritrattati per la loro inesistente eredità. L’altro è un uomo qualunque interpretato da Michele Demaria, un passeggero in attesa, banale nel suo incedere quotidiano. Mediocre.  Piove fuori la stazione e l’acqua bagna anche l’anima del viaggiatore destinato a rincorrere inutilmente il treno.  Pirandello sa cogliere tra le pieghe dell’inconscio umano, le mille contraddizioni, le sviscera, ne da una sua versione di quanto possa essere difficile, anzi impossibile  vivere senza provare dei risentimenti. La mediocrità di una vita anonima che si imbatte con quella più complicata e sofferta dell’uomo dal fiore in bocca. Lavia si addentra in uno scavo profondo di un’umanità dolente in cui emerge il suo personaggio, tra slanci protesi verso sentimenti di annientamento per sé stesso (la pistola rivolta verso la sua faccia), e quel gesto di rincorrere la moglie per allontanarla per sempre. La stazione con un orologio senza lancette segna un tempo che non esiste e non avrà un futuro. Tutto accade dentro quella sala d’aspetto, divenuto nel corso della rappresentazione una sorta di confessionale in cui agiscono i moti dell’animo umano messi a nudo. La recitazione che offre Lavia,  incalzante e incisiva ha un peso fondamentale sull’economia di tutto lo spettacolo, possedendo un carisma artistico in grado di accentrare molto su di sé l’attenzione. Michele Demaria da vita ad un personaggio a cui viene chiesto una prestazione molto impegnativa sul piano fisico, con continui slanci e rincorse, anche se in alcuni momenti appare troppo enfatizzato: questo per una precisa scelta registica. La frenesia della vita incrocia quella dell’indolenza del pessimismo in cui tutto appare destinato a fallire. L’esito finale è quello di aver riscoperto un Pirandello attualissimo, per confrontarlo con una esistenza in cui siamo tutti chiamati nel testimoniare problematiche di vita sempre più a rischio e sinonime di un allarme sociale da non sottovalutare.

 

Uomo dal fiore in bocca G. Lavia, M. Demaria foto di Tommaso Le Pera

Produzione Teatro della Toscana – Teatro Nazionale Coproduzione Teatro Stabile di Genova

L’uomo dal fiore in bocca

di Luigi Pirandello

adattamento Gabriele Lavia

con Michele Demaria, Barbara Alesse

scene Alessandro  Camera

costumi Elena Bianchini

musiche Giordano Corapi

luci Michelangelo Vitullo

 

Visto al Teatro Sociale di Trento il 24 febbraio 2017

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