Recensioni — 14/01/2019 at 16:11

Quando il “Teatro (è) Aut” sa raccontare storie di legalità e giustizia. “Miles Gloriosus: ovvero morire di uranio impoverito”

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RUMOR(S)CENA – TEATRO AUT – BOLZANO – Una piccola rassegna di teatro dai contenuti come la legalità, l’etica e lo sviluppo umano e sociale , discreta e senza particolari clamori, Teatro Aut è andata in scena nei mesi scorsi a Bolzano. Spettacoli visti in spazi alternativi ai teatri tradizionali dove la partecipazione del pubblico è più raccolta, intima e condivisa. La direzione artistica di Anika Schluderbacher ha scelto cinque titoli in grado di offrire molti spunti di riflessione alla luce di tematiche urgenti e attualmente portatrici di significati sociali incentrati sulla vita delle persone. Storie di umanità e di sofferenza, vite segnate da esperienze anche dolorose. Il teatro che racconta la realtà e le sue vicende ha un suo valore di trasmettere e portare a conoscenza con l’ausilio del linguaggio artistico dinamiche e notizie spesso trascurate o ignorate per il loro significato etico e morale ma anche connessi alla legalità e ad un concetto di giustizia equa. Una mini rassegna ma densa di contenuti su cui vale la pena interrogarsi e dare voce agli artisti come nel caso di Antonello Taurino e Orazio Attanasio con Miles Gloriosus: ovvero morire di Uranio Impoverito: una delle pagine più gravi della storia italiana in epoca recente, causa la morte di militari in missione all’estero per essere stati contaminati dall’uranio. Basato su un doppio registro , comico grottesco e teatrale di narrazione (risultato da un’attenta inchiesta di stampo giornalistico) i due protagonisti si cimentano in una “strampalata” prova con l’intento di portare in scena il dramma intessuto di storie dolorose, dopo aver esaminato ogni altra proposta: esilarante la disamina sugli artisti già affermati per aver scelto argomentazioni etiche e sociali.

 

Un registro ironico capace di sdrammatizzare la cruda realtà delle morti per uranio. La cronaca parla di militari ritornati in patria colpiti da patologie neoplastiche senza scampo. Si ride ma con la consapevolezza di assistere ad una recita in cui il sotto testo non lascia scampo all’indignazione. Un teatro definito “civile” perché a volte solo gli artisti trovano la possibilità di denunciare (nonostante i tanti reportage giornalistici) a viva voce tematiche urgenti. Il teatro parla alle coscienze e lo fa con la leggerezza che le appartiene quando (come nel caso di Antonello Taurino) sa portare in scena vicende drammatiche la cui parola giustizia appare spesso lontana dal realizzarsi. Impegno che tutta la società deve tenere sempre presente nell’ottica di una legalità e di un rispetto per la vita spesso violata.

 

Albania casa mia Aleksandros Memetaj

 

La rassegna di Teatro Aut prevedeva anche la partecipazione di Massimo Sconci con lo spettacolo L´Aquila nuova, dove rievocava la ferita subita dalla sua città colpita da un catastrofico terremoto che ha causato la morte di oltre trecento morti e 1600 feriti. L’Aquila che risorge nelle sue diverse identità. Aleksandros Memetaj è stato invitato a Bolzano con Albania Casa mia, una sorta di narrazione autobiografica su come il protagonista ha vissuto il distacco e la perdita della sua patria e il conseguente desiderio di riavvicinarsi alle proprie radici. Francesca Romana Lino ne ha scritto per rumor(s)cena.com «Una rivelazione, “Albania Casa Mia” per la regia di Giampiero Rappa. Monologo autobiografico scritto e interpretato dallo stesso Aleksandros Memetaj .Uno spettacolo sorprendente, che se inizia un po’ in sordina, svelando, sì, l’indubbia ma in principio timida plasticità attoriale del venticinquenne di Valona, che sembra però indugiare forse un po’ troppo sui ricordi d’asilo di questo bambino, di cui s’intuisce fin da subito solo la doppia identità culturale e linguistica. Ma poi la drammaturgia va in crescendo, quasi a spiegare in filigrana la ragione di quell’indugiare: “E’ proprio all’asilo che nascono i primi conflitti – spiega, prima di puntualizzare – Ecco perché ne parlo.” Fino all’acme del ribaltamento. Sandro bambino nel porto di Brindisi, che parte con la famiglia verso la sua Albania: epopea del ritorno alla mitica terra natia d’oltre Adriatico.

E’ lì che avviene il miracolo, e mentre la traversata è raccontata con gli occhi del bambino e parole che sembrano rubate ai viaggi degli emigranti verso l’America – palpitanti d’ingenua poesia e disarmante commozione, come in una certa cinematografia e in “Novecento” di Baricco – con abile gioco di sovrapposizione e sdoppiamento, il punto di vista diventa quello del padre matematico e poi profugo, una volta che l’Albania aprì le frontiere verso l’Occidente.Così se nella prima parte la voce narrante è quella dell’apolide, la cui forza sta nella liquidità di essere e non essere di quel mondo, in cui pur si è nati o arrivati da così piccoli da potersene considerare figli a tutti gli effetti – come non pensare agli “italiani” e, prima ancora, ai “settentrionali”, di seconda generazione? Subito dopo cede il passo a quella dell’esule, che vede nella nazione straniera quella Terra Promessa capace di restituire libertà, dunque dignità a sé e alla propria discendenza, nonostante le condizioni e i compromessi che impone. Da esistenziale, il discorso si fa politico; e se pure Alessandro Memetti – questo il nome “italianizzato” impostogli dalla suora dell’asilo – non intende farne una questione di questo tipo, è inevitabile, che il tutto si colori dei respiri ampli e accesi di chi ne fa una questione ideale e d’identità».

Ritorni. Ho visto la pace allo specchio di Filippo Tognazzi si occupa anche in questo caso di una realtà sociale e politica controversa e conflittuale presente nei paesi dell’ex Jugoslavia fino a indagare la città cosmopolita di Sarajaevo.

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