Cinema, Recensioni — 13/07/2021 at 14:09

Ombre amiche nel Giardino degli Agostiniani: Lunigiana Cinema Festival

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RUMOR(S)CENA – Il 9 luglio scorso si è concluso il Lunigiana Cinema Festival: intensi spunti di riflessione sono stati portati alla luce, una volta di più, dalle opere in concorso recando, fatalmente, ognuna a suo modo, dall’atmosfera alle soluzioni formali, i segni dei mutamenti sociali e culturali derivanti dall’emergenza sanitaria. Non siamo eterni, ma in noi – scrisse un ecclesiastico capuano di fine Ottocento – il pensiero, l’affetto, l’essere, il piacere, tutto aspira con gran desiderio all’eternità… e anche l’Inverno, se solo volessimo, potrebbe trasformarsi in una magica stagione. Il “motivo”, posto che sia tale, si può “ascoltare”, sfumato da variazioni d’intensità, in ciascuno dei cortometraggi visionati: lascerà, come ci auguriamo, una traccia considerevole nella storia della rassegna fivizzanese e così dello stesso borgo toscano.


Lunigiana Cinema Festival 2021. Crediti: pagina FB (lunigianacinemafestival@gmail.com).

Come nelle passate edizioni, il regista Daniele Ceccarini ha curato l’evento, affiancato dall’Associazione “Tatiana Pavlova”, “Officine Tok” di Ines Cattabriga e dell’eclettica Elisabetta Dini, Associazione “Passi Paesi Parole”, nonché patrocinato da “Diari di Cineclub”, periodico indipendente di cultura cinematografica, “Russia Privet”, che promuove il turismo, l’arte e la cultura nell’Unione Economica Eurasiatica, Legambiente e Apuania Film Commission. Di seguito una sintesi breve dei lavori premiati dalla giuria e, insieme, quelli ritenuti degni di una menzione.

Dipende tutto da te di Daniele Ceccarini

Recita, il titolo, una frase di sinistra insistenza. Regolarmente, infatti, esce dalle bocche di attivisti politici, filosofi e sedicenti educatori, pressoché intercambiabili fra loro, altrimenti riversabili in un’unica figura: il responsabile commerciale. Non è così, purtroppo: tutto incide oggi sulla nostra vita fuorché le scelte personali. Tuttavia, il giovane regista crede che un riscatto sia ancora possibile e, con umiltà, desidera renderne partecipe lo spettatore, nel segno del Neorealismo. Di Ladri di biciclette, certo, ma soprattutto di un altro film di Vittorio De Sica, velatamente rievocato nei dialoghi: Umberto D.; «Certe cose avvengono perché non si sa la grammatica. Tutti ne approfittano degli ignoranti» diceva, affranto, l’anziano docente di questo capolavoro… ciò nonostante il solare ragazzino (León Carassale) del nostro corto, almeno in parte, lo smentisce: sa bene che il babbo (Matteo Taranto) nasconde un cuore e una volontà più grandi di quanto non immagini… e a scuola lo attende, poi, la sua materia preferita! Da lui, dunque, dalla conoscenza che acquisirà, tutto dipende. Vogliamo credergli.



Colores di M. Estaba. Crediti: Banavisual art (banavisualart@gmail.com)

Categoria “Diritti Umani” vincitore e menzione speciale

Colores di Melissa Estaba

Convinti di parlarlo, siamo in realtà “parlati” dal linguaggio, istante dopo istante, vita dopo vita. Non v’è nulla di naturale nel linguaggio: esso, al contrario, è il prodotto di un lunghissimo corso storico e culturale. Può un’interrogazione profonda, radicale sulle singole parole, sul loro senso ultimo, aiutarci a intuire il vero, reale bene dell’Uomo, tutt’ora distorto da megafoni ideologici o, comunque, adempiuto solo in minima parte? Di perché in perché, l’assillo di una bimba (Nayra Reig) verso la propria mamma (Pilar Sardá) ci incoraggia a rispondere «sì» e, forse, addirittura a risalire più su, sempre più su, fino alla domanda cruciale, nascosta sotto ogni altra: «Perché il Male?». Da ultime ma non per rilevanza, le immagini di Clàudia Pujol Pla, mutando nell’epilogo, in pochi fotogrammi, dal bianco & nero al colore, non si limitano ad evidenziare il passaggio della coppia di protagoniste dalla dimensione nebulosa (o, meglio, bicromatica) della convenzionalità alla chiarezza e alla “variopinta”, appunto, totalità del reale: esse confermano, involontariamente forse, che il primo ventennio del Duemila, da poco concluso, si è distinto per un’acuta nostalgia della “giovinezza” del cinematografo, della sua assenza di “plastica” e, perciò, misteriosa impressione di verità… Che sia questo il percorso da seguire in futuro? Fare qualche passo indietro, “pretendere” la severa essenza del bianco & nero affinché il colore sia di nuovo percepito come miracolosa conquista della «visione della pittura» e non fiacca abitudine o, peggio, arida mimesi?



Inverno (Timo’s winter) di G. Mastromauro. Crediti: Zen Movie, Indaco Film, Wave Cinema, Diero Film

Giusto il tempo per una sigaretta(End of september) di Valentina Casadei

Una “fiaba” urbana, scettica tuttavia non rassegnata, sugli invisibili soprusi quotidiani; su come gli individui siano spesso costretti ad assumersi non solo il peso della responsabilità delle proprie scelte ma, ingiustamente, anche di quelle altrui. Dettaglio su dettaglio, la disavventura di Christian (Matteo Olivetti) e del fratellino Giulio (Malik Gueye) pare trasformarsi impercettibilmente in una metafora dell’Occidente i cui figli raccolgono i frutti della condotta dei padri: prede, all’occasione, di passioni e cattivi miraggi, ahinoi sordi quando, con occhi pesti, si bussa alla loro porta (la madre dei protagonisti nega tanto la voce quanto il suo volto, come se, in fondo, non esistesse più o addirittura non ci fosse mai stata). Tuttavia, pure sul fondo dell’abisso non si è del tutto soli: Valentina Casadei ce lo ricorda con un mite sorriso.

Categoria “Tema libero “ vincitore e menzione speciale

Inverno(Timo’s winter) di Giulio Mastromauro

“Tutto quello che vuoi, fa’, Tempo dal piè leggero, / al vasto universo e alle cose sue dolci che appassiscono; / Ma un crimine molto più nero ti vieto: del mio amore / la bella fronte non incidere con le tue ore”. La supplica di Shakespeare al Tempo rivive a suo modo nel breve lavoro di Mastromauro il cui ricordo volge, però, alla madre, scomparsa giovane. «Piangetela, se volete» sussurra il regista «ma non compiangetela… perché ha avuto la grazia, inaccettabile dalla logica umana, di scendere dalla Giostra mentre per noi il giro continua, inutile e feroce». Le lezioni del cinema di Citto Maselli, del compianto Tonino Zangardi come anche, per certi versi, di Theo Angelopoulos (si guardi Paesaggio nella nebbia) non sono passate invano. La scenografia di Marta Morandini spicca, poi, per una cura non comune.



Paola Tiziana Cruciani (al centro) in …è stato solo un click di T. Martini. Crediti: TMovie, Associak distrib. (RM)

è stato solo un click di Tiziana Martini

Cosa significa “salute” ed essere, quindi, “sani”? Il dubbio serpeggia nel corto in esame il quale prende spunto da un caso di schizofrenia catatonica per sviluppare una più sottile e urtante riflessione sulle aberrazioni della società, i vani sforzi di starle al passo, comprenderla, ma soprattutto sulla fragilità delle ultime generazioni nel riuscire a vivere in modo cosciente ed autentico ormai qualsiasi cosa, dall’identità sessuale alle scelte professionali fino ai più piccoli affetti. Un molesto caravanserraglio, eretto dai cosiddetti “sani” (il ciarliero, gesticolante primario della storia), aggirabile forse solo con la pazzia e il silenzio poiché l’Innocente rimasto in noi (la Bambina, appena appena inquietante, che fa volteggiare un nastro da danza) non basta o non vuole aiutare. Paola Tiziana Cruciani fa dono al pubblico della prova più matura nel suo cammino attoriale: a lei va tutta l’ammirazione e il nostro più sincero affetto.



Il muro bianco (The white wall) di A. Brusa e M. Scotuzzi. Crediti: Nieminen Film (MI).

Categoria “Ambiente” vincitore e menzione speciale “Legambiente”

Il muro bianco(The white wall) di Andrea Brusa e Marco Scotuzzi

Il mesotelioma pleurico provocato dall’amianto – presente ancora in numerose strutture, capannoni e vascelli navali – ha derubato troppi figli della madre, troppe mogli del proprio consorte: non dovrà mai più accadere. Brusa e Scotuzzi lo affermano sottovoce eppure decisi, riflettendo ugualmente, con la levità di una parabola, sul delicatissimo rapporto tra ingenuità e conoscenza, messinscena e rivelazione. Non è tutto: «Da oggi ci saranno nuove regole…» annuncia una maestra alla classe «…vi sembreranno strane ma è fondamentale rispettarle». Un attimo di gelo paralizza l’uditorio: la donna allude certo alla scoperta che gli operai hanno da poco fatto in una parete della sua aula… ma per gli spettatori sarà impossibile non tornare col pensiero al recente, gravoso biennio.

Le troiane di Stefano Santamato

Azzardato parallelo, quello proposto da Santamato: come il principe Paride, violando le leggi dell’ospitalità, attirò la furia dei Greci su Troia lasciando che i sudditi, donne e fanciulli, pagassero il prezzo più alto, così il Potere nell’odierna società industriale, con le sue massicce emissioni di CO2 e metano, “viola” l’ospitalità della Terra, surriscaldandone le acque e provocando, fra l’altro, la paurosa tempesta abbattutasi sulle foreste del nord-est italiano tra il 27 e il 29 ottobre 2018. I rei, nell’antichità come nelle età successive, restano nell’ombra, impuniti… nondimeno, dalla Morte, fiorisce una segreta bellezza, invisa o introvabile da molti: i cadaveri degli alberi si destano, “camminano”, trasformandosi nelle colonne effimere di un lontano rito teatrale. Ciò che per il Mercato sarebbe stato mero “residuo” diviene così rifugio dello spirito, monito estetico che invita a non cedere all’utile, né all’inumano. Il movimento di macchina iniziale (la fotografia è firmata dal regista stesso) sul “cimitero silvestre” è, infine, degno dei più bei poemi audiovisivi di Werner Herzog (si guardi Lektionen in Finsternis).

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